lunedì 7 dicembre 2009

SPIRITISMO

Olindo Guerrini, noto anche come Stecchetti (1845-1916), è stato uno dei più grandi poeti romagnoli. Debuttò con POSTUMA nel 1877, guadagnandosi l'appellativo di "Baudelaire italiano", ma si rivelò anche grande umorista nei SONETTI ROMAGNOLI nonchè coltissimo poeta e polemista. Visse a Bologna dove era Bibliotecario dell'Alma Mater e fu (al pari di un altro grande scrittore romagnolo dell'epoca, Alfredo Oriani), un grande appassionato e cultore della bicicletta. Mazziniano fervente, fu un anticlericale convinto seppure in modo bonario, al punto che persino Papa PIO X si divertiva moltissimo benchè tirato in ballo grazie anche alla traduzione in romagnolo di Decimo, cioè Disum, che oltre a Decimo traduce anche Sciocco, Stupido, eccetera. Questo sonetto l'ho tradotto in italiano e adattato per il mio spettacolo teatrale Storie e ballate di uomini, animali e belve, compilation di brani poetici in dialetto romagnolo, milanese, veneto e romano (link operculumtheatre.jimdo.com).


la vedova inconsolabile
si dà allo spiritismo
e di sera incontra
in casa sua un signore
che di giorno in chiesa
insegna il catechismo

l'altra sera, dopo il
solito preliminare
del tavolino che batte
e che risponde,
la vedova ha voluto
il caro estinto
interrogare

"amore, se ci sei
rispondimi!"

"eccomi, tesoro,
sono qua, sono qua!"

"oh, finalmente,
e dimmi tesoro,
dove sei?"

"ma sono qua, tesoro,
sono qua in eterno"

"sono contenta, e...
dimmi, stai bene?"

"sorbole! sto meglio
che con te!"

"sei dunque in Paradiso?"

"ennò, checcaz,
sono all'inferno!"

sabato 17 ottobre 2009

Un omicidio eccellente di milleseicento anni fa

Flavio Stilicone non era ancora cinquantenne quando il 22 agosto del 408 proprio qui a Ravenna venne fatto uccidere per ordine dell'Imperatore Onorio. Di padre vandalo e madre romana, Stilicone si era sempre considerato cittadino romano ed aveva scalato pian piano tutti i gradi della carriera militare. L'imperatore Teodosio, morto nel 396, gli aveva affidato la tutela dei figli Arcadio e Onorio, preposti alle due parti dell'impero romano unito soltanto di nome. Infatti ci furono subito contrasti riguardo all'Illiria (l'odierna Dalmazia), il cui dominio era rivendicato da Stilicone contro le pretese della corte di Bisanzio. Inoltre Alarico, astuto re dei Visigoti, benchè sconfitto ripetutamente da Stilicone, continuava a minacciare l'Italia. Forse per eccesso di prudenza, o perchè non c'erano più forze sufficienti, Stilicone convocò il Senato, consigliando di venire a patti con Alarico. Il Senato invece rifiutò la proposta, memore del'antica gloria romana, con la frase famosa: "Non est ista pax, sed pactio servitutis" (credo non serva tradurre). Da qui il generale mezzosangue cominciò a perdere credito: fu accusato di mirare al trono e di molto altro ancora. A tali accuse prestò fede anche Onorio, che a Pavia fece trucidare molti ufficiali di Stilicone. Il quale, invece di mettersi alla testa delle truppe rimastegli fedeli, riparò a Ravenna rifugiandosi in una chiesa. Uscito dal tempio dopo che gli era stata promessa incolumità, fu invece circondato a tradimento. Vistosi perduto, offrì egli stesso il collo al carnefice che gli tagliò la testa. Tutto questo fu invano, perchè due anni dopo Alarico scese a Roma e la mise a sacco. Di Stilicone rimane un dittico in bassorilievo conservato a Monza.

mercoledì 30 settembre 2009

Caro Sindaco di Ravenna...

E poi dicono della crisi della sinistra! Per capirne di più basta analizzare il comportamento di certi primi cittadini targati PD e che, forti di un consenso che ora sta perdendo appeal, governano per grazia ricevuta grosse città romagnole. E' il caso di Fabrizio Matteucci, 52 anni, sindaco di Ravenna. Traggo da una sua recente intervista che è intenzione del Comune "aprire una discoteca nella zona di Via Faentina" per far sì che i "giovani ravennati non escano più dalla città durante le nebbiose serate d'inverno per andare a divertirsi fuori, rischiando la vita". Intento nobile, per carità. Peccato che: a Ravenna sono esistite negli ultimi 25 anni due discoteche e due night-club, che hanno avuto una vita media stimabile fra i 5 e gli 8 anni. L'ultimo night-club andava così bene che il proprietario gli diede fuoco per incassare i soldi dell'assicurazione, tentativo fallito. Insomma, i giovani ravennati pare preferiscano emigrare a Bologna, Rimini e oltre ancora, ma questo non da oggi. Il Sindaco però questo non lo sa, anzi, insiste e afferma che oggi "Ravenna ha una movida notturna paragonabile a quella di Madrid". I casi sono due a questo punto: o a Madrid da qualche mese fanno il coprifuoco dopo le 23, oppure il Sindaco Matteucci fuma di brutto, perchè salvando la stagione estiva (e ci mancherebbe) dove ti viene proposto davvero di tutto, per i restanti otto-nove mesi la noia e il tedio sono assicurati. Poi non si capisce questa discoteca da chi dovrebbe essere gestita, dato che si parla di iniziativa comunale. Chi farebbe il DJ, per esempio, lui? Naturalmente tutto questo a discapito dei problemi veri. Con i miei stessi occhi ho assistito recentemente a questa scena: ero nell'ufficio dei Vigili Urbani per ottenere un permesso di scarico temporaneo in pieno centro. Dopo di me entra un signore visibilmente alterato, qualificandosi come dipendente della Bartolini Autotrasporti. In pratica gli orari per lo scarico merci in centro terminano alle 19,30 per il mattino e alle 16,30 per il pomeriggio. Peccato che gli autotrasportatori riescano ad avere il carico solo alle 9,45 avendo così a disposizione poco più di mezz'ora al mattino. Il signore lamentava di avere già preso due multe dai solerti addetti al traffico locale e che di queste era responsabile lui stesso (in pratica la propria paga di una settimana gli andava via così), e che avrebbe di ciò informato quotidiani e mass media locali. Il povero vigile addetto allo sportello non ha saputo far altro che dire che di tutto questo lui non era chiaramente responsabile, e che al massimo poteva inviare un esposto al Sindaco per tentare di far modificare l'ordinanza comunale in merito agli orari. Giustificazione condivisibile, se non fosse che il Sindaco pare sia impegnato in altri progetti, come si è già detto. Ed è con questo tipo di politici che la sinistra pensa ad una riscossa alle prossime elezioni?

venerdì 18 settembre 2009

GEORGE BYRON A RAVENNA


Questo è il titolo della commedia dello scrittore forlivese Giovanni Spagnoli andata in scena recentemente al Teatro Rasi di Ravenna, e che ha finalmente reso giustizia a questa grande figura del romanticismo inglese, vissuto dal 1788 al 1824. Reso giustizia, intendo, in senso localistico, in quanto la figura di Byron è a tutt'oggi ben nota e universalmente ammirata ovunque. Ravenna, però, detiene la "sventura" di essere stata l'ultimo rifugio di Dante Alighieri, e per cui agli "intellettuali" locali pare cosa buona e giusta disfare i corbelli parlando sempre & soltanto del Sommo Poeta, trascurando bellamente tutto quello che a Ravenna è successo dopo il 1321. George Gordon Byron era uno spirito libero e inquieto e, benchè già famoso a soli vent'anni come poeta e drammaturgo, e pur godendo di una grande posizione politica (era un Lord con simpatie laburiste), dovette abbandonare la Gran Bretagna nel 1816 per uno scandalo a sfondo sessuale. Fu infatti accusato di incesto verso una sorellastra e omosessualità, benchè sposato a una intellettuale londinese da cui ebbe una figlia che in seguito diverrà una grande matematica, i cui calcoli hanno portato alla nascita dell'intelligenza artificiale e dei computer nel secolo scorso. Si spostò in Europa per almeno due anni insieme ad un altro grande poeta, Percy Bissey Shelley, dalla cui sorellastra (ancora!) ebbe una figlia nel 1817 a cui fu imposto il nome di Allegra, e che scomparve a soli cinque anni in un convento di suore a Bagnacavallo, venti chilometri a ovest di Ravenna. Finì per stabilirsi a Mira, presso Venezia, e da qui parte la nostra storia. Nella primavera del 1819, presso il salotto della Contessa Benzoni a Venezia, conobbe Teresa Gamba, giovane rampolla di una famiglia patrizia della città romagnola. Teresa aveva 19 anni ed era stata data in moglie a un Conte della sua città, Alessandro Guiccioli, di oltre quarant'anni più vecchio. La nobiltà ravennate non aveva mai fatto mistero delle sue simpatìe giacobine e, durante il Regno Napoleonico, si era arricchita enormemente acquistando a prezzi stracciati le proprietà del clero che Napoleone aveva confiscato. Tra Byron e Teresa nasce una forte attrazione sia fisica che spirituale e, il 9 giugno di quell'anno il Poeta sbarca per la prima volta a Ravenna, prendendo alloggio presso l'albergo "Imperiale", che in realtà era poco più di una stamberga, e che sorgeva dove oggi c'è la moderna Biblioteca "Alfredo Oriani" (grande scrittore romagnolo morto nel 1911, patito della bicicletta). In pratica a cento metri dalla Tomba di Dante. A Ravenna ritorna in pianta stabile nell'inverno successivo e, a un veglione carnevalesco in casa del Conte Cavalli (che qualche anno dopo ospiterà anche Giacomo Leopardi, di cui era grande amico), si presenta come "cavalier servente" della Contessina Teresa, in pratica l'amante ufficiale. La figura del "cavalier servente" era in auge già da secoli e accettata in pratica da tutti, marito compreso (cornuto e contento, come si dice oggi). Difatti è lo stesso Conte Guiccioli ad affittare a Byron il primo piano del suo palazzo nell'odierna centralissima via Cavour. Byron vi entra accompagnato da ben sette domestici e da un vero e proprio zoo ambulante: nove cavalli, un bulldog, un mastino, due gatti, tre pavoni e un'oca che gli era stata regalata per il pranzo di Natale, ma che il poeta aveva risparmiato. Dopo poco lo raggiunge l'amico e sodale Shelley, che riguardo alla città ebbe a scrivere alla moglie, la grande scrittrice Mary Wollstonecraft: "E' una città miserabile... gli abitanti sono barbari e selvaggi, e la loro parlata è il più infernale dialetto che si possa immaginare". Opinione che avrà qualche decennio più tardi un altro grande di passaggio, Oscar Wilde. A Ravenna George Byron impiega il suo tempo scrivendo, cavalcando un pò i suoi nove cavalli e un pò la sua Teresa, ma sopratutto trescando con suo fratello Pietro per un motivo che gli aveva acceso la fantasìa: la nascente setta dei CARBONARI. Byron era un eccellente pistolero e di fatto diventa il maestro d'armi dei "Cacciatori Americani", il gruppo carbonaro fondato da Pietro e che si radunava a far prove di tiro in pineta. Si avvicina infatti il 1821, anno in cui i Carbonari pensavano di sollevare la Penisola e scacciare i vari signori e potenti, con in testa il Papa. Ma i moti saranno un fallimento. Byron aveva fatto della cantina di palazzo Guiccioli un arsenale e questo non piacque al vecchio Conte, che pensò bene di denunciare alle autorità l'ormai ingombrante ospite in cambio di un sostanzioso colpo di spugna sulle gravose tasse che l'erario papalino pretendeva in alternativa alla restituzione delle sue vecchie terre ai tempi di Napoleone. Byron, Teresa e Pietro fuggono nel novembre del 1821, riparando prima a Pisa e poi a Livorno. In due anni di permanenza a Ravenna Byron partorì quattro grandi capolavori drammaturgici: "CAINO", "MARIN FALIERO", "SARDANAPALO" e "I DUE FOSCARI", più alcuni brani del "DON GIOVANNI", la "PROFEZIA DI DANTE" e il "LAMENTO DEL TASSO", scritto quest'ultimo dopo un viaggio presso la cella del Tasso nella vicina Ferrara. George Byron soggiornò presso i coniugi Shelley a LaSpezia, ma la morte della figlia e di lì a poco degli stessi Shelley lo prostrarono profondamente. Riprese quindi a trescare con Pietro Gamba per una nuova eccitante avventura: la guerra dei Greci contro i dominatori Turchi. Dopo un commovente addio all'amata Teresa (che morirà nel 1873), giunse a Patrasso nella primavera del 1824. Ma la fine per lui non fu quella gloriosa che aveva immaginato. Morì infatti per un attacco di meningite causato da febbri reumatiche, a Missolungi. La spedizione militare si rivelò, anche qui, un fallimento. Le sue spoglie furono riportate in Inghilterra dove riposano accanto a quelle della prima figlia, Ada. Di lui scriverà Giuseppe Mazzini molti anni dopo: "L'ETERNO SPIRITO DELL'INTELLETTUALE LIBERO DA CATENE NON EBBE MAI PIU' SPLENDIDA APPARIZIONE FRA DI NOI". Di Byron rimangono dipinti e statue un pò ovunque, come questa che è presso Villa Borghese a Roma. Lode quindi al PICCOLO TEATRO CITTA' DI RAVENNA che ha messo in scena un lavoro così serio e impegnativo, con oltre 40 tra attori e comparse e con un complesso di scenografìe e costumi d'epoca degno di una compagnia professionistica, anche se la recitazione in vari punti è apparsa un pò troppo accademica.


lunedì 24 agosto 2009

C'era una volta Bertinoro

Reportage triste da una serata domenicale di fine agosto nel balcone di Romagna. Bertinoro è un paesino medioevale, sito su due collinette, di cui una utilizzata in gran parte da un ripetitore TV già dagli anni 60, alte circa 300 metri e a metà strada fra Cesena e Forlì. Un paesino in gran parte medioevale, con in piazza l'antica colonna "dell'ospite", munita di anelli a cui i viandanti legavano i finimenti dei cavalli. Un paesino cantato dal grande poeta romagnolo Aldo Spallicci, scomparso da alcuni decenni, e che reca una curiosità simpatica: il Club dei Brutti, che ogni anno promuove la gara per stabilire il più brutto d'Italia. Una località un tempo di gran moda e dove si mangiava molto bene. Ma il degrado e la recessione non hanno risparmiato questo ex angolo felice. Metà paese è in vendita: case private e attività di ogni tipo. Gli affitti sono alti, considerato che poi ti devi spostare in pianura per tutto: dai 500 in su, e le case sono tutte piccole e quasi tutte da ristrutturare. I ristoranti, come la mitica Cà de Bè, che è anche piccolo museo della civiltà vinicola locale, sono sporchi, offrono un servizio appena passabile e risparmiano su tutto. Alla Cà de Bè si mangia all'esterno sulla terrazza con tavoli presi dall'OBI -plastica verde da giardino- con posate leggerissime da discount. L'ordine ti arriva dopo più di mezz'ora e la piadina servita è senza infamia nè lode: Il Ristorante Belvedere che una volta serviva crostini da sogno ha cambiato gestione, e ora propone menù per tasche ben fornite dai 40 in sù per un pasto completo. Quanto buono non si sa. Non che alla Cà de Bè si sia speso poco: in due per una bottiglia d'acqua, un crescione e una piadina al formaggio 12,70 euro. E ti alzi che hai ancora fame. Non è andata meglio in una crostinoteca alla fine del paese verso ovest. Venti euro per "crostini" fatti su pane da pancarrè di evidente provenienza Conad a essere generosi (addirittura pezzi di margherita che non c'entrano nulla) con mini bottiglia d'acqua e bicchiere di vino rosso. Il gestore, se non altro, compensa con un dolce e un caffè offerti alla fine, ma il disagio nostro e suo è palpabile. Addirittura quando gli rievoco i tempi dei crostini del "Belvedere", si allarga: "E i nostri come sono?". Roba da piangere. Non a caso, a parte la Cà de Bè, i locali sono tutti semivuoti e tristi, con luci pubbliche a dir poco spettrali. In piazza c'è un tizio che suona canzoni alla chitarra di un pò tutti gli autori possibili, ma senza nemmeno uno straccio di amplificazione, davanti a quattro gatti tristi come bisce. Pochissime coppie a braccetto in quello che un tempo era il paese degli innamorati per antonomasia. Il castello, vestigia di tempi assai più gloriosi, sembra guardare impotente dalla sommità del colle tutto questo degrado moderno. Un pò la crisi, un pò le mode che passano, ma non è più la Bertinoro dei miei anni verdi. E con lei anche la Romagna, in palese crisi d'identità ormai da un pezzo. Rievocare la "vecchia" Romagna mi sembra quasi di riesumare il vecchio West con Toro Seduto e il generale Custer. Che tristezza, davvero.

venerdì 31 luglio 2009

La Romagna si "allarga"

La Romagna si "allarga" a sud-est. La Val Marecchia, zona incantevole che conta località molto suggestive come Pennabilli, dove risiede il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, ormai novantenne, e San Leo, nel cui castello morì nel 1791 il famoso Conte di Cagliostro, si unisce da oggi alla Romagna. Sono passati quasi cinque anni dalle prime iniziative locali, con raccolta di firme prima e referendum poi, ma ora il pià sembra fatto. La Val Marecchia era compresa amministrative nella doppia provincia di Pesaro e Urbino, ma di fatto era un lembo di Romagna a tutti gli effetti e gravitava da sempre sulla città posta allo sbocco del Marecchia, cioè Rimini. Troppo distante Pesaro, per non parlare di Urbino, per adempimenti burocratici e altro ancora. Ovviamente ci sono anche in ballo forti interessi economici, visto che l'inclusione nell'Emilia-Romagna porterà a questi sette comuni contributi regionali di ben altra portata. E quindi tra un anno al massimo gli alunni delle scuole troveranno l'atlante politico italiano con una variazione, piccola ma importante. Un'autentica "secessione", insomma, fatta però in modo pacifico. Ciò potrebbe costituire un importante precedente per altre situazioni di questo tipo, una delle quali proprio ai confini sud-ovest romagnoli: Marradi e Palazzuolo sul Senio, ora in provincia di Firenze, avrebbero una gran voglia di confluire nella provincia di Ravenna, dato che Faenza dista solo quaranta chilometri dalle due località, risultando quindi molto più comoda per tutta una serie di snellimenti burocratici e amministrativi.

lunedì 27 luglio 2009

Aurelio Lolli, una vita per l'Anarchia

Il 30 maggio 1999 moriva il compagno Aurelio Lolli. Gli mancavano poche settimane per compiere il secolo di vita, essendo nato a Castel Bolognese – la città in cui è poi sempre vissuto – il 10 agosto 1899. Era l'ultimo rappresentante superstite della terza generazione di anarchici castellani, composta da militanti nati tutti a cavallo dell'anno 1900 e che avevano iniziato a svolgere attività politica all'epoca della Prima guerra mondiale. Proprio la Grande guerra aveva rappresentato, per Aurelio come per tanti altri suoi coetanei, l'esperienza determinante della vita, quella che maggiormente lo aveva segnato.Divenuto anarchico giovanissimo, frequentando i libertari particolarmente numerosi all'epoca nella cittadina romagnola, si era schierato contro gli interventisti in nome dei suoi ideali umanitari, antimilitaristi e pacifisti. Dopo essere stato coinvolto nella chiamata alla leva dei "ragazzi del '99" era intenzionato a disertare, ma venne dissuaso dai familiari, consapevoli dei pericoli a cui sarebbe andato incontro. Rientrato in ritardo – dopo alcuni giorni di latitanza – in caserma ad Alessandria, dovette scontare alcuni mesi di carcere e venne poi inviato in Albania, dove rischiò la vita per avere contratto la malaria e poi la spagnola.Nel primo dopoguerra diede il suo contributo alla lotta contro il montante fascismo, prima della definitiva presa del potere da parte di Mussolini. Nel 1945, terminata la seconda guerra mondiale, contribuì alla ricostituzione del Gruppo anarchico di Castel Bolognese. Nel 1973 fu (con Nello Garavini, Giuseppe Santandrea e altri della sua generazione, già coinvolti come lui nella costituzione di una prima esperienza con lo stesso nome, nata nel 1916 e sviluppatasi per pochi anni nel primo dopoguerra), tra i fondatori della Biblioteca Libertaria di Castel Bolognese, che trovò una sede in locali di sua proprietà. Rimasto solo e senza eredi diretti dopo che erano decedute le due sorelle, Aurelio decise di destinare alla Biblioteca gli immobili di sua proprietà, e per rendere realizzabile questa sua volontà nel 1985 venne costituita la Cooperativa Biblioteca Libertaria "Armando Borghi", di cui fu Presidente fino alla sua morte. Senza la generosa donazione di Aurelio Lolli la Biblioteca Libertaria di Castel Bolognese – che oggi costituisce una realtà viva e attiva sul piano culturale e politico, coinvolgendo persone di varie generazioni – probabilmente da tempo non esisterebbe più. Anche in nome di questa consapevolezza, i soci della Cooperativa Biblioteca Libertaria "Armando Borghi" desiderano in questo decimo anniversario della morte commemorare il loro primo Presidente, ricordandolo – con immutati sentimenti di affetto e di gratitudine – come un esempio di generosità, di coerenza e di fedeltà agli ideali libertari.


Aurelio nel ricordo di Tommaso Marabini, "Marabbo"


Ho conosciuto un giovane di Castel Bolognese che, come obiettore di coscienza, aveva fatto l'assistente domiciliare ad Aurelio Lolli, l'ultimo degli anarchici castellani nati a cavallo tra il XIX e il XX secolo a lasciarci. Mi raccontò che l'anziano compagno lo invitava a non passare la giornata in casa sua, di andare a godersela all'aperto. Già: Aurelio, nato il 10 agosto 1899 e scomparso il 30 maggio sfiorando il secolo di vita, amava le giornate di sole.E' ancora ragazzo quando esce dall'osteria, ritrovo degli anarchici castellani, col passo di chi ha scelto un ideale e lo sa portare per tutta la vita. Quel perpetuato atto d'amore tra sé e l'umanità, esercitato puntigliosamente, si scontra con i drammi del "secolo breve": prima guerra mondiale, fascismo, seconda guerra mondiale, guerra fredda… Il primo confitto vede Aurelio disertore, poi militare, in cucina però e dopo essersi fatto alcuni mesi di carcere (nei suoi racconti sapeva rendere il militarismo buffo e crudele al contempo). Poi la malaria, la spagnola, un fratello morto in guerra, il biennio rivoluzionario, la Resistenza: "L'abbiamo cominciata noi anarchici, nel 1920-21".Nel 1945 è tra i compagni che ricostituiscono il gruppo anarchico di Castel Bolognese e pochi mesi prima di morire dichiara a un settimanale faentino: "Anarchico è il pensiero, verso l'anarchia va la storia. Io lo dico ancora". La sua scomparsa avviene quando, insieme ai compagni locali, ci si era proposti di organizzare un piccolo ritrovo per i suoi cento anni, lasciandomi attonito e un po' smarrito al suo funerale. Ricordo le bandiere, i canti anarchici, l'assenza del prete.

giovedì 16 luglio 2009

Morto il grande oncologo ravennate SILVIO BUZZI


E' morto nella notte a 79 anni per una malattia incurabile Silvio Buzzi, neurologo e oncologo ravennate noto per le sue ricerche antitumorali in via di sperimentazione in Giappone dopo il via libera un paio di anni fa dell'organizzazione governativa nipponica Pharmaceutical medical devices agency (Pmda). Il nome di Buzzi era legato al Crm197, un derivato della tossina difterica in grado, secondo le sue analisi, di bloccare l'avanzata di determinati tipi di tumore, e in alcuni casi di farli scomparire. Le ricerche del ravennate, iniziate oltre trent'anni fa lontano dai tradizionali circuiti accademici, erano state pubblicate su riviste scientifiche internazionali come 'The Lancet', 'Cancer Research', 'Cancer Immunology Immunotherapy e Therapy', 'American Association for Cancer Research'. Il medico aveva fissato la sua attivita' in un libro autobiografico dal titolo 'Il talco sotto la lampada' (Ares edizioni). Il caso era stato piu' volte ripreso dalla stampa nazionale. A breve Buzzi avrebbe ricevuto dalla Camera di Commercio ravennate il 'Premio Teodorico' per il settore 'ricerca'. I funerali sono stati fissati per domani mattina a Ravenna. Appresa la notizia, il sindaco della citta' romagnola Fabrizio Matteucci, attraverso una nota, ha espresso a nome della citta' le condoglianze alla famiglia dello scomparso.

Era un gentiluomo d'altri tempi, il Dott. Buzzi. La sua scoperta risale al 1970, e prima di diventare una celebrità italiana, sulla scia però delle scoperte del Prof. DiBella, lo era dovuto diventare all'estero, come in Giappone, dove lo veneravano. Molta gente è riuscita a guarire grazie alla sua scoperta e questo anche in Italia, fino a che improvvisamente qualcuno ha stoppato i test. Lui non aveva minimamente battuto ciglio, rifiutandosi persino di brevettare la molecola che aveva scoperto, rinunciando a una montagna di soldi, anche se certamente non era povero. Lascia la moglie e tre figli, di cui Anna Maria, la maggiore, è neurologa all'ospedale di Lugo di Romagna, uno dei primi in Italia per qualità dell'assistenza e delle cure (io ne sono un esempio vivente di ciò). Insieme al padre stava lavorando su effetti collaterali del CRM197: cura delle placche arteriose, con effetti benefici su infarti, ictus e aterosclerosi. Il tumore, quasi fosse un'organismo intelligente, ha colpito proprio uno dei suoi più acerrimi nemici. Quando lo hanno scoperto, un mese fa, era già troppo tardi.

mercoledì 15 luglio 2009

Le Grandi Interviste del Secolo

Casualmente trovo un inserto di un giornale locale della zona di Ravenna, in cui compare un'intervista doppia a due giovani (femmina e maschio, che compaiono in sequenza nelle risposte) legati da un rapporto di collaborazione lavorativa. Belle le domande, e non male anche le risposte.
COME TI CHIAMI?
Ilaria
Cristian
SEI FIDANZATO/A?
No, ho smesso
Ci sto lavorando
LA PARTE MIGLIORE DEL TUO CORPO?
Ahaha... prossima domanda??
Le mani... ihihih
MAI FINTO UN ORGASMO?
Eh, beh...
No, mai
COSA NE PENSI DEGLI HAPPY HOUR ALLE 20?
Che si deve colpire chi fa casino davvero e non tutti indiscriminatamente
Uno schifo...
TI DEPILI?
Si!!!
No...
ANCHE LI?
Più che posso!!!
No...
COSA NE PENSI DEL DIVIETO DI ALCOOL DOPO LE 2?
Che io non bevo, ma l'alcool lo vende lo Stato!
Mi è indifferente... faccio scorta prima delle due e le restanti tre ore mi servono per smaltire la sbronza
QUANTI SMS SPEDISCI AL GIORNO?
Troppi!!! Li detesto!!!
Una decina...
QUANTO TEMPO STAI SU FACEBOOK?
Mi sono iscritta al gruppo "Avevo una vita una volta. Facebook me l'ha portata via"
Un'ora al giorno... circa
IL RUMORE PIU' FASTIDIOSO?
Il telefono la mattina
La voce di Ilaria
LA COSA CHE TI FA PIU' INCAZZARE?
La violenza contro gli animali e le persone indifese
Essere svegliato dal campanello di casa la domenica mattina
LAVORI?
Ogni tanto fingo...
Si!
E COSA FAI?
Patrocinante legale e a tempo perso organizzatrice di feste ed eventi con Cristian
Progettista in un'azienda di macchine automatiche
DOVE VAI IN PALESTRA?
Non ci vado... ma non guardarmi con quella faccia schifata...
Alla Lucchesi di Faenza!
ESISTONO GLI ALIENI?
Speriamo di sì... se il massimo del progresso siamo noi, Dio non è quel genio che credevo...
Può darsi, ma io non ne ho mai visto uno...
LA TUA OSSESSIONE?
Mi lavo in continuazione!!
Non saprei...
SPENDERESTI LO STIPENDIO IN?
Vestiti e accessori
Viaggi
IL LIBRO CHE STAI LEGGENDO ORA?
Twilight
Nessuno, non leggo mai. Preferisco bermi una birra in compagnia
PORTI GLI OCCHIALI DA VISTA?
No, quelli da sole... va bene lo stesso?
No
E PIU' ALTO UN CAMPANILE O VA PIU' FORTE IL TRENO?
Cheee????
Va più forte il treno
QUAL'E' IL PESCE PIU' GRANDE?
Se i cetacei son mammiferi... lo squalo!
Mi sembra la balenottera azzurra...
QUANTO MISURA UN PIEDE?
Interessante quest'intervista...
Ovviamente 0,31 metri
CHE ORE SONO?
Le 15,30 e sta tuonando...
Le 15,45
COSA VORRESTI ESSERE TRA 10 ANNI?
Un Giudice di Cassazione
Un manager di successo
COSA CAMBIERESTI DEL TUO CORPO?
E' una domanda che non dovevi farmi... siediti!
Forse i piedi...
COSA STAI INDOSSANDO?
La cravatta
Le scarpe
CONVIVENZA O MATRIMONIO?
Convivenza
Matrimonio
SE TUO FIGLIO FOSSE GAY?
Sarebbe un problema perchè la società lo mortificherebbe
Ci penserò al momento...
COSA BISOGNA AVERE NELLA VITA?
Per vivere bene, il potere! Per vivere bene con sè stessi la serenità e l'onestà...
Salute e tanti soldi... così vai dove vuoi...
SALUTA IL TUO SOCIO...
Ciao Cris! Il 24 luglio li mandiamo tutti a casa sui gomiti!
Ciao Ila, fai la brava!

venerdì 10 luglio 2009

Scompare l'ultimo Repubblicano irriducibile

E' scomparso a Cesena, sua città natale, forse l'ultimo Repubblicano di stretta osservanza mazziniana tipicamente romagnola. ODDO BIASINI è stato un personaggio importante fra gli anni 70 e gli anni 90. Nato a Cesena nel 1917 era stato partigiano in una brigata composta quasi esclusivamente da repubblicani. Dopo una carriera nella scuola, dapprima come insegnante poi come Preside (conobbe sua moglie dando ripetizioni private), approdò alla politica, divenendo infine vsegretario del PRI quando presidente era il vecchio Ugo La Malfa. Eletto in Parlamento nel 1968, ricoprì l'incarico di Ministro dei Beni Culturali nei primi anni 80. Lasciato il Parlamento, fu nominato presidente della Commissione dei Familiari della strage di via Fani. Oltre all'attività strettamente pubblica, affiancò anche un'immagine simpaticamente privata: era famoso per le sue folte sopracciglia nere, e per la sua passione -tipicamente romagnola- per la bicicletta, che lo portava a compiere lunghi tragitti con gli amici cicloturisti della sua città. Era simpaticamente preso di mira dal noto corsivista satirico dell'Unità Mario Melloni, più noto come Fortebraccio. Gli ultimi anni sono stati intristiti da un tumore al pancreas e dalla perdita del figlio, annegato nelle acque dell'Oceano Pacifico durante un naufragio. Giorgio La Malfa lo ha ricordato in Parlamento come "l'ultimo repubblicano di antica osservanza", cosa che evidentemente non è lui. Un altro pezzo di Romagna che scompare e che entra nel limbo dei ricordi.

mercoledì 1 luglio 2009

In onore del grande studioso Manlio Cortellazzo

Manlio Cortellazzo, forse il più grande studioso ed esperto di dialetti italiani, si è spento pochi giorni fa alla bella età di 90 anni. Era di chiare origini venete ma era conosciutissimo in Romagna. Da oltre quarant'anni aveva promosso l'affermarsi delle moderne scienze linguistiche nelle università italiane, dando loro dignità epistemologica e il giusto rilievo che esse meritano. Quando il dialetto era ancora guardato con diffidenza nel mondo accademico, Cortellazzo ne comprese tutta l'importanza scientifica, ma ne colse pure il valore nel contesto del recupero della cultura popolare come mezzo per investigare l'evoluzione dei sentimenti, delle opinioni, delle visioni del mondo delle classi operaie e proletarie, incapaci com'erano di accedere ai mezzi che le classi dirigenti avevano a disposizione per esprimere compiutamentre il loro pensiero. Diresse per molti anni il Centro di Dialettologia del CNR, e da molti anni era socio onorario dell'Istituto Friedrich Schurr, che fu un grande studioso del dialetto romagnolo fin dai primi anni del 900 ed era viennese. Cortellazzo ci lascia opere fondamentali per lo studio dei tanti dialetti del nostro Paese, come ad esempio il DIZIONARIO ETIMOLOGICO DEI DIALETTI ITALIANI (Torino, UTET, 1992), oppure I DIALETTI E LA DIALETTOLOGIA IN ITALIA FINO AL 1800 (Tubinga, 1980). Un settore che lui curò particolarmente fu verso l'italiano "popolare", vale a dire quelle parole intermedie fra italiano e dialetto che troviamo per esempio nelle lettere che i soldati scrivevano a casa dalle trincee della Grande Guerra o, molto più spesso, si facevano scrivere, profittando dei commilitoni che avevano un minimo di confidenza con le lettere. Come si può notare la sua fama aveva superato da molto tempo i confini nazionali. Benchè impegnato su vari fronti già da quindici anni il Professore si era offerto di collaborare con l'Istituto Schurr, quando ancora il suo bollettino "La Ludla" veniva stampato in poche copie e quasi in modo da carbonari presso la canonica di Don Serafino a Santo Stefano, quindici chilometri a sud di Ravenna. La sua collaborazione risultò decisiva per l'ampliamento dello "Schurr", che oggi promuove studi, simposi e concorsi letterari per tenere vivo il dialetto romagnolo, che in realtà si differenzia non poco anche su distanze di venti o trenta chilometri appena. Nella sua ultima visita in Romagna, assieme alla moglie e alla nipote, Cortellazzo lasciò detto: "La sorte ha voluto che assistessi al rapido -anche se meno veloce in Veneto- tramonto delle parlate vernacolari, che prelude alla loro estinzione, sia pure non così prossima come qualcuno paventa. Per questo mi sono investito del compito di recuperare non L'USO del dialetto, impresa che andrebbe contro la Storia, ma la conservazione delle sue ultime e cospicue tracce. Non si tratta di conservare per i posteri un materiale inerte, ma una documentazione, depositata nei modi dialettali, del giudizio delle vicende storiche e sociali delle età trascorse, che la povera gente non era in grado di affidare alla scrittura". At salut, Prufessor, e fa un bò viazz!

mercoledì 24 giugno 2009

L'ULTIMO ANARCHICO, di Don Francesco Fuschini


Don Francesco Fuschini, nato ad Argenta (FE) nel 1915 e deceduto a Ravenna tre anni fa, è uno straordinario, quanto unico, caso di prete-scrittore e intellettuale, che sia arrivato ad una notorietà internazionale. I suoi esordi risalgono ancora agli anni in cui era seminarista, e inviava racconti a prestigiose riviste dell'epoca come la fiorentina "Il Frontespizio" del grande Piero Bargellini. Nel 1947. ordinato sacerdote da qualche tempo, viene inviato dall'allora Arcivescovo di Ravenna nella frazione di Porto Fuori, a 5 km dalla città, con la motivazione che "è un paese pieno di anarchici e in Chiesa non ci va nessuno, a parte qualche vecchietta, così almeno lì non farai danni". Invece il buon Fuschini continua a far danni, eccome: scrive racconti per il "Resto del Carlino", diventa amico di molti anarchici del paese, con cui avrà un bellissimo rapporto stile Peppone-Don Camillo, ed alla fine degli anni 70 tutto questo materiale viene raccolto da un editore locale, il mitico Mario Lapucci (scomparso nel 1992), titolare delle "Edizioni del Girasole", con l'aiuto di Walter Della Monica, animatore del Centro di Relazioni Culturali di Ravenna. Nel 1980 questo materiale viene infine pubblicato col titolo de "L'ultimo anarchico", e stampato in una tipografia dove il sottoscritto, giovane tipografo ventunenne, si diletta a correggere le bozze di stampa, e, involontariamente, ha modo così di conoscere il mondo degli anarchici romagnoli di un tempo, un mondo molto particolare e per certi aspetti folkloristico e affascinante. Pubblico di seguito il raccontino finale, che dà il titolo alla raccolta, certo di farvi cosa gradita. Buona lettura e buon divertimento.
"Da quando il gatto ha lasciato le ossa sull'asfalto, schiacciato da un camion nel forte della sua rabbia amorosa, il barbagianni fa vita in canonica giorno e notte. Il mio vicino anarchico ci fa su un carnevale, nominandolo "prete di riserva" e "cappellano con diritto di successione". Battendo la mazza alla mia volta, gli rimando che tra parroco e cappellano gli canteremo il requiem a due voci: un colpo mancino che caccia l'uomo tra la matematica dei preti che un vecchio anarchico riesce a mangiare, dai sette in poi, fino all'ultima cifra iperbolica, anche un centinaio, se ci si mette. Di giorno il barbagianni è padrone di casa, essendo io a caccia o a pesca di anime: dopo la colazione con topini di nido che va a scovare nei cantucci della sacrestia, il suo lavoro è passeggiare. Porta a spasso una testa regale su un mucchietto di penne; talvolta se ne va lungo le navate della chiesa con eleganza proterva. La sera chiudo l'uscio, e il barbagianni sulla gruccia rimugina il mistero. Non sarà un prete, ma ha tutta l'aria di un vecchio cattolico appollaiato tra le parabole di Salomone. A stargli di fronte mette addosso paure ancestrali: fa pensare ad un profeta straccione che ha trovato un peccatore da mordere: "Vieni qui prete: dove hai messo il Vangelo? Ne hai fatto un campo di esercitazioni oratorie ad uso dei contadini. Il tuo Cristo è al tuo uscio, e bussa: ha fame, ha sete, è ignudo, perseguitato... non trova da posare il capo, mentre tu invece... eh?" "Lascia stare, barbagianni, io sono un prete che cena con due canocchie e un pò di prezzemolo; sono un prete congruato, io, e non ho poderi al sole". Il silenzio è il suo mezzo espressivo. Come il passero del Leopardi, dice tutto sulla vita e sulla morte a becco chiuso. Ha in fondo agli occhi il pozzo dei significati estremi. Gli dico: "Se passa all'uscio un'anima in Grazia di Dio, fammi un verso". E lui magari lo fa quando passa l'anarchico. Invece quando la natura nei temporali cova lungamente l'uovo nero della morte gemendo con tuoni di volo leggero, il barbagianni è solo voce: sibila, sgrigliola, stride: suoni graffianti e franti fanno grappolo. Fa gola anche a me, se capita che la natura metta in giro le sue doglianze durante la notte. Mi metto supino nel letto e faccio memoria locale, come dice Sant'Ignazio di Loyola: ecco, mortuus sum; e via quei fiori dal catafalco che da qui si sentono putire come una menzogna. Ogni volta che faccio questo gioco della morte, mi viene in mente Lazzaro che dal buio varco passò due volte. Solo mi riesce arduo rifare il momento spaccato in due tra il prima e il dopo... la lunga mano della fede abbassa il lume su questo vortice di vuoto esistenziale. Dalla morte-ombra guardo con interesse il mio funerale. Attorno al carro funebre s'azzuffano le voci delle oranti governate dalla Beata. Dietro quelle voci viaggiano pensieri interessati e vani; pollai, lucidatrici, amori spezzati; è incredibile come un funerale dia ala a tutto il sottosuolo umano. Le consorelle dell'Addolorata mettono in mostra i rilievi naturali stringendo le fasce di seta viola; vengono i contadini ed è tutto un discorrere di trattori e anticrittogamici. Baragnòcul non ha posto fermo: fa la spola tra la coda e la testa del corteo... insomma, la morte, come al solito, eccita un acuto senso della vita. L'anarchico lo vedo distaccato e solo: a causa delle gambe che lo servono malvolentieri, ma più per l'orrore di doversi contaminare coi credenti. Per tagliare il sospetto alla radice, fuma a pipa calda e scaracchia da oriente ad occidente. E via con le litanìe di rito: "Ste vigliacc, sta canaja, st'assassè!" (Prete vigliacco, prete canaglia, prete assassino), che poi è tutta roba che va al prete, perchè a me come uomo l'anarchico vuole un bene forte e romagnolo. E' insomma l'ultimo degli anarchici ortodossi. La domenica faccio spesa dal macellaio: tre etti di manzo per me e un etto di fegato per il barbagianni. Il negozio è pieno è l'anarchico ripicchia il martello sulla magra porzione del "cappellano". E' la sua buona briciola domenicale, la sua messa anarchica, e mi scongiura con lo sguardo di non guastargliela: io che avrò per me il Paradiso non devo rubare l'effimero trionfo a lui che non avrà altro. "Sì, sì, anarchico, te ne accorgerai... litigheremo insieme per tutta l'eternità. Questo sarà il mio ultimo scherzo da prete!".

venerdì 12 giugno 2009

Cala il sipario sugli "artisti dimenticati"

Dopo 17 anni di attività il Circolo degli artisti di Faenza chiude i battenti. Le sue due grandi sale coi mattoni rossi e le travi a vista sono state attraversate da nomi altisonanti della cultura mondiale. Impossibile stilare una lista di tutti, sarebbe troppo lungo e si dimenticherebbe sicuramente qualcuno. L'unica cosa certa è che Faenza non avrà più questo piccolo spazio nascosto in un vicolo a lato di via Torricelli, dove si svolgevano mostre, dibattiti e anche concerti jazz ad altissimo livello. Il tutto nacque nel 1992 da un'idea di Lamberto Fabbri, grande appassionato d'arte che, insieme ad un gruppo di amici individuò in questo antico magazzini della nobile casata faentina Zauli Naldi il luogo ideale per costituire un cenacolo culturale ed artistico. E l'idea funzionò fino al punto di inanellare in diciassette anni oltre 150 mostre, molte delle quali di rilievo internazionale. Era facile sedersi a tavola la sera e bere un bicchiere di vino rosso insieme al jazzista Stefano Bollani che suonava il pianoforte per oltre due ore a puro titolo di amicizia con Fabbri. Un altro jazzista di casa era per esempio Enrico Rava. Impossibile non menzionare anche la presenza del grande Pablo Echaurren, amico personale di Pralina. Il Circolo pubblicava testi inediti dei maggiori poeti italiani, tra i quali Luzi e Zanzotto. Per questa attività ha vinto vari premi, tra i quali il Camaiore, in cui per la prima volta un piccolo editore vinse il Premio della Critica con i "Cinque canti per un solstizio d'inverno" di Giuseppe Conte e lo Speciale della giuria con "Gli Eldoradi Quotidiani ed altre poesie" di Giorgio Celli. Ma il Circolo voleva dire anche gastronomia, con la presenza tra i fornelli anche di rinomati cuochi "Stella Michelin". Alla conduzione di Fabbri successe poi un gruppo di giovani e motivatissimi artisti locali, ma il problema da risolvere stavolta è stato insormontabile: la scadenza del contratto d'affitto. Da un'iniziale richiesta di poche migliaia di euro all'anno ci si è trovati di fronte ad un rinnovo ben più oneroso, non certo sopportabile con i chiari di luna attuali. Si è quindi arrivati al triste epilogo. Incerto, ora, il destino di questo spazio. Vox populi vuole che al suo posto sia realizzato l'ennesimo ed anonimo ristorante.

venerdì 5 giugno 2009

Festival delle Culture a Ravenna

Termina domenica sera a Ravenna la seconda edizione del Festival delle Culture. Un Festival che ha come obiettivo quello di portare alla luce tutte le variegate culture ormai da tempo insediatesi in Romagna. Islamici, copti, ortodossi, e, etnicamente parlando, cittadini asiatici, africani e americani del nord e latini, che già da decenni convivono e prosperano nella nostra terra. Moltissimi i concerti e i dibattiti in programma durante tutta questa settimana, ma, al di là della fredda cronaca degli eventi, pur interessati, mi è sembrato giusto dare voce al Presidente del Festival, lo scrittore algerino TAHAR LAMRI, mio coetaneo e amico personale, che risiede a Ravenna da un quarto di secolo.
COME SEI RIUSCITO A COINVOLGERE TANTI SOGGETTI COSI' DIVERSI IN UN PROGETTO COSI' AMBIZIOSO?
L'idea principale è quella di far confluire le culture cittadine. Il festival nasce dal basso, da una cultura orizzontale e popolare, e volendo unire generazioni e tradizioni spesso all'opposto. Si è passati, ad esempio, dal concerto di oggi della banda comunale ad esibizioni di giovani rapper e ad un autore come Gregor Ferretti. Il Festival vuole testimoniare come gli stranieri siano anche grandi portatori di cultura e siano estremamente generosi verso la città che li ospita.
NON C'E' IL RISCHIO INVECE DI SOTTOLINEARE LE DIFFERENZE PIUTTOSTO CHE LE ASSONANZE?
Per evitare questo si è per l'appunto costruito un programma che prevede molte contaminazioni per contribuire alla conoscenza reciproca sopratutto fra stranieri stessi. In nessuna altra realtà italiana vi è una capacità simile di lavoro in rete delle nostre associazioni. Lo scopo del Festival è anche e sopratutto quello di fungere da catalizzatore e quindi evitare derive pericolose. Ravenna è ormai una città multiculturale oltre che multirazziale.
TI PREOCCUPA IL CLIMA DI SCONTRO CHE STA SORGENDO IN ITALIA INTORNO AI TEMI DELL'IMMIGRAZIONE?
Io non mi preoccupo del momento attuale... dico solo che dobbiamo fare le cose e basta. Il mio Paese, ad esempio, è stato liberato da sei persone che hanno combattuto contro tutto e tutti ed alla fine hanno vinto.
TU ORMAI SEI A RAVENNA DA UN QUARTO DI SECOLO (Tahar è stato sposato ad una ravennate da cui poi si è separato). TI SENTI ANCORA STRANIERO?
In verità non mi sono mai sentito straniero. Io sono una sintesi, una specie di somma d'identità. Le definizioni generali funzionano per i gruppi e per chi immagina una società statica. Ma nella realtà i singoli individui ogni giorno devono inventarsi e far crescere una propria specifica personalità.
Gran finale domenica sera, quindi, presso i Magazzini Almagià, nella zona del porto, che un secolo fa erano degli enormi depositi per lo stoccaggio dello zolfo, e oggi sono uno stupendo contenitore di realtà artistiche, vero fiore all'occhiello per la città di Ravenna e per tutta la Romagna.

giovedì 4 giugno 2009

Che bei ricordi...

Leggo questo post (* il nostro sulle balere romagnole n.d.r.) e vengo travolta da un mare di ricordi. Io a Marina di Ravenna ci sono andata a trascorrere le vancanze (due mesi per volta! si partiva il 29 giugno e si rimaneva tutto luglio e tutto agosto...) da quando avevo pochi mesi fino ai 13 anni...poi ci ho fatto un paio di capatine nostalgiche da "adulta".
Il bagno Nello, la Grotta Verde (da fuori sentii tutta gasata Gianni Pettenati con la sua "Bandiera Gialla" e i Ricchi e Poveri ^_^) , Le Ruote, la gelateria Mariuccia, Il cinema in fondo alla via di casa dove non potei andare a vedere coi miei fratelli maggiori (invidiaa) Senta Berger in "Quando le donne avevano la coda" perché non avevo 14 anni, ma dove non persi tanti altri films, tra cui quelli optical come "La zanzara" con Rita Pavone e Giancarlo Giannini), il mercato al mercoledì che si svolgeva proprio in una piazza accanto alla via dove sorgeva la casetta che affittavamo (a fianco delle scuole elementari), il "frizzital" che era un gelato che potevi prendere proprio al giorno del mercato, il fritto di pesce della signora Giulia, il dolce tuttoburro che sempre lei preparava per il compleanno di mia sorella, la messa la domenica sera alla chiesa che allora mi pareva così moderna e vasta, le gite al Molo (e di là c'era Marina Romea), gli odori del porto, il pesce che mangiavi al ristorante Sole (se non erro si chiamava così), gli avvistamenti dei vip che stavano al Park Hotel (Patty Pravo con la sua maga, la Vanoni, per esempio), i bomboloni freschi la mattina, le frittelle della Signora Rosa (mamma scalza e col foulard alla pirata in testa del bagnino Nello), le partite di pallavolo dietro le cabine e accanto alle docce, le cabine di legno, quelle di cemento come la nostra, la numero 31, sempre piena di sabbia e di cose di ogni tipo: costumi, pinne, boccagli, teli, palette, biglie coi ciclisti, materassino di tela rosso e blu, il pontile, Lo sci nautico dei miei fratelli maggiori e della zia Roberta, le gite in motoscafo all'isola d'acciaio con quel gran figo dell'Urbano (fratello di Nello), le passegate in pineta (e le storie su Anita Garibaldi da ascoltare con gli occhi sgranati, i pinoli da raccogliere da spaccare e assaporare), gli zampironi, il ddt spruzzato da una specie di Ape Piaggio, gli arrivi di mio papà al venerdì sera o al sabato mattina, la colonia che si trovava quasi alla fine del paese, verso il lido di Savio, che mi metteva così tanta tristezza (mio padre diceva che alcuni bambini nostri compaesani stavano lì e una volta andò a trovare qualcuno di loro). E come si chiamava quel locale che stava in pineta, circa davanti all'hotel Internazionale, tra la via delle Nazioni e il "mio" tratto di mare? Jolly? Non ricordo...
Quanto mi piaceva il tratto di strada da fare da casa alla spiaggia, sotto il sole cocente delle due del pomeriggio, sola e tranquilla. E ritrovare in spiaggia, ogni giorno, ogni anno, quei soliti volti, quelle persone che poi lungo l'anno non sentivi più, tranne qualche scambio di cartolina, o qualche lettera...
Ricordo A. Gambaiani, che ancora credo viva là.
E poi Vincenzo L., mio bellissimo primo amorino coi capelli neri neri e gli occhi verdissimi, che mi dava la mano uscendo dal mare al bagno di mezzanotte, ma aveva 17 anni e io 13...rimase una simpatia incubata..che avrebbe potuto sbocciare forse negli anni a venire, se non fosse stato che i miei smisero di andare lì proprio quell'anno.
E Sante, con la sua simpatia e col suo "prototipo", motorino tutto mezzo scassato e rielaborato da lui. Potrei fare molti altri nomi, mi scorrono davanti tutti i visi, le situazioni, le atmosfere...
Sono ricordi che mi legano moltissimo ai miei fratelli, che li hanno condivisi con me, pur avendo ognuno di loro -ne sono certa- la propria "fetta" personale di ricordi e di persone speciali.

sabato 30 maggio 2009

Addio, vecchie e gloriose balere romagnole

"A Marina di Ravenna, sul Viale delle Nazioni, sono iniziate le opere di demolizione dei vecchi fabbricati che ospitavano la discoteca Xenos e l'hotel Internazionale. Si prevede la prossima realizzazione di un albergo quattro stelle superior, con cento stanze ed una galleria commerciale al piano terreno.Il progetto è stato redatto dall'Architetto Carlo Maria Sadich, su commissione della società Comway S.r.l., formata da Gruppo Nettuno S.p.A., Coop. Cmr ed altri. I lavori saranno realizzati dalle imprese di costruzione Gama S.p.A. e Coop. Cmr.La società Comway investirà in quest'opera 20 milioni di euro."Si tratta di un'importante scommessa sul futuro di Marina di Ravenna - commenta il presidente di Comway, Paolo Conforti - e sul turismo di qualità della riviera ravennate, ma la sfida, per quanto difficile, porta con sé il valore della Cittadina di Marina di Ravenna, con la sua grande spiaggia, la storica pineta, il porto turistico, la passeggiata sul canale".
Questo lo scarno comunicato apparso su vari giornali locali della zona di Ravenna. Sembrerebbe una notizia come le altre. Non lo è. Lo Xenos è uno dei locali più ricchi di gloria e di storia di tutta la riviera romagnola. Nacque all'inizio degli anni 60 e originariamente si chiamava "Le Ruote" perchè era di proprietà di un certo Dante Rivola, ex ciclista che assomigliava a Gregory Peck e che aveva gareggiato nella squadra di Bartali, fino ad arrivare in nazionale nell'edizione dei Campionati del Mondo del 1952 a Lugano, vinta da Fausto Coppi. In seguito divenne "Circolo Ravennate e dei Forestieri", e diventò il quartier generale del mitico Concorso di Pittura Estemporanea di Marina di Ravenna, che tuttora richiama artisti da tutta Europa. Il "Circolo dei Forestieri" ospitò per quattro anni anche le fasi finali del concorso di bellezza "Lady Universo". Ma il piatto forte del locale era la GRANDE musica dal vivo. A metà degli anni 60 TUTTI i più grandi artisti d'Europa sono passati da questo locale. Chi ha più anni di me ricorda ancora con emozione le esibizioni di MINA, BRUNO MARTINO, CLAUDIO VILLA, solo per citarne alcuni, fino a gruppi come GENESIS, URIAH HEEP, JETHRO TULL. Roberto Minguzzi, batterista dell'orchestra del bagnacavallese Fenati, ricorda l'esibizione dell'orchestra Zavallone, con alla batteria un giovane talentuoso: Tullio De Piscopo. Ripeto, citarli tutti è impossibile. Dello Xenos ho pochissimi ricordi personali: due puntate in tutto all'inizio degli anni 90, una delle quali per conoscere dal vivo l'allora comico emergente Enzo Jacchetti, il filosofo del "pensiero bonsai". Ma già all'epoca gli anni d'oro era finiti da un pezzo. Lo Xenos era una discoteca come tante altre, frequentata più che altro da fighetti e figli di papà, che spesso noleggiavano l'enorme struttura per feste di laurea o compleanni. L'era delle vecchie balere era al tramonto. Pochi metri più in là, infatti, si assisteva all'agonìa di un'altro storico locale, la Grotta Verde, che apriva da maggio a settembre, in quanto all'aperto. Delle decine di locali da ballo esistenti nella sola provincia di Ravenna a partire dalla fine degli anni 60, oggi ne sopravvivono solo otto, cinque dei quali propongono esclusivamente il "liscio". Anche questo è un mondo che scompare.

giovedì 28 maggio 2009

SAN MARINO AI GIOCHI OLIMPICI DEI PICCOLI STATI

Inizio a postare su questo nuovo blog in maniera un pò insolita rispetto alle consuete. Parliamo infatti di sport. Da una recentissima toccata e fuga in una località al confine con San Marino ho appreso che esistono Giochi Olimpici riservati espressamente alle Nazioni Europee piccole e piccolissime. I giochi Olimpici dei Piccoli Stati d'Europa sono anzi già alla tredicesima edizione, e a differenza dei normali giochi Olimpici, che si svolgono ogni quattro anni, questi si svolgono ogni due. Insomma, i nostri cugini serenissimi il 31 maggio partono alla volta di Cipro in cerca di riscatto, visto che all'edizione del 2007, svoltasi nel Principato di Monaco, sono arrivati penultimi, raccattando solo 16 medaglie: 4 d'oro e 6 d'argento e di bronzo. Pare inoltre che in questi particolari cimenti proprio Cipro faccia la parte del leone, visto che, sempre due anni fa, è arrivata prima con ben 93 medaglie, di cui ben 36 d'oro. Otto le nazioni partecipanti: oltre a San Marino e a Cipro, vi sono anche Islanda, Lussemburgo, Monaco, Malta, Andorra e Liechtenstein. Dodici le discipline interessate: atletica leggera, pallacanestro, judo, tiro, tennistavolo, pallavolo, vela, ginnastica, beach volley e nuoto. Oltre alla capitale Nicosia, le gare si disputeranno anche a Machairas e a Limassol, sulla costa est. I Giochi si apriranno il primo giorno di giugno per chiudersi sabato sei. Non rimane che augurare ai nostri simpatici cugini un forte in bocca al lupo, e che almeno evitino il "cucchiaio di legno".

mercoledì 27 maggio 2009

Benvenut@



Benvenut@ nel nostro blog di impronte ROMagnole!