giovedì 13 febbraio 2014

Ravenna. Prete ubriaco salvato dalle acque.



da Ravenna Oggi


Il prete col Suv aveva alcol nel sangue quasi quattro volte oltre il limite


«Il mio fisico reagisce male, non ero ubriaco. Forse i test sono troppo severi. La Bmw? Viaggio molto, non posso usare una Panda»


di Andrea Alberizia


Il recupero dell'auto di don Desio













Per salvarlo dalle acque è sicuro che ci abbia messo la zampino la provvidenza sotto forma dei tre cittadini, ringraziati dal vescovo, che hanno sentito il boato e si sono tuffati con un martello per sfondare il lunotto. Don Giovanni Desio – 51enne nato a Milano, parroco di Casalborsetti da 13 anni, poeta che nel 2008 dedicò versi erotici alla donna «errante, erotica, eretica» del Ravenna Festival, direttore del settimanale diocesano Risveglio 2000 – è finito nel canale della località costiera la sera del 10 febbraio. John, come lo chiamano i parrocchiani più fedeli e come si firma su Facebook, era al volante di un Bmw X1 comprato da circa un mese per 35mila euro. Ravenna&Dintorni è in grado di poter dire che aveva un tasso alcolemico di 1,8 grammi per litro di sangue (a fronte di un limite consentito dal codice della strada 0,5). Sono i risultati delle analisi all’arrivo in ospedale.

Don Desio, serata travagliata… «Direi un incubo». Com’è finito nel canale? «Rientravo a casa dopo una cena con allegria e spensieratezza da una famiglia di parrocchiani. Non mi sono accorto di un’auto posteggiata sulla destra: scura, lampione spento, erbaccia, occhiali appannati, pioggia, tergicristallo: l’ho beccata in pieno e con l’urto sono finito in acqua». Sta dicendo che la strada è poco sicura? «Strada stretta, se parcheggiano si restringe».

Don Giovanni Desio











Cosa ha provato quando l’acqua ha cominciato a entrare nell’abitacolo? «Ansia, panico, paura. Vedi la morte in faccia in carne e ossa». Poi sono arrivati quei tre… «Hanno sfondato il lunotto e ho sentito che mi dicevano “Girati, prendi la mano, scavalca i sedili”. Mi hanno tirato fuori come un bambino dall’utero. Senza quei tre non ce l’avrei fatta. Li ringrazio». Domanda inevitabile: aveva bevuto? «Quello che si beve normalmente in una cena. Non so che tasso avessi ma ho la coscienza pulita». Crede che fosse in condizioni di guidare? «Certo, ero già 50 a metri da casa, solo non ho visto l’auto parcheggiata. Quando sono uscito dall’abitacolo ero lucido. Può essere che il tasso fosse sopra la norma ma oggi basta un bicchiere di birra. Poi a cena a volte te lo versano anche se non lo vuoi». Se le dicessimo che aveva 1,8 di alcolemia? «Non so i dati». Glieli diciamo noi. Aveva 1,8. «Ah sì?». Sì. «Lo imparo adesso. La ringrazio di avermelo detto. Allora il vino lo tengo male. Probabilmente il mio sangue reagisce male all’alcol». Cosa aveva bevuto? «Due o tre bicchieri di vino bianco. Il rosso so che mi fa male e non lo bevo mai». In auto con 1,8. Un gesto avventato? «È un tasso che non va bene. Forse spropositato rispetto a quanto bevuto a cena. Io sono uscito da quella casa sobrio e sono andato a casa sobrio». Le analisi non dicono la stessa cosa. «Tasso alcolemico e stato di ebbrezza non sempre corrispondono. Io non ero ubriaco». Si metta nei panni dell’uomo della strada: don Desio dice che non era ubriaco ma è finito nel canale con 1,8 di tasso alcolemico… «So che è difficile da capire ma è così, le persone che mi hanno visto sanno che ero sobrio». Un parroco al volante con 1,8 è chiamato a una riflessione di fronte alla comunità? «I miei giovani in parrocchia non bevono altrimenti prendono dei tozzoni. Si comprano grandi casse di Coca Cola. Mi dispiace essere andato oltre la legge, non era intenzionale. Mai stato ubriaco in vita mia. Forse il dibattito dovrebbe essere sull’eccessiva severità dei test: o le leggi vengono riviste e viene ponderata la gravità o altrimenti davvero se bevi un bicchiere… Sono finito nel canale per l’urto». Non può essere conseguenza dell’ebbrezza? «Se fossi stato sbandato mi sarei ritrovato a sinistra e non a destra. Poi gli occhiali appannati…». Per cosa? «Il condizionatore in auto». Un Suv Bmw X1 da 35mila euro... «È un regalo di famiglia per buona metà. Mi permette di affrontare i lunghi viaggi per sacerdozio e giornalismo, non mi posso spostare con una Panda: non arriverei più, non sarebbe sicura. Giro l’Italia perché sono un critico cinematografico e musicale, ho necessità di un’auto che mi garantisca rapidità. Comprata a chilometri zero cedendo la vecchia, senza usare i soldi della questua». “A me fa male quando vedo un prete con la macchina di lusso”, disse Papa Francesco. «Mica avevo un Bmw 5100. Non mi si faccia passare per un mostro. Faccio un lavoro educativo». Lo farà ancora? «Come sempre, perché quella sera non ero ubriaco. Se potete evitate di crocefiggermi visto che sono risorto dalle acque».

13 - 02 - 2014

mercoledì 12 febbraio 2014

Ciao, Freak



Estate 1990. L'Italia gioca il suo mondiale di calcio in casa. Impazzano le "Notti Magiche" dell'inedito duo Nannini-Bennato. A Ravenna un gruppo di giovani riuniti nel "Comitato Spazi Sociali", occupa col consenso del Comune l'ex Macello comunale per un'estate di feste, concerti e tanto altro. Il patto era di usarlo per una sola estate in vista dell'imminente riqualificazione dell'area del vecchio macello, cosa che a tutt'oggi, dopo 24 anni, è ancora di là da venire, e cosa che del resto a cui nessuno aveva creduto. Comunque, una bella e divertente esperienza, che culmina a settembre col concerto degli Skiantos, il cui leader, Roberto Antoni, è scomparso stamattina per un male incurabile a nemmeno 60 primavere finite. Il concerto fà il pieno di presenze consentito dall'area (700 persone), che, a 5000 lire di entrata, arrivano a totalizzare i 3,5 milioni di lire richieste dal gruppo come cachet. Insomma, un successo. Gli Skiantos sono nel pieno della loro forza propulsiva. Freak Antoni, prima di salire sul palco, mi concede questa intervista che riproduco integralmente, a ricordo di questo grande, che ho reincontrato varie altre volte nel corso degli anni.


Dopo di voi molti altri gruppi hanno seguito il filone rock demenziale. Siete forse dei capostipiti?

"Bè, capostipiti è una parola che ci fà un pò impressione. Forse siamo stati dei cattivi maestri, ma senza volerlo. Credo piuttosto che la nostra idea abbia avuto dei complici. Ecco, questo sì... tanta gente aveva la tentazione di fare le nostre stesse cose. Quindi diciamo che c'erano delle idee nell'aria e noi siamo stati i primi ad organizzarle"

Come vi vengono le ispirazioni per i testi?

"I testi li abbiamo sempre maturati all'interno di una nostra visione particolare delle cose. Il punto di partenza è sempre il testo scritto. Diciamo che l'operazione degli Skiantos è nata più come esperienza letteraria, poi la musica è venuta fuori prepotentemente. In questi ultimi anni abbiamo curato di più l'aspetto musicale, cercando di migliorare sopratutto la tecnica. I testi nascono in mille maniere; una volta che tu hai stabilito delle regole, ecco che tutte le idee che capitano vengono sagomate da questi parametri. Per esempio noi usiamo molto il gergo, quindi una frase che usiamo frequentemente fra di noi può facilmente diventare l'dea portante di tutto un testo. Come pure una battuta, o una situazione paradossale. Ad esempio "Sono un ribelle, mamma", è nata dal racconto, fattomi da alcuni amici, di un ragazzo che, per fare il ribelle, andava ai concerti facendosi stirare jeans sdruciti e la maglietta rotta... ecco, questo era un figlio di mamma, come quasi tutti i ragazzi italiani, che giocava a fare il ribelle senza rendersi conto della sua contraddizione"

Una componente fondamentale per fare questo tipo di musica è quella ludica.

"Sicuramente. Noi pratichiamo umorismo, ironia, e riteniamo che il genere comico quando è efficace, possa sublimare ed esorcizzare il tragico della vita... quindi, sì, è indispensabile per poter sopravvivere e inoltre ha un'enorme potenza nell'esorcizzare tutte le tragedie e le paranoie quotidiane... quando riesce, e non sempre riesce"

Ultima domanda... ma a voi Skiantos, chi vi paga?

"Eh... a noi non ci paga quasi mai nessuno, è questo il vero problema. Ci manca lo sponsor, ci mancano dei discografici onesti che ci facciano vedere dei rendiconti autentici, e ci manca gente che ci dica come stanno realmente le cose! Per anni e anni abbiamo avuto a che fare con dei ladri... poichè ladro non è solo chi entra nelle case a rubare, ma è anche chi omette di mandarti dei rendiconti, e chi ti paga pochissimo o in grande ritardo"

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ancora sugli Skiantos e Freak Antoni...


GLI ANNI DI PONGO  dal blog Superpralinix

sabato 8 febbraio 2014

Notizie ANSA 8 febbraio 2014. MAR museo d'arte di Ravenna. Buco talmente realistico che... il muratore lo stucca!





Un foro disegnato nel muro talmente realistico da ingannare non solo il pubblico, ma anche un operaio addetto a lavori di muratura, che lo ha stuccato. E' accaduto al 'Mar', il Museo dell'arte di Ravenna, dove il riminese Eron, al secolo Davide Salvadei, aveva realizzato un'opera per una mostra del progetto 'Critica in arte'. Su una delle pareti espositive - racconta l'artista al Resto del Carlino - aveva disegnato l'ombra lasciata da un grande specchio, posizionato sul pavimento come se fosse caduto. Per rendere ancor più realistica la scena aveva realizzato persino il buco del chiodo che avrebbe dovuto sostenere la cornice dello specchio. Un'esecuzione così 'reale' che i visitatori della mostra più volte si sono chiesti se quel foro fosse vero o invece fosse soltanto dipinto.
La mostra si è chiusa poco meno di un mese fa e lo specchio è stato rimesso al suo posto. Restava da ridipingere la parete con il buco. Eron e il museo avevano già concordato che a quel punto non c'era più bisogno di mantenere il disegno del buco, che era propedeutico all'installazione. Ma quando l'operaio incaricato di sistemare le sale del Mar, in vista della nuova esposizione, ha cominciato a riverniciare, di fronte al buco non ha avuto dubbi: ha preso lo stucco bianco e lo ha coperto. "Ci sarei rimasto peggio - ha commentato Eron - se l'operaio si fosse accorto che era un buco finto. Stuccandolo, invece, in un certo senso mi ha aiutato a 'completare' l'opera".

domenica 2 febbraio 2014

Addio a Guido Leotta di Moby Dick, una intervista di Marilù Oliva datata 9 aprile 2010

Intervista a Guido Leotta, MobyDick editore

di Marilù Oliva

Guido Leotta è direttore editoriale di Mobydick fin dal 1985 (anno di uscita del primo numero della rivista “Tratti”). Scrive prosa e poesia, libri per ragazzi e monologhi teatrali. Suona il flauto e il sax nel quintetto bluejazz “Faxtet”, con cui ha appena realizzato l’album “Coffee Break”. Il gruppo, con oltre 400 concerti all’attivo e alcuni tour europei, da anni si dedica all’abbinamento di note e parole e ha realizzato numerose incisioni creando la colonna sonora ai testi di scrittori italiani e stranieri per la voce di attori come Ivano Marescotti, Elena Bucci, Ferruccio Filipazzi …


MobyDick editore ha più di dieci anni di attività. Come è nato, chi sono stati i pionieri, quali intenti li hanno spinti, con quali mezzi è partito?

Mobydick compie 25 anni. E nacque con l’intento di raccogliere la “creatività regionale” sia dedita alla prosa che alla poesia, ma anche alla traduzione, alla musica e letteratura (siamo stati i primi in Italia) al teatro e alle arti figurative: a tutto campo, privilegiando le contaminazioni. Per fortuna i nostri contatti con l’estero e un paio di titoli azzeccati (in particolare le “Poesie” di Joseph Roth, inedite per l’Italia) nonché un ambiente critico e letterario all’epoca assai sensibile alla piccola editoria, ci hanno permesso di consolidarci.

Perché la scelta di questo nome?

Piccolo editore con grande nome! Balena bianca — simbolo di una “diversità” nelle scelte e nella progettualità. E comunque un gran bel libro cui ispirarsi …

Cosa consiglieresti a chi si accinge a fondare una casa editrice?

Consiglierei di non farlo … Scherzi a parte: ho creduto e credo in valori non sono quanto condivisibili, un quarto di secolo dopo: le energie sono quelle legate alla cura, all’attenzione, alla indispensabile concretezza mai disgiunta da una solida “poetica” culturale e (mi permetto la retorica) di vita.

Ci fai un esempio di quanta energia occorre?
Noi siamo in quattro, lavoriamo per otto, prendiamo la paga di due.

I titoli in catalogo spaziano dalla narrativa ad altri generi. Gli autori sono molti, ti chiediamo ugualmente di darci qualche ragguaglio sulle ultime uscite.
Un esordio di un settantacinquenne (“Iter Mortis”, di Marcello Savini), la conferma di uno dei più interessanti narratori italiani contemporanei (“Squilli di fanfara lontana”, di Giuseppe O. Longo) e un vero Poeta con la P maiuscola (“Da Parnell a Queenie”, dell’irlandese Padraig O Snodaigh). Ma anche l’esordio poetico di un giovane che si dedica anche alla canzone d’autore (“Conflitti postumi”, di Gregor Ferretti).

Riservate anche spazio alla alla musica, che generi privilegiate? Soprattutto alla letteratura in musica: la collana Carta da Musica, unica in Italia, che documenta la collaborazione progettuale tra musicisti (prevalentemente jazz) con scrittori (da Lucarelli a Rigosi) con attori dalla giusta sensibilità (Elena Bucci e Matteo Belli, su tutti).


Un vostro libro che è un omaggio alla fantasia

Tra i recenti? “L’inatteso”, del grande Gino Tasca, purtroppo scomparso, che quindi non potrà regalarci altre indimenticabili emozioni.

Il libro più spiritoso
“Tutto quello che gli uomini sanno delle donne”

Quello che fa più riflettere
Privilegiando i recenti “Una notte di luna piena” del gallese Caradog Prichard.

Quello che ha venduto di più
Il già citato “Tutto quello che …” e poi “L’enigma e le maschere” di Fernando Pessoa. 



Ma anche “Vorrei essere il pilota di uno zero” di Carlo Lucarelli.

Quello che avreste voluto pubblicare
“Ulisse”, di Joyce.

Quanti manoscritti ricevete all’anno?
Duecento, circa. Anche qualcosa in più.

Quanti di questi vengono pubblicati?
Una decina.

Date risposta comunque, anche se negativa?
Sì, un parere — senza presunzione di “bibbia” — lo scriviamo a tutti.

Ci saluti con una citazione da un testo di Moby Dick editore?
“In discesa è capace di andare anche una zucca”.