martedì 22 marzo 2016

Pietro Picone, il tenore di Modigliana


Si divide fra Modigliana e la Scozia, insieme alla moglie Maria. Pietro Picone, 42 anni, nato a Palermo, vive da dieci anni fra Modigliana e la cittadina di Dumfries, presso Edimburgo, dove la moglie è medico chirurgo oncologo. Due sono le sue grandi passioni: la musica lirica e la vita di paese, con in più un debole per la cucina romagnola. Oggi collabora come solista nel coro Lirico Città di Faenza,

Com'è iniziata la passione per la Lirica?
Facevo l'aiuto di papà al Teatro Massimo di Palermo, dove ha lavorato per oltre 40 anni come portiere. Ogni tanto vedevo le opere e a 17 anni iniziai come comparsa e mimo. Lì conobbi Giuseppe Giacomini, uno dei più grandi tenori dell'epoca, che fu il mio mentore, facendomi ascoltare da vari maestri di vocalità e canto.
E quando fu il debutto come tenore?
Nel 1996 al Teatro Bonci di Cesena, con il ruolo di Nemorino nell'opera "L'elisir d'amore" di Donizetti, un'opera che mi ha portato grande fortuna. Sono stato diretto da grandi direttori e ho cantato in grandi teatri italiani e stranieri. Il mio tenore ideale fu il bolognese Gianni Raimondi, scomparso nel 2008. Quando studiavo con lui e apriva uno spartito, vedevo tutte le correzioni che gli aveva fatto il grande Von Karajan, oppure notavo osservazioni come "da questa quinta entro con Maria", che era poi Maria Callas. Studiare con lui è stato un grande privilegio.
Quando è approdato in Romagna?
Nel 2007 abitavo a Bologna, dove studiavo al Conservatorio. In quel tempo cercavo un casolare rustico sulle colline, e quindi finii per scoprire Modigliana e la sua vallata.
C'è differenza dal passare dalla Scala di Milano al Teatro dei Sozofili di Modigliana?
La differenza la fà il pubblico, dato che si passa dai duemila di Milano ai duecento di Modigliana. Ma pure qui si deve cantare col massimo impegno, dato che è la mia seconda casa. Qui mi sento accolto, anzi, amato, e ci vivo molto bene. Al mio primo concerto a Modigliana c'erano anche tanti giovani, che nella lirica cercano la comunicazione. Verdi scriveva per comunicare col pubblico, ed è questo, alla fine, il nostro compito.


giovedì 10 marzo 2016

La vera storia dell'invenzione della ghigliottina!



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Se ad un quiz televisivo venisse chiesto dove è stata inventata la ghigliottina diversi concorrenti non passerebbero il turno. Nonostante la facile associazione di idee “rivoluzione francese – presa della Bastiglia – 1789 – ghigliottina”, la risposta è tutt’altro che scontata.
Ebbene il documento scritto più antico raffigurante lo strumento di morte è conservato niente meno che a Cesena. Le più antiche sentenze capitali documentate sono state eseguite proprio nella città malatestiana in anno domini 1489. Molto prima dell’invenzione di Guillotin da cui prese il nome in epoca moderna.
Se è vero che con la rivoluzione francese questo strumento venne adottato su vasta scala, è altrettanto vero che non fu una invenzione d’oltralpe. Le notizie che seguono sono state raccolte in un saggio di Antonio Domeniconi contenute in un volume della rivista “Studi romagnoli” (vol. IX del 1958); gli elementi della sua ricerca sono stati esposti dal 29 agosto al 30 settembre del 1958 nella Biblioteca Malatestiana durante la mostra “Cesena del Passato”. L’autore ha riportato in luce rivelazioni rinvenute fra i libri conservati presso l’archivio di Stato sezione di Cesena di via Montalti, 4.
In una nota a piè di pagina del saggio di Domeniconi incentrato sull’uso della ghigliottina a Cesena, l’autore spiega che questo strumento era già noto in tutti i paesi europei prima della presa della Bastiglia. In Scozia era chiamata the Maid, in Germania Diele e in Italia la mannara.
I Libri Malleficiorum spulciati da Domeniconi conservati nell’archivio di Stato sono del 1488-1489 e del 1489-90 e contengono i verbali delle istruttorie dei processi penali dell’epoca.
“Nel primo di questi libri – scrive Domeniconi – c’è l’istruttoria del procedimento penale a carico di Guglielmo di Nicolò da Libiano processato per aver assassinato a coltellate, nel maggio del 1489, Donato di Maestro Antonio. […] Il processo si è concluso con la condanna a morte per decapitazione”.
A mostrare l’avvenuta sentenza ci ha pensato il notaio cancelliere con un disegno a tutta pagina che indica l’avvenuta esecuzione con uno strumento del tutto simile alla ghigliottina.
Stessa sorte per un certo Paolo del fu Cristoforo Antoniazzi da Paderno. A far da corredo alla pena capitale c’è una lunga lista di reati.
Ecco l’elenco scritto nei libri dei malefici e ripreso da Domeniconi:

“Uccisione di Salomone di Val d’Amore avvenuta nel settembre 1486. Uccisione a mezzo di veleno nel gennaio 1487 di Gentile Cavalli da Cesena con la complicità della di lui moglie Mirabile che gli propinò l’arsenico. In seguito la donna diventò sua moglie. Furto di una ruota di carro presso la chiesa di San Pietro in unione a Toniolo, suo socio in imprese ladresche nell’ottobre 1488 […]. Furto di scarpe sempre in unione a Toniolo in una bottega di porta Figarola nello stesso anno. Furto a Senigallia di una cintura d’argento e altri preziosi nel giugno 1489. Rapina a mano armata contro detto Gilio nel ritorno da Senigallia”.

Condanna capitale fu decisa, incredibile a dirsi,  il 14 luglio del 1489 e fu eseguita nello stesso mese.


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