sabato 6 febbraio 2016

Luglio 1919: i moti contro il carovita in Romagna



Primo anno dopo la Grande Guerra. L'Italia ha vinto, e la vittoria ha creato grandi aspettative. Già negli anni precedenti si erano create all'interno della Società fortissime tensioni, sfociate con l'eccidio di Ancona e la conseguente Settimana Rossa nel giugno 1914. Ora però c'è di più: nell'immane sforzo bellico richiesto dopo la disfatta di Caporetto, le tante speranze di cambiamento sono state supportate dalle tante promesse del governo. Nel suo studio sul 1919, Roberto Bianchi riassume fin dal titolo le aspirazioni dei ceti popolari, "Pane, pace, terra" (Odradek edizioni, Roma). Non grandi acquisti territoriali, non vasti imperi, ma una vita meno stentata, semplicemente. Di quell'anno serve ricordare alcuni avvenimenti cardine: la nascita del Partito Popolare, "un partito di cattolici, ma non cattolico". A Milano, invece, il 23 marzo Benito Mussolini costituisce i "Fasci di combattimento". Tempo nemmeno un mese e sempre a Milano avviene l'assalto squadrista alla sede dell'"Avanti!", il giornale che lo stesso Mussolini aveva diretto fino a pochi anni prima. Nell'estate c'è l'approvazione di una nuova legge elettorale per le imminenti elezioni politiche: suffragio universale maschile e sistema proporzionale ne sono i cardini. In settembre Gabriele D'Annunzio guida una colonna di reparti ribelli dell'esercito fino alla città di Fiume, e la occupa. E' una reazione alla delusione delle trattative di pace in corso a Parigi. In questo quadro così complesso e multiforme si collocano avvenimenti che riguardano più da vicino la realtà romagnola: i moti popolari contro il carovita. Tutt'altro che pacifici, dato il clima e i tempi, con morti e feriti un pò ovunque, cinque, ad esempio, nella città di Imola. 
"Obiettivi delle rivolte" scrive Bianchi "furono il ribasso dei prezzi e il controllo delle merci, la punizione di chi durante la guerra aveva praticato la "borsa nera", l'imposizione di un controllo gestito dal basso sul sistema di gestione delle risorse e, talvolta, la creazione di forme di potere contrapposte allo Stato liberale".
Cessata la guerra, mentre la smobilitazione procedeva a rilento e parecchi soldati venivano trattenuti sotto le armi, si era allentato il controllo pubblico sugli approvvigionamenti, e i prezzi erano lievitati oltre ogni misura. 
Oggi si parlerebbe di "inflazione galoppante", ma allora un simile concetto era ancora di là da venire presso gli economisti. Le rivolte divamparono dalla Liguria fino a tutta la Toscana, e spesso assunsero forme non preordinate, con saccheggi indiscriminati di negozi e magazzini, e risposte sanguinose delle forze di polizia. 
Di fronte alla pressione popolare, socialisti, repubblicani, anarchici e sindacalisti reagirono per dare ai moti un andamento costruttivo e non solo distruttivo. Si promossero comizi e furono fondate leghe e cooperative, ma purtroppo tutto questo non bastò. L'evoluzione di questa tragica situazione si sarebbe vista di lì a pochi anni, con l'avvento della dittatura fascista, che condurrà l'Italia a una seconda e ancor più devastante guerra.