martedì 31 gennaio 2012

Storie di ravennati, Aldo Succi detto "Garibaldi", il mitico Danilo Casali di Radio Ravenna Uno, Elio Quarneti lo chef anarchico


Dopo il trasloco dalla piattaforma di Splinder che è in chiusura in questi giorni, abbiamo recuperato la storia di Aldo Succi, un altro di quei personaggi tipici romagnoli con tanto di soprannome celebre e quella di Danilo Casali. A seguire il ricordo di Elio Quarneti dalle pagine di Rivista Anarchica.

martedì, 01 luglio 2008


Aldo Succi, detto "Garibaldi"

Personaggi curiosi, tipici della provincia romagnola, ma non solo. Il 27 giugno di cento anni fa nasceva a Ravenna un certo Aldo Succi, che popolarmente verrà chiamato "Garibaldi", perchè si fermava sovente a dialogare con la statua dell'Eroe dei Due Mondi in pieno centro. Dire che fosse bizzarro è poco: intanto circolava sempre in bicicletta portando con sè un lungo palo di legno a mò di alabarda, cantava ad alta voce pedalando e ripeteva sempre l'ultima frase che aveva sentito. Una volta un turista lo fermò per chiedergli quanto distasse la famosa basilica di Sant'Apollinare in Classe, e lui gli rispose che "una volta distava cinque chilometri". Il turista, sorpreso, gli ribattè: "Come sarebbe a dire -una volta-?", e lui serafico gli rispose (in dialetto): "Cosa vuole, oggi aumenta tutto!". Sempre un altro turista una volta gli chiese dove fosse Galla Placidia (intendendo il famoso mausoleo nell'area della Basilica di San Vitale), e lui, guardandosi attorno gli fece: "Galla Placidia? Era qui poco fa!" (sempre in dialetto). Arrivò la guerra, e con essa il coprifuoco. Una sera d'agosto del 1943 una sentinella, di guardia in una via del centro, intimò "l'alt" varie volte e infine sparò ferendo di striscio una povera donna che aveva ignorato l'ordine. Un'ora dopo la stessa sentinella intimò di nuovo: "Alto là! Chi va là?", sentendosi replicare nello stesso modo. La cosa andò avanti per sei o sette volte, dopodichè ci fu un accorrere di militari, solo per scoprire che il "sovversivo" era "Garibaldi" che ripeteva sempre l'ultima frase sentita. L'indomani il parroco Don Molesi, testimone oculare della scenetta, gli chiese: "Da dove venivate ieri notte, che erano le undici?", e Succi: "Ero stato in Pineta!". "In Pineta? Alle undici di notte? E non sapevate che c'era il coprifuoco?", ribattè il prete. Succi continuò a ripetergli meccanicamente: "Sono stato in Pineta!". E altro non fu possibile cavargli di bocca. Succi dialogava non solo con la statua di Garibaldi, ma anche con la statua bronzea di Augusto, che all'epoca era nella centralissima Piazza del Popolo. Una volta fu sentito dirle: "Come sei nera! Ma perchè non vai in Comune, che ti assumono subito?", con evidente riferimento alle assunzioni che in Comune assegnavano a chi aveva fatto la guerra in Africa Orientale nel 1936. In quei tempi di fame e miseria, il pane, spesso, era duro e quasi immangiabile. E così un bel giorno il buon "Garibaldi" ne depositò alcuni pezzi davanti alla statua, dicendole: "Mangialo tu, che hai lo stomaco di ferro!". Naturalmente tutto questo sempre in dialetto ravennate. "Garibaldi" morì in una giornata di fitta nebbia, il 12 dicembre del 1951, mentre camminava in mezzo ad una via molto trafficata. Finì sotto le ruote di una "Fiat Topolino", condotta da un noto medico locale. Il "Resto del Carlino", nell'edizione locale, ne parlò con grande enfasi quasi fosse scomparso un grande scienziato o un noto letterato. Erano decisamente altri tempi. Sicuramente con lui scompariva un pezzo della vecchia Ravenna, che oggi suscita infinita nostalgìa nelle vecchie cartoline in bianco e nero in vendita nei mercatini dell'antiquariato.

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lunedì, 12 maggio 2008


"L'amicizia" (poesia per Danilo)

Nemmeno il tempo di rifiatare, appena tornato dalle Langhe, ed ecco l'ennesima brutta notizia. Che sia vera la storia dell'anno bisesto, che risulta funesto? Insomma, qui ormai è tutt'uno. Danilo Casali ci ha lasciato, a 75 anni, dopo breve malattìa. Chi era Danilo? Nella nostra città, Ravenna, era un'istituzione. Grafico pubblicitario geniale e fantasioso, pioniere delle radio libere, e grande appassionato di teatro in vernacolo romagnolo e compagno di mille simposi e convivi, in cui elargiva la sua enorme cultura e simpatìa, ma senza mai uscire dalle righe e con una sobrietà d'altri tempi. La sua figlia prediletta, lui che non ha avuto figli veri, era Radio Ravenna Uno, in attività ormai da quasi trent'anni, in cui conduceva programmi di grande qualità e spessore culturale. Interviste a grandi personaggi di passaggio e locali, letture di poesìe (anche le mie primissime, inizi anni 80), cronache di vita cittadina, attento studio dell'evoluzione dei tempi, divertissement in dialetto... migliaia e migliaia di ore di trasmissione che ora costituiscono un patrimonio inestimabile per la conoscenza del nostro dialetto, delle usanze popolari della nostra terra... e poi ancora, lui che era anche un grande cinefilo e un grande appassionato di football, una rivista settimanale (una delle prime in Italia) che parlava delle trame dei film in uscita nelle sale cittadine, la bacheca in Piazza del Popolo aggiornata da lui stesso coi trasferibili (!), la domenica pomeriggio sui risultati del Ravenna Calcio, negli anni in cui vegetava fra serie D e serie C. Negli ultimi anni aveva comprato un capanno da pesca alla foce del fiume Lamone, a Casalborsetti, e così si era inventato una rubrica radio dal titolo "Nutezzi da e nostar padlon", cioè "Notizie dal nostro padellone", ove per padellone s'intende il termine popolar-vernacolare che indica appunto un capanno da pesca, ciò perchè la superficie della rete da pesca dà l'idea di un'enorme padella, una volta tesa ai quattro angoli dagli argani che la calano in acqua. Al suo ricordo, al suo volto gentile e sorridente, dedico questi pochi e miseri versi.


L'anno ha preso la sua spinta, e precipita

dentro il gorgo, ancora un altro.

Fiori e campi di foglie morte illustrano

i sentieri spogli di nobiltà, e il silenzio

vira la sua barca verso terra.

Il maggio ora mi sorvola, coi suoi

cieli luminosi, densi di bellezza

piumata, e colmi di risate.

Ma dietro al cipresso la luna guata,

in terribile ascesa, sulla pianura

trapunta di lucciolanti fosfori.

Eppur di nuovo mi giunge

in gola la tua voce di amico

caldo e generoso, come il miele

che da bimbo scoprivo dalle

mani di mia madre. Come

il vento che da sempre sferza

il prato delle aurore inesorabili,

delle sentenze pronunciate,

del buio mare che s'ingolfa

nei giorni dei nostri desideri.

"scillicet occidimus, nec spes

est ulla salutis, dunque loquor

voltus obruit unda meos"

Andrea Trerè

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Dal Resto del Carlino

2008-05-04


CON la morte di Danilo Casali, avvenuta ieri all’ospedale di Ravenna dopo breve malattia, si stacca un altro foglio dalla rubrica delle persone buone. Nato nel 1933, dopo aver frequentato il liceo classico si iscrisse a giurisprudenza a Milano non certo con l’intenzione di indossare la toga, ma per venire in contatto con un ambiente che sicuramente lo avrebbe aiutato a formarsi come pubblicitario. Casali, infatti, nasce innanzitutto grafico e la pubblicità fu il suo principale campo di azione tant’è che fin dagli anni della goliardia si era fatto un nome come organizzatore di eventi.
Molte insegne di negozi in città restano ancora oggi come testimonianza del suo estro. Fu Casali uno dei primi a introdurre la pubblicità nelle sale cinematografiche Era Casali a introdurre nel Caffè Nazionale la bacheca coi risultati delle partite del Ravenna e che lui stesso aggiornava ogni domenica pomeriggio a beneficio di quanti passeggiavano per la piazza. E fu un’idea di Casali la bacheca in piazza con le indicazioni dei film proiettati nelle sale della città unitamente al giornalino ‘Flash’ che pubblicizzava i film.
Ma la sua creatura più importante fu ‘Radio Ravenna Uno’, prima emittente radiofonica privata di Ravenna e sicuramente una delle prime a livello nazionale. E Danilo era l’uomo tuttofare, dal regista al conduttore. Il suo seguitissimo programma ‘Valzer, polka, mazurca e taiadell’ fu diffuso per oltre 30 mila ore con grandissimi livelli d’ascolto. Sempre attento alle cose di Romagna, seguiva con interesse gli appuntamenti romagnoli e dovunque si parlasse di Romagna e delle sue tradizioni Danilo non mancava mai.
Ultimamente andava orgoglioso della sua ultima creatura di carta, ‘Nutizi da e’ nostra padlon’, il mitico capanno da pesca n. 35 sul Lamone, dove Danilo riusciva a radunare amici per cenacoli e per mangiate di pesce. Casali ha lavorato fino alla fine. Anche sul letto dell’ospedale pensava a progetti futuri e disegnava bozzetti con quell’estro che aveva ereditato da sua madre, la pittrice Emma Montanari Casali. Danilo Casali fu un vero vulcano di idee e un entusiasta della sua professione, che interpretò sempre con l’animo pulito del bambino. E questa sua onestà è sempre stato il suo inconfondibile biglietto da visita col quale si è guadagnato la stima e l’affetto di molti amici che gli hanno sempre voluto bene. I funerali avranno luogo lunedì 5, alle ore 10.45, nella chiesa di San Rocco.

Franco Gàbici

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Ricordando Elio Quarneti (1959 - 1996)

E' per me penoso e difficile scrivere queste poche righe. Penoso per l'affetto che nutrivo per Elio (eravamo amici da 18 anni), difficile perché la sua personalità era veramente complessa, intricata ed intrigante, profonda, mutevole ed impossibile a riassumersi con una, anche se nobile, "etichetta".
Comunque sia, Elio era anche un anarchico e ci teneva a dirlo. Era veramente anarchico, per le sue scelte di vita, non per i vezzi o le parole. Cioè, era coraggioso, e generoso, in tutto. Non amava i compromessi e le mezze misure, e aveva davvero un pessimo carattere. Diceva sempre in faccia quello che pensava, senza badare alla convenienza o alla reputazione. Però, come tutti i "cattivi", era capace di amare tanto e di dare tutto per poco o nulla!
Di cose ce ne sarebbero da dire, a migliaia, ma debbo essere per forza concisa. E allora dirò che era un cuoco straordinario, uno degli "chef" più bravi e più creativi in Romagna (con tanto di articoli sui giornali); che era stato "chef" indiano di Lotta Continua, poi molto vicino agli anarchici di Ravenna (quando avevano la libreria "A come inchiostro"); che non era mai andato a votare, nemmeno per gioco; che sradicava i cartelloni della Lega per buttarli nell'immondizia; che cancellava le scritte razziste dai muri; che inseguiva i Testimoni di Geova per spaventarli ("Sono il figlio di Satana"); che buttava fuori i fascisti dal suo locale; che spegneva gli incendi nella pineta e li accendeva nei cuori...che era omosessuale, e fiero di esserlo, anche quando gli costava caro...che era una persona al di fuori di tutti gli schemi, di tutte le parrocchie, di tutti i conformismi...che fumava l'erba senza essere uno "sballato", che beveva senza andar di fuori, che era rispettoso degli altrui spazi, parole, silenzi.
Rispettoso fino alla fine, perché la morte non è una cosa da mettere in piazza e chi sa vivere cos', sa morire anche dignitosamente.
Non so se lui avrebbe gradito questo mio scritto, tanto, diceva polemicamente, le parole sulla carta sono alberi sprecati, ma io mi sento di ricordarlo con rabbia e tenerezza a tutti quelli che l'hanno conosciuto (e a Ravenna sono tanti) e anche a quelli che avrebbero potuto incontrarlo, magari notando soltanto il taglio di capelli strafigo con la "A" cerchiata e gli anfibi d'importazione.
Elio amava tantissimo gli alberi, un albero verrà piantato dalle sue amiche e amici a Pian Grande di Castelluccio (Norcia), in sua memoria.
Per me un fratello, un maestro di vita, che lascia un vuoto incolmabile (la misura della sua grande esistenza).
L'11 marzo, alle 3 del pomeriggio, se n'è andato per sempre il mio più caro amico e un compagno impagabile...

Pralina (Firenze) da Rivista Anarchia maggio 1996


il Piano Grande, località umbra dove Elio si recava molto spesso
 e dove si trova un albero in sua memoria

La dimora della morte


E' questa la dimora della Morte?

Son mura di un sepolcro o sono sogni?

O le volte del cielo qui congiunsero

le arcate d'oro delle loro stelle?

E' qui l'alba, e il bagliore vespertino,

la notte quieta, calma, luminosa:

mentre ancor si ottenebra la terra

e luce dopo luce in cuor s'estingue...


Questa tua tomba fulgida di stelle,

questo tetto splendente su di te, dice:

"se anche le stelle mute saranno,

e su di noi ognuna morrà alla fine,

anche se il cielo vestirà a gramaglie,

qui su di te ancora risplenderanno,

qui ancora raggerà il tuo cuor beato"

oh, potesse anche il mio riposare qui!


Testo di ALOIS GRADNIK (1882-1967), uno dei massimi poeti sloveni. 
Nell'immagine il Mausoleo di Teodorico di Ravenna in un'incisione "felliniana" di Giuseppe Maestri (1929-2009), gallerista e incisore romagnolo.

Benito La Mantia e Pierluigi Celli, voci fuori dal coro.


Dopo il trasloco dalla piattaforma di Splinder che è in chiusura in questi giorni, abbiamo recuperato due recensioni molto interessanti.


martedì, 29 aprile 2008


Benito La Mantia e Gabriella Cucca, "La voce di Pasquino", giallo storico nella Roma del 1600


Interessantissimo il nuovo romanzo di Benito La Mantia, palermitano classe 1940 ma romagnolo d'adozione da oltre quarant'anni, e Gabriella Cucca, cagliaritana, e da qualche anno sua compagna nella vita. Un tuffo nella Roma del '600, al tempo del Papa Alessandro VII, un Papa senese che di cognome faceva Chigi (il famoso Palazzo Chigi, appunto). Il protagonista assoluto, però, è Salvator Rosa, pittore che nacque a Napoli nel 1615 e morì a Roma nel 1673 (a destra, autoritratto). Dopo aver abbandonato Napoli poco dopo i vent'anni, si stabilì a Firenze per una decina d'anni circa, ove conobbe Lucrezia, una donna separata, che non lo abbandonò più e divenne la madre dei suoi figli. Con lei si traferì a Roma convivendo more uxorio in un secolo in cui non era facile adottare un simile costume di vita. Salvator Rosa fu uno dei più grandi pittori del suo secolo, un secolo importante per la presenza di illustri personaggi quali Galileo Galilei, i filosofi Cartesio e Spinoza, Evangelista Torricelli, di cui Rosa fu grande amico, e molti altri. Rosa fu un pittore anomalo, nel senso che non lavorava su commissione, come tutti gli altri, ma vendendo le sue opere mediante le varie mostre pubbliche che si tenevano periodicamente in occasione delle varie feste comandate, costituendo così un nutrito seguito di ricchi ammiratori e amatori della sua arte. Oltre che pittore fu però anche musicista ma sopratutto poeta in versi satirici. Già da un secolo circa, infatti, a Roma vi era l'abitudine di scrivere versi satirici che venivano poi affissi su un'antica statua greca di cui nessuno, neppure Michelangelo, seppe mai ricostruire l'arcano. Questi foglietti, che satireggiavano su fatti realmente accaduti e di cui non era molto igienico parlare liberamente, venivano popolarmente chiamati "Pasquinate". Le "Pasquinate" erano opera di vari autori, rimasti per lo più ignoti, e andarono avanti per vari secoli, fino quasi ai giorni nostri. Una moda tutta romana, insomma, che il regista Luigi Magni ritrasse magistralmente nel famoso "In nome del Papa Re", del 1977, con Nino Manfredi. La Roma di quegli anni era una città povera, che viveva oppressa dalla cappa del potere temporale del Papa Chigi, che nei posti di comando aveva inserito quasi tutti i suoi parenti senesi. Corruzione, immoralità, licenziosità e violenza erano gli ingredienti con cui il potere dell'epoca (ma potremmo dire di QUALSIASI epoca), tiranneggiava ed opprimeva il popolino. In questo edificante quadretto un amico di Rosa, professore presso l'Università La Sapienza, viene ingiustamente accusato dell'omicidio della giovane moglie, ritrovata nel Tevere. Il pittore, che gode dell'amicizia di alcuni influenti cardinali, ammiratori della sua opera (tra cui un ravennate, della nobile famiglia Rasponi), si mette ad indagare partendo da una "Pasquinata", che un suo conoscente gli affida, e che risulterà essere la chiave rivelatrice della vicenda. Riuscirà, alla fine, a salvare il suo amico, che, nel frattempo viene torturato secondo i metodi tipici dell'Inquisizione (vi risparmio i dettagli). Un racconto di pura invenzione che però si collega a vicende del tutto comuni per la città e per l'epoca, e che, inoltre, s'intreccia con un episodio assolutamente autentico della vita del pittore: l'esposizione del suo capolavoro "La Fortuna", il 29 agosto 1659, presso il chiostro di S. Giovanni Decollato (sotto in copertina). Un quadro che suscitò scandalo in quanto, mediante un'efficace allegorìa, Salvator Rosa denunciò e ridicolizzò il potere secolare del Papa Alessandro VII. Un potere, come si diceva prima, dai connotati fortemente corrotti e nepotistici. In questo caso, realmente, fu risparmiato da conseguenze molto gravi proprio grazie ai buoni uffici di cui godeva presso i suoi amici Cardinali. Un libro dalle atmosfere molto suggestive e molto evocativo, specie per chi, come me, è appassionato di storia e di cinema. Ricco di dialoghi e di luoghi tipici da "location" cinematografica, è praticamente una sceneggiatura già pronta, ed io, se fossi un produttore cinematografico, non mi lascerei sfuggire assolutamente una chicca del genere.


Il libro in parte riprende le tematiche del precedente libro della coppia, uscito circa un anno fa, "Libri proibiti", sempre per i tipi di Stampa Alternativa. Un volume che ha avuto un successo a livello internazionale, essendo stato acquistato anche da prestigiose Università francesi e spagnole. Il volume ripercorre quattro secoli di censura cattolica, in quanto l'indice fu inaugurato da Paolo IV a metà del 1500 e ufficialmente abolito solo nel 1966 da Paolo VI. Praticamente tutti vi furono inclusi: scrittori, poeti, scienziati, filosofi, ed anche il nostro Salvator Rosa, le cui satire, pubblicate postume, furono proibite per oltre cent'anni, fino alla fine del XIII secolo. Questo era il grande Salvator Rosa, pittore e poeta d'immenso talento, ma anche spirito libero e uomo tutto d'un pezzo, a cui proprio in questi giorni la sua città, Napoli, gli sta dedicando la prima grande mostra monografica, dopo oltre tre secoli dalla morte. Meglio tardi che mai. Per chiudere un altro dei suoi magnifici dipinti.



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venerdì, 16 maggio 2008


Le confessioni di un italiano manager pentito

Ho preso a prestito il titolo di un grande romanzo ottocentesco di Ippolito Nievo per parlarvi di questo libro di Pierluigi Celli, romagnolo di Verucchio, classe 1942, ed ex dirigente di moltissime grandi aziende nel recente passato. "Altri esercizi di pentimento", edito da Aliberti, è una raccolta di racconti dal sapore spesso autobiografico, dove l'autore ha voluto a suo modo esorcizzare l'universo dei sentimenti che accompagna da sempre il fattore pentimento. "Oggi pentirsi non è più di moda" racconta Celli "Anche perchè uno non può semplicemente pentirsi davanti a sè stesso. Pentirsi da soli davanti alla propria coscienza è paragonabile ad un suicidio compiuto per il rimorso di aver ucciso qualcun'altro, ecco perchè non si può fare". L'idea che traspare nei racconti di Celli è che di pentimento vi sarebbe un gran bisogno nella nostra società, sopratutto ai massimi livelli. "Nei sistemi sociali chiusi - commenta l'autore - come quelli industriali o quelli delle grandi aziende che io conosco bene, i manager compiono spesso delle vere e proprie uccisioni di massa, attraverso le riorganizzazioni e i licenziamenti. Le ristrutturazioni sono uno dei modi più sottili per uccidere le persone, sia a livello psicologico che intellettuale". Già, e questo porta a volte anche a suicidi veri e propri e alla distruzione di interi nuclei familiari, aggiungo io. Celli ad un certo punto dice: "Però anch'io mi sono pentito di aver licenziato duemila persone dalla RAI, perchè ho cacciato quelli che la televisione la sapevano fare, e adesso si vede". Meglio tardi che mai, mister Celli, vero? Di questo libro colpisce il racconto "Distacchi n. 2", dove il protagonista, un manager, decide di morire in solitudine, afflitto da complessi sensi di colpa nei confronti dei suoi più stretti collaboratori. "Perchè la vita, vista dal punto di vista della fine, non ha alcun senso, sopratutto nei casi di quelle vite che si pretendono eccezionali". Giusto, mister Celli, anche se è una conclusione vecchia di millenni: il Qoeleth, libro del Vecchio Testamento, è pieno zeppo di riflessioni di questo calibro. Pare però che il nostro Celli voglia concedere il bis. Sta preparando, infatti, un "Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo", in cui si prefigge di svelare gustosi siparietti vissuti ai tavoli dei consigli di amministrazione delle più grandi aziende del nostro Paese. Non che mi aspetti chissà quali rivelazioni, visto che il sistema delle grandi aziende (come il sistema più in generale) è marcio fino al midollo, e non fa altro che replicare, con conseguenze ben più gravi, ahimè, le liti e le meschinerie che si possono vedere in una riunione di condominio o ad una discussione in un bar durante una partita di calcio. In fondo, anche se indossa una bel doppio petto regimental e una cravatta firmata, l'essere umano resta un mammifero, alla resa dei conti, neppure dei più ragionevoli.


Nildo Breviglieri e Claudio Marabini


Dopo il trasloco dalla piattaforma di Splinder che è in chiusura in questi giorni, abbiamo recuperato due ricordi scritti da Andrea Trerè, di un pittore e di un giornalista romagnoli entrambi scomparsi nel 2010. Un altro pezzo della Romagna che scompare.


venerdì, 05 febbraio 2010


Un saluto a Nildo Breviglieri

Non dovrei più fare caso ai manifesti mortuari, ma purtroppo è inevitabile. Ieri non ho potuto fare a meno di notare quello dell'ennesimo artista che conosco da molti anni e che ora se ne va. Nildo Breviglieri aveva ottantadue anni ed era un apprezzatissimo pittore e acquerellista romagnolo, noto in Italia e all'estero. Questo ritratto su acquerello me lo fece in pochi minuti nel 1990 a Riolo Terme, in occasione dell'inaugurazione del Premio Letterario Vallesenio, che vide al sesto posto fra i premiati nella sezione poesia un certo Licio Gelli, poeta, da Arezzo. L'eco fu enorme (Licio Gelli era ancora sotto processo) e per il Vallesenio fu una pubblicità incredibile. Il Premio decollò al punto che negli anni successivi si permise il lusso di invitare come ospiti personaggi come Alda Merini, Franco Loi, o il figlio di Quasimodo, attore presso la RadioTV Svizzera. Nildo era stato invitato per ritrarre poeti e ospiti, e in quell'occasione il sottoscritto era presente sia come poeta che come collaboratore di un quotidiano locale. E così ci ritrovammo nella stessa tavolata a poca distanza dal Maestro "Venerabile" che era in compagnia di sua moglie e di una innumerevole scorta poliziesca (ah, i nostri soldi!). Nildo non si scompose e, tra una chiacchiera e l'altra, eseguì questo mio ritratto su cartoncino e me lo regalò. Era un uomo di poche parole, schivo, sempre un pò al di sotto dalle righe. Gli proposi un'intervista, che però non fu mai realizzata. Anche qui non si scompose: le rare volte che ci incrociavamo per strada o a qualche sua mostra era sempre tranquillo, affabile, con quel suo sguardo buono che sa di antico. Un pò amaro, negli ultimi anni, dopo essere rimasto vedovo, anche se ha continuato ad esporre fino a tre anni fa. Una persona squisita, d'altri tempi, e un grande artista che ricorderò a lungo. Ciao Nildo, fai buon viaggio.




venerdì, 18 giugno 2010


Addio al grande Claudio Marabini

Giornalismo e cultura in lutto per la morte, a ottant’anni, di Claudio Marabini. Giornalista, scrittore, critico, appassionato e infaticabile esploratore dei sentieri della letteratura, Marabini era una firma ben nota ai lettori delle pagine culturali del "Resto del Carlino" prima, poi anche della "Nazione" e del "Quotidiano Nazionale". Con lui se ne va uno degli ultimi interpreti di un genere che ha fatto la storia della mitica "Terza Pagina": la recensione. Pochi giorni fa, scrivendo per Nuova Antologia il testo del suo «Diario di lettura», la rubrica di critica letteraria che teneva puntualmente nelle pagine della rivista dal 1986, Claudio Marabini richiamava l'attenzione sull’ultimo brano (e tale resterà) intitolato "L'articolo". Rileggendolo alla notizia della sua scomparsa ci si accorge che più che un testamento spirituale è l’estremo omaggio, autentico atto di amore, di chi ha coniugato per l’intera esistenza cultura e giornalismo, un binomio assolutamente inscindibile. Un sentimento di gratitudine per il compagno fedele di ogni giorno, che ti consente di vincere la solitudine che è in noi comunicando agli altri pensieri, sentimenti, emozioni. "Il pensiero dell’articolo... - sono le parole iniziali di Marabini - La sua presenza nella mente e nella giornata: nella vita, dunque, di chi affida all’articolo almeno una parte della sua giornata. Solo la giornata o almeno una parte della vita... o tutta, forse? Difficile poterlo dire. Ma l’articolo è una cosa misteriosa: nascosto in parte, o del tutto... L’articolo è tutto o quasi. Forse è veramente tutto...".
Di articoli Claudio Marabini ne ha scritti migliaia, specie sul "Resto del Carlino" e nei più autorevoli periodici letterari. Ma ognuno scaturiva dalla mente e dall’anima come fosse il primo: frutto, sempre, di letture attente e mature riflessioni, di genuino entusiasmo e di desiderio di confrontarsi. Una straordinaria capacità di comprensione critica degli autori, la sua, dall’Ottocento all’età contemporanea. Scrittore egli stesso e autore di romanzi di successo quali La notte vede più del giorno, Il passo dell’ultima dea, Malù, Carossa, L’Acropoli, I sogni tornano. Narrativa ma anche saggistica, fin dai primi lavori di tal genere: Gli anni Sessanta, narrativa e storia e I bei giorni. L’efficacia del ritrattista e talora del bozzettista emerge dai penetranti elzeviri della terza pagina del "Carlino" o dagli agili capitoli de La Chiave e il cerchio e del già ricordato I bei giorni. Fra i protagonisti degli '"ncontri" gli sono particolarmente cari Eugenio Montale e Dino Buzzati. Nel cuore, sempre, la Romagna di Giovanni Pascoli e Manara Valgimigli, e quel "suo" dialetto romagnolo (era nato a Faenza nel 1930) che custodiva e coltivava con lo stesso amore riservato alla purezza della lingua italiana, nella quale era autentico maestro. Saggistica non solo letteraria la sua, ma anche civile e di costume, osservatore sensibile della realtà del nostro tempo, attento al cambiamento, che accettava pur non giudicandolo talora in modo positivo. Dall’alto del suo osservatorio di buon senso, conservava intatta la fiducia, che gli trasmetteva ottimismo, fondata sulla solidità dei valori dell’uomo. Qualcosa resta, è il titolo di un fortunato libro del 1975: "Restano gli umili passi, la quotidiana fatica e l’occhio cercante di chi non si risolve a credere che i passi dell’uomo non abbiano una direzione". Uno degli ultimi grandi di Romagna, davvero.

venerdì 13 gennaio 2012

"E' di rigore l'abito da pera e solidali con le lavoratrici dell'Omsa" al CPA Firenze sud

30 gennaio 2011 - ore 22.30

Centro Popolare Autogestito (CPA) – Firenze Sud Via Villamagna 27/a – Quartiere Gavinana

Dopo il successo delle scorse edizioni, non poteva non succedere. E così si ragionava con lo zio Giò delle Officine Cinematografiche di un terzo evento. Ancora più bello e più incazzato, con torte patafisiche, musica con diggiei dal vivo, expo di abbigliamento autoprodotto e scambio regalo di vestiti e accessori.
Cerchiamo modelli e modelle di tutte le taglie, sessi, colori e misure per la terza sfavillante e scintillante (e anche esplosiva) sfilata di bassa moda che si terrà al Centro Popolare Autogestito di Firenze sud. Faremo satira e ci divertiremo a detournare con zero spese e tanta fantasia i modelli dominanti, imposti da stilisti misogini, prelati (da qui pret a porter), palazzinari, cementificatori, normalizzatori, visi pallidi, massoni e missoni, eredi del berlusconismo machista arrivista, rampanti fichetti renziani e tutta la Firenze (e non solo) di Pitti Potta. L'evento è itinerabile, situato durante una proiezione di un film dei Fratelli Marx e organizzato dal PARTITO GROUCHO MARXISTA D'ITALIA e OFFICINE CINEMATOGRAFICHE, con la partecipazione esagerata delle BRIGATE GROSSE. La moda siamo noi.
C'è ancora molto tempo ma non troppo, stanno già arrivando tante adesioni, in particolare cerchiamo i Calvi Klein, ma ogni contributo (anche sotto forma di pubblicità e recensioni) sarà benvenuto.

LA PRESENTE EDIZIONE SARA’ DEDICATA ALLE LAVORATRICI DELL’OMSA CHE SONO STATE LICENZIATE DA QUESTA MULTINAZIONALE CHE PREFERISCE SPOSTARE LA DITTA IN SERBIA E TOGLIERE LAVORO ALLE FAENTINE. LO SLOGAN E’ “MA PIUTTOSTO MI METTO AI PIEDI UN PAR DI BUSTE DELLA NETTEZZA!”

“La miglior sovversione non consiste forse nel distorcere i codici anziché nel distruggerli?" Roland Barthes




Come arrivare:


In treno:

Dalla Stazione Santa Maria Novella prendere l'autobus n. 23 (direzione Sorgane o Nave a Rovezzano) e scendere in P.zza Gualfredotto da Milano. Prendere via Lapo da Castiglionchio e, una volta arrivati su via Villamagna, girare a destra.
Oppure, sempre dalla Stazione Santa Maria Novella, prendere il bus 31 (direzione Grassina) o 32 (direzione Antella) e scendere alla prima fermata di Viale Giannotti. Facendo poche decine di metri, sulla sinistra, si arriva in P.zza Gualfredotto da Milano. Prendere poi via Lapo da Castiglionchio e, una volta arrivati su via Villamagna, girare a destra.

In auto:

Dall'autostrada A1 (sia venendo da Roma che da Bologna) uscire al casello di Firenze sud. Dopo il casello procedere sullo svincolo fino all'uscita "Viale Europa". Percorrere Viale Europa, al secondo semaforo girare a destra ed andare sempre dritti fino in fondo. Quando si sbuca su via Villamagna girare a sinistra.


Per info sul CPA: http://www.cpafisud.org/

lunedì 9 gennaio 2012

Dal sito di Rai Televideo, La protesta corre sul web

Aderiamo a questa iniziativa segnalando che in una sola pagina di Facebook e in pochi giorni stanno raccogliendo 100 mila adesioni, in gran parte di donne italiane (in solidarietà con le lavoratrici licenziate) che non compreranno mai più prodotti del marchio Omsa, Sisi, ecc. almeno fino a un ripensamento dell'azienda.




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Omsa, boicottaggio in reteLicenziate 239 lavoratrici, si moltiplicano in Rete le pagine di solidarietà
di Paola Cortese

Si moltiplicano su Facebook le pagine di solidarietà alle 239 lavoratrici licenziate da Omsa per portare la produzione in Serbia, dove il costo del lavoro è stracciato. Delocalizzare, si dice. E non per problemi di crisi del marchio mantovano. Pare che la decisione del patron Nerino del Grassi sia dovuta alla genuina volontà di aumentare il profitto. E così sul potentissimo tazebao del secondo millennio, Facebook, ma anche su Twitter, l’invito a boicottare il marchio, “Mai più Omsa”, assieme a tutti quelli collegati, come Sisi e Golden Lady, assume la forma di una crociata in cui si sono imbarcati già decine di migliaia di utenti.
La storia ormai è nota: le 239 operaie dell’azienda di Faenza ricevono la notizia del licenziamento il 31 dicembre, dopo mesi di trattative senza esito. A spasso a partire dalla metà di marzo 2012, alla fine di un periodo di cassa integrazione straordinaria in corso. Ora la leader della Cgil Susanna Camusso dice: "Il vero dramma che abbiamo oggi è che sono stati presi impegni dall'azienda che non si stanno traducendo nella realtà". Come dire che non c’è più molto da fare.
Eppure la mobilitazione via web, oltre a scatenare il boicottaggio delle calze e dei collant, ha anche lo scopo di indurre l’azienda a un ripensamento. Perché in un’epoca in cui le scelte dei consumatori sono più consapevoli, il fatto di voler guadagnare a spese dei lavoratori può diventare un boomerang per l’imprenditore. Bisogna chiedersi se la decisione di delocalizzare non finisca per essere vanificata in poco tempo dalla perdita di acquirenti. E se, da ora in poi, il marketing tradizionale non debba tenere conto anche di decisioni dei consumatori basate non solo sul prezzo e sulla qualità dei prodotti ma anche sulla qualità “politica” e “morale” delle strategie aziendali.
In Omsa tirava una brutta aria da anni, da quando si è cominciato a parlare di un trasferimento in Serbia, a causa degli incentivi offerti da Belgrado, che ci va giù duro: sgravi fiscali dai 5mila ai 10mila euro annui per ogni posto di lavoro creato sul luogo, oltre alle esenzioni doganali e altre agevolazioni fiscali. Nel luglio del 2010 la decisione è presa: cominciano i periodi di cassa integrazione, fino ad arrivare al licenziamento collettivo, comunicato per fax alle dipendenti di Faenza. Un mezzo obsoleto, cui ha risposto l’artiglieria pesante dei social network. E ora la parola ai consumatori.
Intanto, il 12 gennaio le parti si incontreranno al ministero delle Attività produttive per cercare una soluzione: magari qualcuno disposto a comprare lo stabilimento mantenendolo a Faenza.




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dal sito RAVENNA OGGI

il caso

Omsa: Coop non esclude il boicottaggio e la Regione combatte la delocalizzazione

 Allo studio una legge. L'assessore: «Chi se ne va, risarcisca»

di Matteo Cavezzali

È partito come noto un progetto popolare di boicottaggio dei prodotti Omsa/Golden Lady. Dentro i supermercati di Coop Adriatica tali prodotti abbondano. Un boicottaggio che avesse l’appoggio di una simile rete di vendita avrebbe un peso economico e mediatico non indifferente. Una cosa impossibile? Non secondo il vicepresidente di coop Adriatica Giovanni Monti. Il codice etico della cooperativa infatti prevede la tutela dei prodotti provenienti dal territorio. «Il 53% dei prodotti venduti da coop Adriatica viene dalle regioni in cui la cooperativa si trova e l’85% dei prodotti sono italiani. C’è un controllo di qualità e di provenienza e criteri per la tutela dei clienti (che sono i soci della cooperativa), i dipendenti e anche dei fornitori. Ad esempio acquistiamo i prodotti di Libera Terra, che lavora i terreni confiscati alla mafia, e abbiamo i prodotti equo solidali che garantiscono una giusta retribuzione ai lavoratori del terzo mondo». Ma una grande catena come Coop Adriatica potrebbe addirittura decidere di non accettare più come fornitore chi decide di delocalizzare a discapito del territorio? «Sì – spiega il vicepresidente – a livello formale è possibile. Per i prodotti non alimentari gli accordi con i fornitori sono presi da coop Italia. Certo è una decisione politica che richiede di essere ponderata con cautela e mediata dalle Istituzioni locali, anche perché coinvolgerebbe non solo un supermercato, ma tutto il sistema coop».
(04 Gennaio 2012) Per capire se un boicottaggio può essere sponsorizzato da un’istituzione abbiamo chiesto all’assessore Regionale alle attività produttive Gian Carlo Muzzarelli, che sta seguendo da vicino la vicenda delle operaie. Pur avendo in più occasioni cichiarato che «noi come Regione Emila-Romagna abbiamo bisogno di mandare un messaggio inequivocabile e cioè che stiamo con le lavoratrici», l’assessore sul boicottaggio preferisce andare cauto ritenendola un’opzione molto difficile da praticare per una regione.
«Ogni consumatore, ogni cittadino – dice Muzzarelli –, è libero di comprare o meno i prodotti di una determinata azienda, ovviamente. Il compito delle istituzioni è però ben altro: non quello di dare consigli per gli acquisti in un senso o nell’altro, ma quello di rilanciare le imprese, il lavoro e l’industrializzazione. Ricordo tra l’altro che oggi in Italia il gruppo Golden Lady ha oltre 2000 lavoratori. Noi crediamo fortemente nel Made in Emilia-Romagna, che è una parte fondamentale del Made in Italy. Un conto è progettare, sviluppare e produrre in Italia, un altro conto é farlo in Serbia. Ne va della qualità e della affidabilità del prodotto. Quando questo avviene con un marchio storico come Omsa, non posso non rilevare che la proprietà mette a repentaglio la stessa credibilità verso i consumatori ed i clienti, e penso anche le prospettive per la stessa impresa, quindi è un errore».
Che provvedimenti sta pianificando la Regione per penalizzare le aziende che chiudono le sedi sul territorio? È possibile agire a livello generale o serve agire su qualche caso esemplare da cui partire per lanciare un messaggio? L'Omsa potrebbe essere questo esempio da cui iniziare?
«I provvedimenti legislativi sono necessariamente generali, e non possono riguardare un caso piuttosto che un altro (del resto, non abbiamo certo il potere di applicare sanzioni). Stiamo lavorando a un progetto di legge per valorizzare le imprese che sono e restano in Emilia-Romagna, offrendo lavoro sicuro, stabile e di qualità. Per noi appetibilità e attrattività di un territorio sono fondamentali, e il nostro lavoro, con tutti i mezzi e le risorse a disposizione, vuole rendere più facile fare impresa da noi. Quindi già oggi, sotto tanti aspetti, “premiamo i migliori”. Come ho avuto modo di dire anche di recente, ritengo che ci debbano essere nuovi accordi e patti di lealtà tra imprese e lavoro, anche con un periodo di necessaria permanenza in Emilia-Romagna (di durata da valutare, ipotizziamo circa 5 anni) per imprese che hanno ricevuto finanziamenti, sostegno, incentivi dalla Regione Emilia-Romagna. E’ ragionevole ipotizzare un progetto di legge in base al quale chi se ne va prima di quella scadenza, impoverendo il territorio e sottraendo posti di lavoro, debba restituire quanto percepito».

13 - 01 - 2012

venerdì 6 gennaio 2012

Aggiornamento sulla OMSA. Dal sito Il Popolo Viola




ULTIM’ORA, LA OMSA MINACCIA: “Il boicottaggio sicuramente avrà un peso importante, ma andrà anche a discapito di tutti coloro che lavorano ancora in Italia. La crisi del 2008 ci ha spinto a dover prendere delle decisioni.”
La Omsa costretta a rompere il silenzio e a rispondere al furioso tam tam mediatico che da giorni imperversa sul web con numeri da capogiro: oltre 60.000 adesioni e 560.000 invitati all’avento “Mai più Omsa” promosso dal nostro blog e migliaia di commenti sulla fanpage del gruppo. La risposta è arrivata poche ore fa, su Facebook; un comunicato che riassume, dal punto di vista dell’azienda, i passaggi salienti che avrebbero portato alla decisione di chiudere lo stabilimento di Faenza e traslocare in Serbia: “La sorte delle lavoratrici e dei lavoratori OMSA -recita la nota- oltre che quella di tutti gli altri dipendenti è tra le priorità del gruppo, che è all’opera con tutti i soggetti preposti per trovare la soluzione più soddisfacente, insieme”. Ma sul web non sembra crederci nessuno. Ecco il testo integrale del comunicato:
“In risposta alle vostre considerazioni, abbiamo deciso di essere trasparenti per darvi il nostro punto di vista sulla vicenda. Per permetterci di prendere in considerazione tutti i vostri commenti abbiamo creato uno spazio dedicato per ascoltarvi.
Lo stabilimento OMSA di Faenza ha una lunga storia, che inizia nel 1941 e che incrocia la storia della Gruppo Golden Lady Company nel 1992, quando ne viene acquisito il marchio. Da allora la direzione del gruppo ha sempre garantito ai propri dipendenti un posto di lavoro dignitoso ed un livello di retribuzione sopra la media. Anche dopo il 2001, anno a cui risale la decisione di realizzare in Serbia gli stabilimenti di Valievo prima e di Loznica poi, con l’obiettivo di attivare nuove produzioni nel settore dell’intimo e di dare una risposta competitiva allo sviluppo dei mercati dell’Est.
Allargare la propria organizzazione produttiva verso i paesi dell’Est significava, e significa tuttora, da una parte portare all’interno della propria organizzazione produttiva lavorazioni prima effettuate da aziende terze, dall’altra aumentare le esportazioni verso i Balcani grazie agli accordi di libero scambio tra la Serbia e la Russia, che consentono l’abbattimento dei dazi doganali. L’apertura degli stabilimenti serbi non ha minimamente influito sui livelli di produzione e di occupazione dello stabilimento OMSA di Faenza, anzi ha preservato gli standard di lavoro, senza ripercussioni economiche o sociali.
Nel mese di ottobre 2008 tuttavia si manifestava un’improvvisa crisi finanziaria internazionale, ed il conseguente apprezzamento dell’Euro ha provocato difficoltà nelle esportazioni, con un calo di fatturato complessivo di circa 66.000.000,00 di Euro per l’intero gruppo, i cui effetti si protraggono tuttora. Tale crisi ha indotto la direzione del gruppo italiano ad una riorganizzazione generale del gruppo per non soccombere davanti alla sempre più aggressiva competizione dei paesi a basso costo di produzione. Un riassetto organizzativo che non passa solo attraverso l’ottimizzazione dei costi, ma anche attraverso più razionali sinergie distributive dei prodotti.
Il bilanciamento della produzione tra Serbia e Italia, ha dunque comportato decisioni drastiche, a volte sofferte, come la riduzione della capacità produttiva in Italia (a fronte dei costi di produzione troppo onerosi) e la dismissione degli impianti in Francia, Germania e Spagna, e a volte coraggiose, come la realizzazione presso uno degli stabilimenti della provincia di Mantova di un unico polo logistico-distributivo di servizio a tutte le aziende del gruppo, che promette al consumatore un miglior rapporto qualità/prezzo del prodotto.
Il gruppo precisa che la decisione è stata presa in ottemperanza alle leggi italiane ed al principio di libera impresa, nel pieno rispetto del diritto del lavoro, mediante una trattativa che ha visto coinvolti i principali sindacati, enti locali, Regione Emilia Romagna e … oltre alla direzione dell’azienda, tesa a trovare un’alternativa occupazionale ed incentivi al personale in esubero. La sorte delle lavoratrici e dei lavoratori OMSA, oltre che quella di tutti gli altri dipendenti è tra le priorità del gruppo, che è all’opera con tutti i soggetti preposti per trovare la soluzione più soddisfacente, insieme.
Il Golden Lady Group Spa sa che il prodotto in ultima analisi “lo fa chi lo acquista”, e garantisce il massimo impegno nel mantenimento di un livello di competitività sostenibile sul mercato, consapevole della sfida alla produttività che attende l’intero Sistema Moda italiano.”
Un primo risultato, dunque, è stato già raggiunto: fare uscire l’azienda allo scoperto, costringerla a rispondere pubblicamente ai cittadini che protestano da giorni sul web e continueranno a farlo finché non rientreranno i licenziamenti delle 239 lavoratrici dello stabilimento di Faenza. Non fermiamoci adesso.

MassimoMalerba