lunedì 31 dicembre 2012

Presepe di sabbia a Marina di Ravenna





Terminiamo il 2012 con la visita e il relativo filmato al Presepe di sabbia di Marina di Ravenna, nato da pochi anni ma che richiama già scultori e artisti da varie parti del mondo. Il video risale a ieri pomeriggio, complice una luminosa e tiepida giornata, che ha visto le spiagge della località rivierasca gremite di persone di tutte le età, con figli, nipoti e animali al seguito. Persino un solitario cavaliere, che apre la carrellata di immagini. A tutti i lettori ed estimatori di questo blog un sincero augurio di buon 2013. 

mercoledì 26 dicembre 2012

"LA BROJA"







Entrata a pieno titolo nelle commedie "classiche" del teatro dialettale romagnolo, "La Broja" (un tipo di erba palustre), è stata scritta negli anni '60 dal commediografo ravennate Bruno Gondoni, per celebrare l'impresa dei braccianti romagnoli che nel 1883 furono inviati a bonificare le foci del Tevere, favorendo così l'edificazione di Ostia moderna. Per altri particolari si rimanda alle didascalie all'inizio del video, la cui qualità non è ottimale, e di questo ce ne scusiamo. 

domenica 9 dicembre 2012

Benigno Zaccagnini, cent'anni dopo



A cent'anni dalla nascita di Benigno Zaccagnini, faentino, segretario della Democrazia Cristiana dal 1975 al 1980, e infine scomparso a Ravenna nel 1989, dove abitava già da ragazzo, riportiamo questa intervista con Romano Argnani, che fu suo collaboratore per cinque anni quando era dirigente centrale dell'ufficio problemi del lavoro e dal 1974 consigliere nazionale della DC.

Quando ha conosciuto Benigno Zaccagnini?

Nell'immediato dopoguerra. All'epoca abitavo nel forese e ricordo che Benigno veniva spesso a Mezzano per dialogare coi giovani. Lo chiamava il cappellano Don Pippo, che era poi suo fratello.

Cosa lo colpiva del suo carattere?

La sua bontà e il suo equilibrio. Non l'ho mai sentito parlar male di nessuno. Era nel suo intimo. E poi quella sua capacità di riuscire a smorzare i toni e mettere d'accordo le parti avverse.

Ricorda qualche episodio particolare?

Una volta eravamo a Conselice, in una non facile riunione di Partito nel corso della quale si era accesa una vivace discussione fra le correnti di destra e di sinistra. La destra ad un certo punto si mise a cantare addirittura "Giovinezza", mentre la sinistra rispondeva con "Bella ciao". Benigno, nel tentativo di mettere d'accordo tutti, intonò una canzone in dialetto romagnolo!

Che ricordi ha dei tanti viaggi compiuti insieme a lui?

Bè, quando si andava via in macchina voleva guidare lui perchè gli piaceva molto. Con noi viaggiavano spesso il suo inseparabile amico Giordano Mazzavillani (grande poeta in dialetto ravennate, ndr), e il professor Santacroce. Quando c'era Giordano il clima era molto allegro, perchè era tutto un raccontare di fatti romagnoli molto coloriti, o barzellette. Con Santacroce invece si parlava soltanto di politica.

La città sta celebrando la sua figura, in occasione del Centenario della nascita. Quali aspetti si possono sottolineare?

Spesso si diceva che Zaccagnini non s'interessava dei fatti della sua città, ma questo non è assolutamente vero. Se Ravenna ha avuto l'Anic lo si deve in gran parte a lui che interessò al problema Enrico Mattei e l'allora ministro Medici. E pensiamo al porto, per il quale Benigno si adoperò per finanziarne le infrastrutture. Anche la bretella autostradale che da Imola raggiunse la città nel 1966, togliendola in parte da un secolare isolamento, fu possibile grazie ai suoi sforzi.

Zaccagnini s'interessò anche della delicata questione dell'aeroporto militare.

Sì, in un primo momento si pensava di costruire l'aeroporto nelle vicinanze della Basilica di Classe, ma Don Mesini fece capire che il rombo degli aerei avrebbe danneggiato la Basilica. La Nato, allora, propose di costruirlo nella zona dove poi sarebbe stata edificata l'Anic, e fu allora che Zaccagnini convinse il ministro Taviani di spostare il progetto a Pisignano di Cervia, dove poi venne realizzato.

Cosa le è rimasto dell'insegnamento di Zaccagnini?

Il ricordo di un vero democratico. Lui ascoltava molto la gente e anche all'interno del Partito non imponeva mai le sue decisioni. Voleva che emergessero dalla "base", anche quando erano diverse dalle sue.

Durante i vostri viaggi, quando non parlavate di politica, di cosa parlavate?

Del più e del meno. Benigno era un uomo silenzioso, meditativo, e un uomo di grande fede che spesso chiudeva le chiacchiere invitando a recitare il Rosario.

Benigno Zaccagnini partecipò alla Resistenza in una formazione cattolica col nome di battaglia "Tommaso Moro", il vescovo scozzese famoso per aver scritto, trecento anni prima di Proudhon, che "la proprietà privata è un furto". Dopo la guerra sposò una ragazza di quel gruppo, di cui era una delle staffette.



mercoledì 28 novembre 2012

Marco Pantani, l'ultimo ribelle





Questa intervista fu realizzata da Gianni Minà a casa di Marco Pantani subito dopo la sua forzata esclusione dal Giro d'Italia nella tappa di Madonna di Campiglio il 5 giugno del 1999, per un valore leggermente alto di ematocrito, un valore la cui variazione è dovuta a mille cause. Ciò fece scoppiare il "caso Pantani": lo andarono a prendere addirittura i carabinieri, nemmeno fosse stato un mafioso pericolosissimo. Sei mesi dopo l'esame fu ritenuto nullo, e Marco ritornò a correre, ma ormai il danno era fatto. Vinse ancora due tappe di montagna al Tour de France del 2000, poi la lenta discesa verso gli inferi, la droga, e la tragica fine in quel maledetto giorno di San Valentino del 2004. Aveva appena compiuto 34 primavere. Questa vicenda è narrata nell'ultimo spettacolo del TeatrodelleAlbe di Ravenna, scritto dal regista e drammaturgo Marco Martinelli, eterna anima (che Iddio ce lo conservi a lungo) del fu Teatro dell'Arte Maranathà, poi Linea Maginot, poscia Albe di Verhaeren ed infine Teatro delle Albe inserite però nel contesto di Ravenna Teatro, ove sono presenti anche numerosi giovani attori che Marco è riuscito a formare grazie a vari corsi e laboratori tenuti nei licei della città già a partire dalla fine degli anni Ottanta. Lo spettacolo è in scena fino al 2 dicembre al Teatro Rasi di Ravenna, ma poi andrà in tournèe e, consiglio spassionato, andatelo a vedere ovunque lo vediate in un qualsiasi cartellone, di una qualsiasi città. Lo spettacolo è un atto d'accusa potentissimo contro gli intrighi inestricabili fra le lobby (o se volete, le mafie) delle case farmaceutiche e le associazioni sportive dalle più piccole alle più grandi e potenti, che tuttora sono lì, sono sempre quelle, e fanno il bello e il cattivo tempo. Tutti sanno ma tutti tacciono o fingono di non sapere, tranne poi scagliarsi contro il capro espiatorio di turno, che in questo caso fu Marco Pantani da Cesenatico. Nello spettacolo gli immarcescibili Ermanna Montanari e Luigi Dadina danno corpo e voce ai genitori di Pantani, mentre nel sottofondo appare in forma cantata e poetica la figura del nonno Sotero (che in greco significa "Salvatore"), una tipica figura di vecchio anarchico romagnolo, dai forti valori ancorati alla terra. Marco Pantani, come viene detto alla fine del lungo spettacolo (oltre tre ore, ma passate bene) non era certo un rivoluzionario, ma un ribelle sì, e i ribelli spesso sono molto forti fisicamente ma fragili interiormente. Lo hanno voluto distruggere perchè era il più forte, e in una società di mediocri e di falsi come questa, uno come lui era scomodo. Compì imprese dal sapore antico: scalate in mezzo alla tormenta, distacchi biblici rifilati agli avversari, rimonte impossibili, e tutto questo in un contesto di incidenti e infortuni che hanno dell'incredibile. Alla Milano-Torino un SUV entrò nella corsia dei corridori e lo centrò in pieno, facendolo restare fermo un anno. La causa per il risarcimento danni andò persa, perchè il Comune di Torino non volle pagare i 10 miliardi chiesti come indennizzo. Appena ripresosi fu coinvolto in una caduta provocata addirittura da un gatto grigio. Nonostante questo nel 1998 riuscì nell'accoppiata Giro d'Italia-Tour de France, cosa riuscita a pochissimi campioni. Lo spettacolo è quindi a metà fra narrazione (con magnifici inserti filmati, a volte strazianti e a volte però anche molto divertenti, perchè Marco era uno che sapeva ridere e divertirsi), inchiesta giornalistica, con sottofondi suonati dal vivo alla fisarmonica e cori greci recitati o cantati, che tratteggiano alcune fasi salienti del racconto o fanno da trait d'union alle varie parti. Teatro Rasi pieno, nonostante il nubifragio di ieri sera sulla città, insomma, una bella serata rubata a Ballarò o ad altre amenità televisive. Degli attori nulla da eccepire: li conosco da decenni e sono perfetti. La scrittura di Marco Martinelli (che conosco da oltre trent'anni) è sempre la solita, poetica quando serve e netta e chirurgica quando ci vuole. Un testo il cui scopo è quello, nemmeno nascosto, di far ripartire le indagini sulla morte di Marco Pantani, che nel 2004 furono chiuse in modo frettoloso e con modalità a dir poco sconcertanti. I genitori e la sorella di Pantani, infatti, sono ancora lì e non riescono a darsi pace fino a che non verrà scritta una parola definitiva su questa incredibile vicenda, una parola che riabiliti l'uomo e il campione, che restituisca pace a loro e al loro caro. Ma conoscendo questo Paese non c'è da farsi illusioni: da Giuseppe Pinelli in poi i misteri e le morti sospette sono destinate all'insabbiamento ed infine all'oblìo. Ci sarebbe molto altro da dire, per cui rinnovo l'invito ad accorrere a vedere questo spettacolo ovunque voi siate, e magari dopo ad incavolarvi ancora di più contro le classi dirigenti che ci stanno portando allo sfacelo, in ogni settore.


domenica 18 novembre 2012

Addio a Walter Dal Pane, coraggioso innovatore del divertimento intelligente e grande chef


Valter Dal Pane (Veca)
Valter Dal Pane (Veca)


Faenza, 17 novembre 2012 - Faenza si è svegliata questa mattina con una grave perdita, quella di Walter Dal Pane. Se ne è andato a soli 45 anni. Era notissimo, come socio e volto dell'Osteria della Sghisa, ma anche come protagonista della gestione di locali come il Corona e le Scimmie e ideatore di innumerevoli iniziative che legavano gastronomia e cultura, fra le quali Cinemadivino. Lascia la compagna e due figli.
Dal Pane è morto al termine di una lunga e intensa giornata di lavoro. Era stato fino alle 22,30 di venerdì sera in Fiera, a Enologica, poi aveva trascorso la serata nella sua Sghisa, in via Emiliani, dove è rimasto sino alla chiusura, alle due. Quindi il ritorno a casa, in via XX Settembre, dove viveva con la compagna e i suoi due figli, di 14 e 9 anni. Poco dopo, in casa, Walter è caduto in terra. La compagna ha sentito il tonfo e lo ha trovato privo di sensi. Subito è scattato l'allarme al 118, sul posto sono arrivate un'ambulanza e l'automedica. I sanitari hanno tentato anche l'impossibile praticando per oltre un'ora la rianimazione anche attraverso farmaci. Tutto inutile. La prima ipotesi parla di un decesso per cause cardiache.
Il vicesindaco Massimo Isola ha detto: «La città perde uno straordinario innovatore che ha saputo leggere la tradizione e l'identità del territorio non come luogo della memoria ma come strumento per guardare al futuro. Amava divertirsi e farci divertire attraverso la cultura e fare cultura attraverso il divertimento: un grande valore che gli ha permesso di coinvolgere la comunità attorno ai suoi progetti. Come amministrazione siamo vicini alla famiglia e alla sua creatura, la Sghisa».


mercoledì 14 novembre 2012

Mario Lapucci, vent'anni dopo


E' stato ricordato a Ravenna, nei giorni scorsi, il ventennale della scomparsa di Mario Lapucci, l'editore "più puro d'Italia", come ebbe a definirlo felicemente una volta Vittorio Sgarbi. Della sua nota biografica si dirà dopo, prima però vorrei menzionare un mio breve ricordo personale. Lo conobbi quando lui aveva già sessant'anni e io quasi sedici, ed ero alle prese col mio primo lavoro della vita, il tipografo. Veniva a far stampare i suoi meravigliosi volumi nella tipografia dove cominciai, e poi, qualche anno dopo, in quella dove completai la mia formazione professionale. Questo blog, infatti, è cominciato qualche anno fa con un racconto tratto da "L'ultimo anarchico", un libro che raccoglieva articoli e racconti di Don Francesco Fuschini, il parroco scrittore di Argenta (1915-2007), apparsi sul "Resto del Carlino" negli anni 60 e 70. Su Don Fuschini ci sarebbe molto da dire, e di questo ci si ripromette di pubblicare un post tutto per lui. Ma di recuperi letterari Lapucci ne fece molti altri, come quello di Dante Arfelli, autore di Cesenatico (!921-1995), che a cavallo fra il 1949 e il 1951 pubblicò due bellissimi romanzi ("I Superflui" e "La Quinta Generazione"), che furono tradotti in venti lingue e vendettero milioni di copie in tutto il mondo. Mario Lapucci aveva capito che la Romagna correva il grosso rischio, forse prima di altre regioni, di perdere la sua identità culturale, letteraria e lessicale, e si buttò a capofitto nel tentativo di pubblicare quanto più possibile per tramandare ai posteri la memoria della "vecchia" Romagna, iniziando nel 1964 con un libro di "Indovinelli romagnoli" a cura di Libero Ercolani. Oltre che editore fu anche poeta e pittore, e sopratutto stimolatore di eventi. Negli ultimi due anni di vita si dedicò al concorso letterario "Vallesenio", di Riolo Terme, ideato dalla poetessa locale Giuliana Montalti, forse uno dei pochi se non l'unico in Italia a non richiedere una tassa di iscrizione. Era un tipo burbero e a volte esibiva un pò la sua cultura enciclopedica, ma d'altronde ne aveva tutte le ragioni, per cui lo si perdonava volentieri. Fu anche uno dei miei primi lettori, quando nel 1977 cominciai a occuparmi di poesia, e fu molto franco e schietto, com'era sua prassi, nel dirmi che cosa funzionava e che cosa invece no. La sua scomparsa, non è retorica dirlo, ha lasciato davvero un vuoto assolutamente incolmabile, pari a quella del gallerista e incisore Giuseppe Maestri, la cui bottega era, tra l'altro, a pochi metri dalla sua abitazione in via Baccarini e pure dalla sua libreria in via Corrado Ricci. 


Mario Lapucci nasce a Fiordimonte di Macerata, terzo di cinque figli, il 25 settembre 1914. Dal 1921 frequenta le elementari a Bastia di Ravenna, dove il padre era stato trasferito per insegnare alle scuole elementari. Con la famiglia, infine, approda nel capoluogo nel 1927. Inizia a lavorare egli stesso come maestro per le scuole elementari, e insegna a Ravenna e Bolzano dal 1937 al 1939, anno in cui vince un concorso INPS che lo assegna alla sede di Pesaro.

Aveva frequentato a Palermo il corso Allievi Ufficiali e nel 1939 viene mobilitato per la campagna di Libia, dove è nominato tenente nel 1940. Nello stesso anno è fatto prigioniero a Sidi el Barrani, da dove è destinato prima nel campo di prigionia di Bangalore nel sud dell’India e poi nel campo di Yol nell’India del nord. Negli anni di prigionia redige coi compagni due giornali satirici: “Mago Merlino” a Bangalore e “Catone” a Yol. È rimpatriato dopo sei anni e rientra a Ravenna nel novembre 1946, portando con sè una serie magnifica di acquerelli che descrivono i vari luoghi dell'India visitati, e la varia umanità che li componeva. Ebbe in questo, molta libertà da parte delle autorità inglesi, che lo lasciavano libero di poter andare nei paesini attorno al campo di reclusione, allo scopo di consentirgli di dipingere.

A Ravenna riprende servizio all’INPS e si sposa con Lia Roncuzzi da cui avrà tre figli. Si laurea in lettere moderne nel 1954 e dal 1960 dirige la libreria Modernissima di via Corrado Ricci organizzando incontri e presentazioni di libri. Nel 1964 fonda le Edizioni del Girasole (all’inizio Edizioni della Rotonda) che in trent’anni pubblicheranno circa 300 titoli. È, dalla fondazione nel 1974, vicepresidente (cioè braccio destro di Walter della Monica) del Centro Relazioni Culturali che porta a Ravenna il meglio della cultura italiana.

Alla morte del figlio Gianni nel 1980 vende la libreria Modernissima e si dedica solo al Girasole, alle sue ricerche, alla pittura e alla grafica. Dal 1988 al 1991 è direttore responsabile della rivista “Romagna ieri oggi domani”, che esce per trenta numeri. Negli anni precedenti aveva curato per Mondadori il “Deuteronomio” della “Sacra Bibbia Concordata”, per Maggioli il terzo volume (“Prose, poesie italiane e teatro”) dell’Opera Omnia del grande poeta romagnolo (dialettale) Aldo Spallicci e aveva collaborato con strisce e disegni satirici al “Travaso”, al “Vittorioso” e a “Paese Sera”.


Muore d’infarto nell’ottobre del 1992, tre mesi dopo la morte della moglie.
La sua produzione di pittore è stata tra l’altro esposta nel 1983 in una personale alla Galleria “Il Patio” di via Baccarini a Ravenna e in mostre postume, sempre a Ravenna, nel 1993: oli e acquerelli alla “Sala Italia” di via Cairoli e alla Galleria “Artestudio Sumithra” di via Pasolini. Nel 2003 Alberta Fabbri ha curato la mostra retrospettiva della sua produzione 1938-1992 “Mario Lapucci, il percorso pittorico” allestita nella Sala Preconsiliare in Municipio.

La seconda Circoscrizione del Comune di Ravenna gli ha intitolato la sala della biblioteca di quartiere e il Comune di Ravenna gli ha dedicato un parco cittadino.

Sorrideva dicendo: “Quando morirò non piangete perché è solo sonno arretrato”.


Le Edizioni del Girasole, a vent’anni dalla sua morte, sono tuttora in attività.


lunedì 29 ottobre 2012

L'Arco Napoleonico fuori Porta Imolese a Faenza

dal BLOG http://www.castelbolognese.org/arco.htm



L’erezione dell’Arco napoleonico fu deliberata dalla Municipalità giacobina di Faenza nel febbraio del 1797 dopo che Napoleone di ritorno da Tolentino si era fermato per poche ore a Faenza proclamando l’annessione della Romagna alla Repubblica francese; si volle ricordare con quel monumento marmoreo la vittoria dei Francesi al Ponte del Senio di venti giorni prima. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all’architetto Giannantonio Antolini di Castelbolognese, notissimo a Faenza, che fu preferito al grande rivale, il faentino Giuseppe Pistocchi. L’arco, la cui prima pietra fu posta con grande cerimonia e discorsi celebrativi il giorno 7 maggio, sorse a cavallo della via Emilia fra il convento dei frati francescani detti del Paradiso e l’angolo di quella che sarà la Piazza d’Armi; un viale doveva collegarlo con Porta Imolese. L’erezione affrettata di quest’arco diede luogo ad una lunga ed aspra polemica col Pistocchi ed i suoi fautori che lo giudicarono troppo stretto, inelegante ed instabile (ci fu chi lo battezzò "un comodino"). Cosicché quando, nel 1799, il governo repubblicano fu temporaneamente soppresso per il ritorno delle truppe austriache alleate della Santa Sede, ne fu subito deliberata la demolizione. Nell’anno 1801 tuttavia, col ritorno vittorioso delle truppe napoleoniche e il definitivo consolidamento del governo repubblicano, si pensò di ripristinarlo ma la ricostruzione non andò oltre al basamento e, perdurando le polemiche, l’arco fu abbandonato e poi del tutto pareggiato al suolo. La bella veduta incisa all’acquatinta su rame e stampata in seppia che qui si riproduce non può essere di mano dell’Antolini: per certe caratteristiche si ritiene di poterla attribuire all’abile incisore e disegnatore faentino Giuseppe Zauli che aveva studiato a Bologna ed era amicissimo del quasi coetaneo e condiscepolo Francesco Rosaspina. Lo Zauli, come del resto anche il Rosaspina, era poi amicissimo di Felice Giani del quale qui ricorda vagamente i modi grafici.



Il decreto del generale francese Monnier per il ripristino a Faenza dell'arco trionfale rivoluzionario precedentemente demolito. Immagine tratta dal sito http://www.sottolatorre.altervista.org/

Tratto da: "Vedute di Faenza ottocentesca. / Ennio Golfieri. -Faenza, a cura del Monte di credito su pegno e Cassa di Risparmio, 1972".

martedì 9 ottobre 2012

Addio, estate 2012


Una carrellata di immagini girate fra primavera ed estate: il Festival Internazionale degli Aquiloni a Cervia, sci acquatico a Marina Romea e un tramonto sulla via Emilia verso Imola, andando ad un concerto di Michael Nyman alla Rocca Sforzesca di quella città, con sottofondo musicale balcanico tratto dalla colonna sonora del film "Ormai è fatta!".


domenica 30 settembre 2012

Settembre Dantesco a Ravenna


Da sempre settembre è il mese in cui a Ravenna si onora la memoria di Dante Alighieri, con i rappresentanti della città di Firenze che portano l'olio d'oliva da mettere nell'ampolla funebre che si trova all'interno della monumentale Tomba di Dante, opera settecentesca del grande architetto ravennate Camillo Morigia. La tomba, dove però non si trovano i resti mortali del Sommo Poeta, è inclusa nella cosiddetta "zona Dantesca", che include la Basilica di San Francesco, l'omonima piazza, la odierna Biblioteca Storica "Oriani", e i chiostri francescani, dove da sempre si alternano attori famosi e studiosi di Dante ai massimi livelli da tutto il mondo. Quest'anno è venuto a Ravenna il grande attore Silvio Orlando, che ha letto un canto del Purgatorio, introdotto dal noto studioso e conferenziere Carlo Ossola. Buon ascolto.





mercoledì 19 settembre 2012

Dario Fo, anteprima a Forlì


Forse non tutti lo sanno, ma da vari decenni Dario Fo e sua moglie Franca Rame hanno una casa in Romagna, e, per la precisione, a Sala di Cesenatico, luogo dove sono state concepite moltissime delle sue opere, teatrali e pittoriche. Per queste ultime si può fare un salto a San Marino dove ne sono esposte un bel numero fino ad ottobre. L'ultimo spettacolo teatrale ha come soggetto, non a caso, il pittore Pablo Picasso, e l'anteprima mondiale è stata data il 31 agosto scorso nel bel teatro di Forlì dedicato a Diego Fabbri, poeta e sceneggiatore forlivese scomparso da circa trent'anni. Questo è solo il primo tempo dello spettacolo, per vederlo tutto seguite la sua tournèe, che il divertimento è assicurato.


sabato 15 settembre 2012

Addio a Roberto Roversi


All'età di 89 anni si è spento a Bologna il grande poeta e intellettuale Roberto Roversi, una pietra miliare per la poesia e la canzone d'autore italiana. Scrisse infatti testi molto noti per Lucio Dalla (Nuvolari, Anidride solforosa, ecc) e per gli Stadio (Chiedi chi erano i Beatles). Ha combattuto nella Resistenza, e nel dopoguerra è stato Direttore di "Lotta Continua" e fondatore di note riviste dell'epoca, come "Officina", nel 1955, assieme a Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini. Dal 1948 al 2006 mise in piedi la mitica libreria antiquaria "Palmaverde" a Bologna, punto di riferimento per poeti e intellettuali di tutta Italia. Del 1961 è la fondazione della rivista "Rendiconti", di cui, assieme ad "Officina" fu anche editore. Verso la metà degli anni 60 operò una scelta rivoluzionaria per l'epoca, smettendo di pubblicare per grandi editori, inaugurando la stagione delle raccolte poetiche su ciclostile o fotocopiate e autogestite, e distribuite liberamente sopratutto col passaparola. In questo senso fu il nume tutelare del "Mercatino della Poesia" di Ravenna, che dal 1979 al 1982 si svolse nelle piazze della città bizantina, che vide esplodere la forma ciclostilata e autodistribuita del testo poetico, anche da parte di grossi autori, che in parte la interpretarono come "moda", ma anche però come mezzo per liberarsi dai dettami molto rigidi delle case editrici. Fu quindi grande amico di molti poeti romagnoli e ravennati, in particolare di Eugenio Vitali, il poeta ravennate che inventò la "Poesia da affissione", esperienza che durò dal 1971 al 1975 e che fece molto scalpore e fu persino imitata a Londra nel 1985. Ci lascia quindi l'ultimo grande vecchio della poesia italiana, finissimo intellettuale e voce controcorrente, scomoda ma rispettata.

giovedì 30 agosto 2012

Paola Tassinari, Diana da Ghibullo, Edizioni del Girasole

segnaliamo un libro interessante

Edizioni del Girasole, 2012 - 170 pagine

Maiale da Troia è effettivamente esistito: fu uno dei tredici eroi italici della Disfida di Barletta contro i francesi (1503) e pochi sanno che gran parte dei disfidanti italici partecipò anche alla Battaglia di Ravenna nel giorno di Pasqua 1512. L'amore favoloso e tragico del valoroso cavaliere pugliese con la bellissima contessina Diana da Ghibullo (stuprata e fatta morire la vigilia di Pasqua del 1512 da Gaston de Foix, che non tollerava, lui futuro re di Francia, di essere stato respinto da una fascinosa giovanetta e ancor meno tollerava l'amore di lei per un condottiero che aveva sconfitto i francesi nella Disfida e usava il flauto come arma di seduzione) rivive nell'immaginario inquieto di Caterina, detta Kate, la quale fa visita fin da piccola tutti i giorni alla Colonna dei Francesi, lì sull'argine del Ronco, vicino alla sua casa.

martedì 28 agosto 2012

Un ricordo dei miei nonni faentini, Francesco e Adalgisa


Francesco è stato vigile del fuoco e grafico cartellonista, le sue mani erano abili e veloci a disegnare loghi, pitturare insegne. Era un uomo molto colto, il suo scrittore preferito era Victor Hugo, il suo compositore prediletto Giacomo Puccini. Era autoritario e burbero, ma generosissimo. Ha combattuto la resistenza come staffetta dei partigiani, fino alla Liberazione di Faenza. La musica lirica, la bicicletta, i francobolli, le competizioni sportive in tv e il Partito Repubblicano Italiano erano le sue passioni. Quando portava le figlie al cinema a vedere i cartoni animati, il più rapito era senz'altro lui.
Gisa lavorava come sarta, cuciva gli abiti di tutta la famiglia e spesso ne venivano fuori dei veri capolavori, prima di dormire ci raccontava le storie di Brandè, un brigante romagnolo.
A sessant'anni dopo tanto lavoro e tanti sacrifici hanno deciso di girare insieme per l'Europa, perché Francesco non poteva vivere senza zaino sulle spalle e senza macchina fotografica per mostrare agli amici i bei posti visitati.
Questa bellissima foto del 1980 in occasione del loro cinquantesimo anniversario di matrimonio, nel Parco di Faenza, "ritoccata" da lui che era un dannato perfezionista (le fronde degli alberi non sono abbastanza verdi, devo rifarle) e forse un po' macchiata anche la sua testa, è una testimonianza di quella magnifica spontaneità un po' visionaria che li contraddistingueva.
Due persone semplici, autentiche, bellissime, che sono state insieme tutta la vita, anche nelle avversità e nelle tragedie (un figlio morto durante la guerra per difterite).
Due persone non famose, ma non per questo insignificanti.
Due romagnoli DOC, dei quali vado tanto fiera, li ricordo con immensa tenerezza.


lunedì 27 agosto 2012

Serata RIOLO TERME


Riolo Terme non è solo acque o cure termali ma anche luogo di cultura: dal 1990 si tiene il Concorso Letterario Vallesenio, per iniziativa della poetessa Giuliana Montalti, e dal 1993 un'altra simpatica iniziativa, il "Valore Giovani", dove giovani concertisti vengono affiancati da poeti o performer non proprio di primo pelo. Da qualche anno, inoltre, vi si tiene il Festival "Frogstock", che pochi anni fa vide il passaggio dei mitici Jethro Tull di Jan Anderson. Quest'anno tre grossi nomi italiani: Bandabardò, Khorakanè e Floydmachine, gruppo romagnolo di cover dei Pink Floyd, che gli stessi superstiti del gruppo inglese hanno definito in assoluto i piu' fedeli al loro stile. Sono tutti signori di mezza età che girano l'Italia per beneficenza, visto che un lavoro stabile ce l'hanno. Questo è un sunto dell'ultimo sabato, che ha visto l'ultima serata del "Frogstock" coincidere con la prima del "Valore Giovani". Buon divertimento.


mercoledì 1 agosto 2012

Cent'anni di Milano Marittima



Era il 1912 quando il pittore milanese Giuseppe Palanti, insieme a un gruppo di noti industriali, si innamorò della pineta a Nord di Cervia e decise di inventarsi una città-giardino sul litorale adriatico. Una civiltà urbana nella natura, con eleganti villette liberty e raffinati viali alberati: un piccolo paradiso mondano, ideale per le vacanze della buona borghesia milanese. Nacque così Milano Marittima, di cui quest’anno si festeggia il centenario della fondazione con eventi e pubblicazioni a tema. 


Studiata a tavolino, realizzata come da progetto, fu frequentata da personaggi illustri, da Giuseppe Ungaretti a Grazia Deledda, cittadina onoraria (qui nella foto con la sua famiglia).  Al racconto della scrittrice "Nel paese del vento" si ispira il titolo della "Guida storico-artistica di Milano Marittima e Cervia. Le città del vento" di Pierluigi Moressa. "Perché il vento, insieme ai pini, è l’elemento caratterizzante di questi luoghi", spiega l’autore, che racconta le due città attraverso un percorso culturale e "soprattutto emotivo", richiamando un’affinità con le località turistiche del Nord della Francia come Le Touquet-ParisPlage, lussuosa stazione balneare frequentata da ricchi parigini.
Nel tempo Milano Marittima è cambiata: negli anni ‘60 i primi locali mitici, come il Pineta, e da qui, negli anni successivi, l'esplosione della "movida". 


Nel 1963, dopo un comizio di Berlinguer, i giovani militanti cacciarono a casa i tedeschi “mangiapatate”. Il giorno dopo il presidente degli albergatori prese il treno, andò in Germania per scusarsi e si inventò il treno dell’amicizia: ogni albergatore adottò una famiglia tedesca, ospitandola gratis. Fu anche grazie a idee così originali e sopratutto coraggiose che nacque e si sviluppò la fortuna del turismo a Milano Marittima, un coraggio che oggi, purtroppo, non esiste più. Più avanti ancora sono arrivati i calciatori, le veline, i vip, il torneo di tennis fra vip e vecchi campioni della racchetta, e il divertimento patinato ha preso il sopravvento sulla bellezza armoniosa dei primi decenni.  


Tornando all'oggi non mancano le occasioni per chi voglia festeggiare il compleanno della Milano romagnola. Ai Magazzini del Sale, oltre alle opere di Giuseppe Palanti già in esposizione, sabato è stata inaugurata anche la mostra fotografica "I turisti si raccontano", per coinvolgere i villeggianti nel recupero di vecchie immagini delle vacanze. Evento clou il 14 agosto, giorno in cui la Società Anonima Milano Marittima firmò l’accordo con il Comune di Cervia per sviluppare il progetto turistico della città-giardino, celebrato un secolo dopo con il concerto di Noa e la Filarmonica Arturo Toscanini (piazzale Ravenna ore 21.30).

venerdì 6 luglio 2012

Giuseppe Bellosi interpreta Olindo Guerrini



Giuseppe Bellosi è una figura molto nota in Romagna: poeta, studioso, critico letterario, bibliotecario presso la biblioteca di Fusignano, da qualche anno interpreta da par suo i "Sonetti Romagnoli" del grande Olindo Guerrini. Su Olindo Guerrini (in arte "Stecchetti"), ci sarebbe molto da dire, per cui lascio i lettori a sbizzarirsi cercando su Google, dove troverete di tutto e di più. Vi lascio ora il piacere di ascoltare questa superba lettura, mezza in romagnolo e mezza in italiano (per fortuna!), intercalata dalle musiche interetniche del Quartetto Klezmer. Questa registrazione risale a circa cinque anni fa, e venne fatta in un locale di una frazione di Ravenna.



sabato 19 maggio 2012

Poeti Romagnoli alla riscossa



Ancora un post dedicato ai poeti romagnoli. Questo è un filmato realizzato poche sere fa al Circolo Culturale Ca' Vecia di Voltana, località ai confini con la provincia di Ferrara, che vede all'opera due personaggi eccezionali. Il Prof. Giuseppe Bellosi, poeta, ma sopratutto interprete straordinario di Raffaello Baldini in coppia col poeta faentino Giovanni Nadiani, destinato a raccogliere l'eredità proprio di Baldini. Nadiani da molti anni è impegnato in una faticosa ma efficace introduzione nella poesia vernacolare di elementi nuovi, riconducibili alle mutazioni sociali dovute in gran parte all'immigrazione, anche in Romagna, di popolazioni da ogni continente. Insomma, la vecchia e la nuova Romagna eccole a confronto. Si ride in modo tradizionale ma sopratutto in modo intelligente, il tutto in vernacolo romagnolo ma con ampie puntate in italiano e in inglese.


sabato 12 maggio 2012

Poeti di Romagna


Un video rarissimo, datato 2000, in cui potrete rivedere alcuni poeti oggi scomparsi: Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Tolmino Baldassarri. Giuseppe Maestri, invece, non era un poeta ma era gallerista, incisore e sopratutto conterraneo del grande Olindo Guerrini (Stecchetti), del quale era un bravissimo interprete. Un documento prezioso e insieme storico. Le poesie sono tutte in dialetto romagnolo, che, tra l'altro, non è nemmeno uguale: le differenze tra località sono a volte piuttosto marcate. Fateci l'orecchio. Il signore che vedete in prima battuta, per esempio, è Raffaello Baldini, scomparso nel 2004, poeta in dialetto di Santarcangelo (conterraneo, quindi, di Tonino Guerra), ma nonostante questo ritenuto uno dei più grandi poeti italiani del secolo scorso.


sabato 28 aprile 2012

Romagna solatia, Romagna felix



Una piccola ma esilarante selezione di cortometraggi di autori romagnoli, prodotti fra il 2000 e il 2005. In questi spezzoni troverete l'anima autentica della Romagna, ma anche la modernità espressa nelle sue forme più varie. Il tutto non poteva che iniziare con la poesia "Romagna solatia, dolce Paese" di Giovanni Pascoli, di cui quest'anno si ricorda il centenario della scomparsa. La lettura è affidata a Francesca Quercioli, attrice della Compagnia Fuori Scena di Cesena, che nel 2007 produsse appunto un bel CD coi migliori testi di Pascoli e Carducci. Buon divertimento.





lunedì 23 aprile 2012

Il cestino delle mele



Una testimonianza dalla vicina Bologna in vista del 25 aprile. Alcuni vecchi partigiani raccontano la Resistenza in città, e in particolare alla "Bolognina", quartiere popolare immediatamente a nord della stazione ferroviaria.


sabato 21 aprile 2012

Hordur Torfason a Ravenna



Attore e cantautore 66enne islandese, Hordur Torfason è da sempre attivo nei movimenti per i diritti civili. Gay dichiarato fino dagli anni 60, quando in Islanda dichiararsi gay era pericolosissimo, subì un pesante ostracismo (e persino un attentato) che gli precluse ogni possibilità di lavoro nel mondo dello spettacolo in Islanda, mentre era al massimo della popolarità. Emigrò a Copenaghen, dove rimase una decina d'anni. Rientrato in Patria, risalì faticosamente la china e fondò la prima associazione nel suo Paese per il riconoscimento dei diritti civili agli omosessuali, che avverrà a metà anni 90. Il Paese ha subìto un pesante tracollo finanziario nel 2008, e Hordur ha ripreso a lottare per far sì che la popolazione non subisse le conseguenze degli errori dei banchieri e la corruzione dei politici. Dopo settimane di proteste non violente, il governo (di centrodestra) è caduto ed è stato indetto un referendum popolare, in cui si chiedeva agli islandesi se erano disposti a sopportare 1200 euro di tasse a testa per 15 anni di fila, per ripagare le banche inglesi e olandesi, detentrici del debito. Ebbene, il 93 per 100 della popolazione (320000 abitanti) ha detto no. In seguito sono state selezionate 25 persone fuori assolutamente da ogni Partito allo scopo di riscrivere la Costituzione, dato che quella in vigore era quella danese (l'Islanda ne è stata una colonia fino al 1944) e risaliva al 1873. Ora queste persone stanno mettendo giù piano piano i vari articoli costituzionali, e tutta la popolazione via internet è chiamata a collaborare e a modificarne gli eventuali errori di forma o di contenuto. Un esempio di democrazia diretta che sta facendo scuola. Torfason ha fatto tappa a Ravenna, in una serata organizzata dal Movimento 5 Stelle, e questa è una piccola parte (purtroppo) del suo intervento, durato circa un'ora e mezzo.




domenica 15 aprile 2012

La battaglia di Ravenna - Pasqua 1512, 11 aprile



Sorse l'alba dell'11 aprile 1512. Il sole era rosso fuoco, ma molto più rosso sarà il campo di battaglia verso sera. Lo scontro iniziò verso le otto e terminò dopo le 16. Le armi usate erano: picche, lance, frecce, mazze, spade, e armi da fuoco quali serpentine, falconetti, falconi, colubrine, archibugi, scoppietti e infine artiglierie leggere e pesanti. Davanti alla trincea gli spagnoli avevano piazzato le cinquanta carrette armate che verranno messe fuori combattimento ben presto dall'artiglieria ferrarese. Il copione delle battaglie dell'epoca prevedeva una lunga fase di schieramento, che ricorda un pò gli apprestamenti del gioco del "Risiko", e poi si cominciava con tiri di artiglieria per saggiare la consistenza della controparte. Andò così anche a Ravenna. Terminato il lungo posizionamento, i contendenti si trovarono faccia a faccia ad una distanza di circa 3-400 metri, con il fosso e l'argine di terra in mezzo. Non essendo ancora state inventate le divise, unico segno di riconoscimento era una croce bianca per i francesi e una rossa per quelli della Lega. L'artiglieria spagnola, numericamente inferiore, cominciò a tirare ad alzo zero, creando i primi vuoti tra i francesi. Aveva però il difetto di essere fissa sul posto, lenta come cadenza di tiri, e con i colpi che cadevano quindi nello stesso punto. Nel contempo l'artiglieria franco-ferrarese doveva necessariamente alzare il tiro per superare l'argine, e sorvolava quindi i fanti che erano rannicchiati, andando a colpire dietro, e cioè la cavalleria leggera. Passarono così le prime due ore. Per capirci di più, una colubrina da 15 libbre, con tiro a parabola arrivava a un chilometro circa, un falconetto da 1 libbra a circa 300 metri, un archibugio era letale fino a 100 metri, mentre gli arcieri arrivavano a 100 metri con un tiro teso e a 250 con un tiro a parabola. Le balestre, più potenti, arrivavano a 400 metri, ma avevano una potenza di fuoco chiaramente inferiore. C'è poi da dire che il tiro del cannone a palla piena (usato per lo più per demolire le mura) creava sì dei danni alla fanteria, ma mai come il tiro a mitraglia, che spargeva pezzi ad ampio raggio, anche se con una gittata di quasi della metà. Dopo due ore, si diceva, per poter controbattere meglio il fuoco spagnolo, Ivo D'Allegri suggerì a Gaston De Foix di spostare un cannone e una colubrina verso il varco della trincea, nelle vicinanze dell'argine del Ronco, dirigendo i tiri sull'avanguardia della cavalleria di Fabrizio Colonna. In questo modo trecento cavalieri furono uccisi, addirittura trentatrè in un colpo solo. La situazione si aggravò con la decisione del Duca Alfonso che fece ritirare dalla prima linea alcune bocche da fuoco facendole portare sul fianco destro della Lega e cominciando a colpire i carriaggi a protezione della truppa e poi la truppa stessa. Gli spagnoli si trovarono quindi a essere colpiti da due lati, ma il comandante Cardona non fece uscire le truppe, fiducioso nel suo "piano", come invece consigliava Colonna, fino a che, senza informare quest'ultimo, diede alla retroguardia il segnale d'attacco. Questa era composta dagli squadroni, già duramente provati, del Carvajal, dell'Avalos e del Marchese della Palude, ma l'impeto della cavalleria francese fu tale che vennero sbaragliati in breve tempo. A questo punto Fabrizio Colonna ordinò il via libera alla cavalleria pesante, passando per il famoso varco, di attaccare la cavalleria ferrarese, ma anche questo tentativo fallì. Colonna stesso fu fatto prigioniero da Alfonso d'Este. Gli assalti sul fianco destro della fanteria e della cavalleria francese, seguiti dall'apparizione alle spalle dalla cavalleria leggera di De Foix, provocarono lo scompiglio fra gli spagnoli. Al comandante, il vicerè Ramon de Cardona, fu abbattuto il cavallo, e lui, preso dalla paura, scappò codardamente a piedi verso sud, fermandosi addirittura solo a Rimini. A questo punto Pedro Navarro fu obbligato a dar via libera alla fanteria, ormai l'ultima carta da giocare. Un grido terrificante si alzò dalle schiere italo-spagnole, che saltarono il fosso e si avventarono contro i mercenari lanzichenecchi con una ferocia belluina. L'impatto fu talmente violento che le picche si incastrarono fra di loro, e allora gli astuti spagnoli scivolarono sotto ai tedeschi pugnalandogli il basso ventre e squarciandogli lo stomaco. Morirono così il comandante tedesco Kaspar Empser e suo fratello Jacob. La spinta spagnola arrivò fino all'argine del Ronco dove venne a contatto coi Guasconi, che ressero l'urto fino a chè venne a dar loro man forte Ivo D'Allegri con il suo corpo a cavallo, che riequilibrò lo scontro. Senonchè l'entrata in campo dei rinforzi capitanati da Juan Samenego mise in fuga i Guasconi. Gli italiani, però, stanchi e decimati, ripiegarono, venendo di nuovo a contatto coi tedeschi. Il germe della paura cominciò a serpeggiare nelle file della Lega, il cui schieramento cominciò a ondeggiare, mentre la cavalleria leggera francese cominciò una morsa a tenaglia sul campo, aiutata da quella pesante e dalla fanterìa. Molti comandanti coi loro drappelli pensarono così di darsi alla fuga, nel frattempo l'urto finale della cavalleria francese ebbe finalmente ragione delle ormai sfinite schiere avversarie. Circa tremila spagnoli, stanchi, privi di cavalleria, provati e premuti da tre lati, serrarono i ranghi e ripiegarono ordinatamente lungo la golena del Ronco, ultima via libera per loro, in direzione di Forlì. Non potendo permettere che la truppa spagnola potesse ritirarsi indisturbata, Gaston De Foix, benchè sconsigliato dai suoi, gli corse dietro insieme ad alcuni altri, ma alla fine fu accerchiato, sbalzato da cavallo e finito a colpi di lance, pietre e bastoni, come un cane, finendo poi, già morto, buttato nel fiume. Recuperato in seguito il suo cadavere, gli venne asportato il cuore, che fu messo in una cassettina e rimandato in Francia, mentre il giovedì 15 furono tenute esequie solenni presso San Petronio in Bologna. Le notizie, di qui in poi, sono frammentarie. L'armata italo-spagnola si disperse in un arco che va da Forlì a Cervia, a Cesena, e fino a Rimini. Alcuni arrivarono addirittura ad Ancona, camminando giorno e notte, coi cavalli che morivano di fame, e col pericolo delle bande di briganti che li assalivano in cerca di bottino. Le "vivandiere", circa 1500, scapparono in massa a Bologna, facendo perdere poi ogni traccia. In quanto a Ramon de Cardona, la sua fuga proseguì fino a Pesaro, dove si mise sotto la protezione di Giovanni Sforza. Quante furono le vittime? Guicciardini parla di 10000 morti, altri storici vanno da una valutazione di 5-8000 fino a 20000. Quello che è certo è che fu un numero spaventoso per l'epoca, in pratica un risultato da bomba atomica moderno, ove si consideri che Ravenna all'epoca ne contava 28000, e che a causa della battaglia ne vedrà morire di suo oltre (e altri)  3000. Ma andiamo per gradi. La sera stessa le artiglierie franco-ferraresi ripresero a battere le mura nei punti già colpiti due giorni prima. Il bombardamento durò una notte. Verso le due quattro inviati dal Senato ravennate andarono al quartier generale francese a trattare la resa della città. Le trattative furono condotte, però, all'insaputa di Marcantonio Colonna (che era parente del Papa, avendo sposato Lucrezia Della Rovere), e prevedevano la resa e la salvaguardia della città in cambio della fornitura di vettovaglie agli affamati vincitori, la conferma dei privilegi accordati alla città da Giulio II, e la conditio sine qua non che in città entrassero solo ferraresi e mantovani. Fu un'ingenuità che costò molto cara. Colonna, fiutando la tempesta, si ritirò nella cittadella fortificata, la Rocca Brancaleone, costruita dai veneziani 60 anni prima e, purtroppo per lui, danneggiata nell'assedio del 1509 che riportò Ravenna in mano Papalina. Durante la notte  ci furono le prime avvisaglie: bande di guasconi e lanzichenecchi attaccarono la Basilica e il convento di Classe, uccidendo il Priore e alcuni monaci, e derubando la Chiesa e il convento. La mattina dopo, invece, entrarono nella città attraverso la breccia. Alcuni parroci, ignari dell'accordo, fecero suonare le campane a distesa, chiamando alle armi i ravennati che dapprima riuscirono a respingere gli invasori. Infine, però, duemila tra francesi e ferraresi, spinti dalla fame, ebbero la meglio ed entrarono nel centro città, iniziando un atroce e cruento saccheggio che si protrasse per ore. Gli invasori violarono le case, le chiese, i conventi, uccisero senza pietà donne, vecchi, bambini, preti, frati, suore. Diedero alle fiamme molte case e anche alcune Chiese, prendendo in ostaggio anche parecchie persone allo scopo di avere un riscatto in moneta,  e usando spesso la tortura per farsi rivelare dove avevano nascosto il denaro. Solo dopo alcune ore i comandanti tentarono di porre un freno. La Palisse diede ordine di passare a fil di spada i saccheggiatori dei monasteri. Purtroppo ai ladri forestieri si aggiunsero anche i ladri locali, che chiaramente approfittarono della situazione. Nel frattempo le artiglierie avevano ripreso a sparare contro la cittadella. Marcantonio Colonna si arrese il 15 aprile, anche lui affamato e stanco. Lo stesso giorno l'esercito dei collegati alla Francia, lasciarono la città, ripiegando verso la base di partenza. Con i restauri del 1822 alla casa di Guidarello Guidarelli, poi demolita nel 1934, fu cancellata l'ultima testimonianza tangibile del sacco. Sulla sua facciata, infatti, erano ancora visibili i segni delle archibugiate dei francesi. Nella circostanza si comportò molto bene il Duca D'Este, che raccolse presso il suo padiglione molte donne e bambini, e pure una pisside contenente ostie consacrate, che il parroco di S. Giovanni Battista riuscì a farsi ridare da un giovane lanzichenecco, che non osò, per sua fortuna, reagire. Al sacco seguì poi una terribile pestilenza, derivata anche dalle migliaia di cadaveri fuori dalla città che nessuno era riuscito a seppellire in tempo. Il poeta Ludovico Ariosto, testimone oculare al seguito del Duca Alfonso, dice che il campo era talmente pieno di caduti (senza contare anche i poveri cavalli), che per vari chilometri non c'era modo di camminare in uno spazio anche piccolissimo. La città non si risolleverà. Il Duca Alfonso si pentì di aver fatto guerra a Giulio II e uscì dall'Alleanza. Contro i Francesi vennero mossi dal Pontefice anche Svizzeri e Veneziani. Ricacciati dal Veneto, risalirono verso Pavia e da lì se ne ritornarono in gran fretta in Patria. Vinta una battaglia, persa una guerra, è il caso di dire. In quanto al Papa, l'anno dopo fu colpito da dissenteria e morì, a settant'anni d'età. Nei dieci passati da Pontefice aveva passato forse più tempo a muovere guerre che a recitare Messe, causando la morte di decine e decine di migliaia di persone. Il Papa che lo seguì accordò alla città l'esenzione fiscale per 15 anni, da tanto ch'era rovinata, e si parla complessivamente di 15000 scudi d'oro, una cifra enorme per l'epoca. Anche i contadini, che nel Medioevo in pratica mantenevano i mercenari, ebbero un'esenzione, ma solo per tre anni. E nel raggio di venticinque, tutti i protagonisti e i comprimari dell'evento morirono, e quasi tutti di morte violenta. Nel 1557 Pietro Donato Cesi, Legato Pontificio per l'Emilia, fece erigere sull'argine del Ronco, nel punto esatto dove Gaston De Foix fu colpito, una colonna di marmo d'Istria a ricordo del terribile evento, monumento tutt'ora esistente e recentemente restaurato in occasione del 500esimo della battaglia. Ancora oggi la zona adiacente la colonna, verso Sud, è aperta campagna, e ancora oggi il metal detector segnala resti metallici ad una certa profondità. Questo è, appunto, il territorio chiamato la "Tomba dei Galli" e, sebbene sembri a tutta prima una qualsiasi zona di campagna, possiede in effetti un fascino sinistro. La battaglia di Ravenna divenne un "must" del Medioevo, grazie anche alla presenza del Bojardo, il cosiddetto "Cavaliere senza macchia e senza paura". Lo studioso Giancarlo Schizzerotto ritrovò negli anni 70 del secolo scorso ben otto poemetti in volgare in Italia e uno in Francia. Particolare fortuna ebbe il poema in versi epici di tale Giannotto, milite romano sotto le insegne di Troylo Savelli, romano pure lui. L'invenzione della stampa a caratteri mobili, risalente a pochi decenni prima, ne amplificò la portata, anzi, questo evento fece sì che si ideassero i primi tascabili a poco prezzo per tutti. In pratica attori e oratori catalizzavano l'attenzione del popolo nelle piazze leggendo da foglietti volanti le gesta della battaglia, dopodichè i foglietti venivano ceduti a prezzi popolari. Insomma, concludendo, la battaglia di Ravenna segna la fine di un mondo e l'inizio di un altro, nel bene e nel male, ma su di una cosa si è certi di non sbagliare: la guerra è sempre una cosa odiosa e incivile, e a farne le spese sono sempre i comuni cittadini.

Nella foto sopra la Colonna dei Francesi, mentre nell'altra una delle zone interessate dalla battaglia.

lunedì 9 aprile 2012

Pasqua 1512, la battaglia di Ravenna, contesto storico e antefatti



Una delle battaglie più sanguinose di tutti i tempi. Anche questo fu un effetto della "globalizzazione", sia pure in modo indiretto, in quanto la conquista dell'America stava ridisegnando nuovi equilibri e nuove potenze all'interno dell'Europa. Anche allora la potenza del soldo, e dei commerci, era esiziale nel contesto umano e sociale. Nel 1503 muore Alessandro VI, il Papa della famiglia Borgia, e dopo un solo mese muore anche il successore Pio III. Viene quindi elevato al Soglio Pontificio Giulio II, della potentissima famiglia romana Della Rovere (sarà quello che inizierà l'edificazione della odierna basilica di San Pietro), che riprende subito i programmi bellici del Borgia. Nel 1506 iniziò il recupero dei territori romagnoli caduti in mano veneziana, di Bologna, ritornata ai Bentivoglio, di Pesaro, ritornata agli Sforza, e di Perugia, di nuovo in mano ai Baglioni. Grazie all'alleanza col Re "cattolicissimo" di Francia Luigi XII, prese senza combattere Perugia, e poi cinse d'assedio Bologna, che cadrà l'11 novembre 1506. Nel 1508 Giulio II strinse ulteriori alleanze per ridurre ulteriormente la potenza di Venezia. Il tutto si concretizzò il 10 dicembre 1508 a Cambrai, in Francia, dove oltre al padrone di casa aderirono l'Imperatore Massimiliano d'Asburgo, il Re di Napoli Ferdinando II e il Duca di Ferrara Alfonso d'Este. Il 14 maggio del 1509 le truppe alleate travolsero i Veneziani ad Agnadello, tra Brescia e Verona, e la Serenissima dovette abbandonare Lombardia, Romagna e i suoi possedimenti in Puglia. Il 22 dicembre di quell'anno, inoltre, una flotta di barconi veneziani che cercava di risalire il Po, venne intercettata a Polesella di Rovigo dalle batterie ferraresi e colata a picco quasi per intero. Venezia, allora, cercò una via d'uscita attraverso la diplomazia. Cedendo i territori romagnoli e pugliesi, disgregò l'alleanza, e indusse Giulio II a revocare la scomunica data a Venezia, in quanto resosi conto della sempre più ingombrante presenza dei Francesi. Nel frattempo si aprì un contenzioso fra la "Santa" Sede e il Duca di Ferrara, partendo dal fatto che il Duca voleva riaprire le saline di Comacchio che poi avrebbero fatto concorrenza a quelle di Cervia. In realtà la posta in gioco era ben più alta: lo stato di Ferrara si delimitava a forma di mezzaluna fra Emilia e Toscana, partendo dall'Adriatico e terminando sulle coste della Versilia, passando attraverso le ricche città di Modena e Reggio Emilia, intercettando così (e tassando) i commerci fra Nord e Centro Italia. Nell'agosto 1510 il Duca di Ferrara viene scomunicato e dichiarato decaduto da tutti i suoi feudi avuti in vicariato dalla Chiesa. Ciò provoca l'immediata reazione della Francia, che si schiera con Ferrara. Le truppe del Papa entrano nella Romandiola (la Romagna Estense) ed espugnano il castello di Lugo all'alba del 20 agosto 1510, quindi avanzano verso l'attuale confine fra le province di Ravenna e Ferrara, raggiungendo la Bastìa del Zaniolo, presso Lavezzola, punto strategico sul Po di Primaro (l'attuale Reno), che verrà conquistata al terzo assalto. Ma il Duca Alfonso riprenderà tutto entro il maggio successivo.

La partita viene giocata anche sul piano politico. Nel tentativo di screditare Luigi XII, Giulio II radunerà a Tours un sinodo di vescovi francesi che decideranno l'apertura di un Concilio scismatico a Pisa, in settembre, poi spostato a Milano, e infine a Lione, dove verrà sciolto nel giugno 1512. Lo sviluppo della guerra, che non favoriva le forze pontificie, indusse il Papa a costituire una nuova alleanza, la cosidetta Lega "Santa", l'8 ottobre 1511 a Roma, e comprendente la Repubblica di Venezia, la Spagna, la Svizzera e l'Inghilterra. Dall'altra parte la Francia, i Ducati di Ferrara e di Mantova, la Repubblica di Firenze e Bologna. Il Re Luigi XII invia una forte armata guidata dal nipote, il ventitreenne Duca di Nemours, Gaston de Foix, soprannominato il "fulmine d'Italia", che troverà la morte a Ravenna insieme al fior fiore dell'aristocrazia europea. Il 23 maggio 1511 Gian Giacomo Trivulzio, comandante delle truppe francesi, entrò in Bologna, grazie all'azione sostenuta da elementi filobentivoglieschi. Il legato pontificio Francesco Alidosi fuggì a Ravenna, dove venne accusato di viltà e tradimento. Il Cardinale non seppe far altro che incolpare Francesco Della Rovere, ventenne Duca d'Urbino e nipote del Papa, il quale, venutolo a sapere, lo pugnalò in strada, uccidendolo. Il nipote del Papa, del resto, non entrò in lizza adducendo la precarietà del suo Dominio e l'impreparazione delle sue truppe. Certo è che tra i suoi militi e quelli della Lega "Santa" non correva buon sangue, tanto che a Cesena ne ammazzarono una ventina nel gennaio successivo. L'esercito del Papa è quindi costretto a lasciare i dintorni di Bologna. Nel gennaio 1512 l'esercito spagnolo entra nella Romandiola e punta verso Bologna, che però resiste. In soccorso, arriva da Milano il grosso dell'esercito francese, comandato da Gaston de Foix, che prima espugna Mirandola e poi sblocca la situazione a Bologna. Nel frattempo Brescia si ribella e chiede l'aiuto veneziano, ma Gaston De Foix in pochi giorni con 12000 uomini si porta a Brescia a riprendere la città ribelle. De Foix riunisce quindi l'esercito nelle campagne fra Reggio, Modena e Bologna. Gli estensi, dal canto loro, muovono verso Conselice, Massalombarda, Lugo e Bagnacavallo, stringendo in una morsa gli spagnoli, che sono costretti a ripiegare lungo la Via Emilia verso Imola, Castelbolognese e Faenza. Il comandante spagnolo, il vicerè di Napoli Ramon de Cardona, intuito il piano avversario e messo a conoscenza della possibile resa di Ravenna ai francesi, invia il condottiero Marcantonio Colonna verso la città con una forte truppa al seguito. A Ravenna già stavano 1000 fanti spagnoli e 100 cavalli, pertanto Colonna lascia 400 fanti a presidio del castello di Russi, importante nodo stradale fra Ravenna, Faenza e Bagnacavallo. Nel frattempo, mentre il Cardona attende un rinforzo di mercenari svizzeri, giunge notizia della defezione dell'Imperatore d'Austria dall'alleanza con la Francia. Per tale motivo De Foix riceve l'ordine di dare subito battaglia e ritornare poi a Milano per far fronte ad eventuali minacce dalla Svizzera. Si porta quindi verso Ravenna, ultima speranza per trovare sostentamento a un'armata di circa 25000 uomini, e per dare finalmente battaglia. L'esercito francese si riunisce tutto a Bagnacavallo e porta la sua prima onda d'urto contro il castello di Russi, che cade dopo due giorni di inutile resistenza: i Francesi non faranno prigionieri. L'esercito della Lega "Santa", nel frattempo è acquartierato presso Forlì. Il 7 aprile l'esercito francese si disloca nella piana fra Godo e San Marco, sulla riva sinistra del fiume Montone. Il giorno dopo i francesi si avvicinano alla città, dopo aver passato il fiume, nella zona di Porta Adriana. A Porta Adriana avviene un episodio che condizionerà gli eventi del dopo battaglia. Facendo credere che i ravennati volessero arrendersi, il Colonna fa aprire la porta, da cui entrano trecento fanti francesi. Richiusa la porta alle loro spalle, gli spagnoli li assalgono e li massacrano ferocemente, anche per vendicare i loro 400 caduti di Russi. Il 9 aprile le artiglierie ferraresi cominciano a colpire le mura della città fra Porta Gaza e Porta San Mamante, nella zona sud. Il punto viene scelto per via della mancanza di acque in mezzo e per la bassa altezza delle antiche mura romane, già degradate all'epoca. Dopo aver fatto crollare circa venti metri di mura, avviene l'assalto all'arma bianca. I francesi però non fanno i conti con l'abilità bellica del Colonna, che fa installare una colubrina sopra porta Gaza che prende d'infilata gli attaccanti. Dopo tre tentativi i francesi ripegano, lasciando sul campo circa duecento morti. Riguardo ai pezzi in campo, lo storico Guicciardini ci riporta la presenza di 30 bocche da fuoco del Duca d'Este. Gaston De Foix, per evitare ulteriori perdite rimanda l'assalto finale all'11 aprile. Nel frattempo l'armata spagnola si mette in marcia da Forlì, dopo aver udito da lontano il rombo delle artiglierie nemiche all'opera e punta verso Ravenna, ponendo base, nel pomeriggio del 10, presso San Bartolo, a 8 km a sud di Ravenna e nella zona destra del fiume Ronco, che qualche chilometro più a nord si congiunge col Montone. Senza più vie d'uscita, il De Foix manda un'ambasciata al Cardona dicendogli che intende dare battaglia in campo aperto il giorno dopo, giorno di Pasqua, a patto di poter varcare il Ronco senza disturbi. Cardona accetta. Una piccola nota: un esercito di tali proporzioni richiede forti rifornimenti alimentari giornalieri, e all'epoca veniva supportato da centinaia di civili addetti alla bisogna, tra i quali centinaia di donne, impiegate come cuoche, vivandiere e, chiaramente, molto  "altro" ancora. Poi c'erano maniscalchi, genieri, furieri, armieri, medici, addetti al montaggio e smontaggio delle tende, eccetera. Quindi, trovandosi in terre straniere e ostili, il saccheggio e la confisca era prassi comune, a cui seguiva spesso ogni tipo di morbo, in quanto le norme igieniche erano le ultime cose di cui a quei tempi (ma anche oggi!) ci si potesse preoccupare. La situazione logistica è, in questo caso, a netto favore della Lega "Santa", ma il Cardona non ne approfitta. E, anzi, quando si avvede dell'enorme sproporzione di forze che varcano il Ronco, soprattutto a livello di artiglierie, si pente della concessione fatta, e del non aver dato ascolto a Fabrizio Colonna (nipote di Marcantonio), che gli implora di attaccare i nemici proprio in quel momento, in cui sono più vulnerabili. Alfonso d'Este transita per ultimo, con le sue artiglierie, che decideranno le sorti della battaglia. In retroguardia vengono lasciati 400 fanti sotto le mura comandati da Ivo D'Allegri e presso il Montone altri 1000 comandanti da Paris Scotto. Avviene così il dispiegamento, con gli Spagnoli che, durante la notte, operano uno scavo profondo oltre un metro per poi ripararsi dietro la terra di scavo, con un varco da cui poter far uscire la cavalleria. Dietro l'argine le truppe della Lega sistemano le artiglierie grosse, mentre le piccole bocche da fuoco sono alloggiate in cinquanta carrette falcate davanti al "trincerone". Questo gruppo di carrette fa parte di uno stratagemma ideato da Piietro Navarro, al cui uso addestra 5000 fanti. Già nella battaglia di Cerignola gli spagnola avevano sperimentato con successo una simile tattica. Chiaramente cinquecento anni di tempo hanno cancellato ogni tipo di traccia residuale di tale fortificazione, che doveva essere lunga all'incirca un chilometro, anche se la zona ancora oggi è chiamata sinistramente "Tomba dei Galli". In questo ristretto spazio di circa un chilometro e mezzo quadro, l'11 aprile 1512 si decide la sorte di oltre trentamila vite umane. Sono presenti vari personaggi destinati alla Storia, tra i quali il comandante La Palisse, famoso forse più per i suoi motteggi che per le virtù militari, o il capitano di ventura Ettore Fieramosca, che vinse nel 1503 la famosa disfida di Barletta contro i Francesi insieme ad altri dodici cavalieri italiani, due dei quali sono con lui a Ravenna. Un segno infausto apre la giornata: "Le soleil se levait très rouge" (J. MICHELET, Histoire de France, pag. 267). I potenti dell'epoca governavano per grazia di Dio, e con il consulto degli astrologi. Tutta la vita di corte era condizionata dai sogni, dalle premonizioni e dai segni, non esistendo allora, e fino al 700, distinzione alcuna fra astronomia e astrologia. Il tempo dello scontro finale si stava quindi definitivamente compiendo.

mercoledì 21 marzo 2012

Oggi se n'è andato l'Omero della Romagna, uno degli ultimi grandi cantori, Tonino Guerra


a Tonino Guerra...


Nel tuo respiro in nuvole psichedeliche 

si palesavano alberi,

ed erano concreti, 

con fiorellini teneri di bianco panna,

forse un po’ azzurri, però di un azzurro 

appena accennato,

oppure di un rosa evanescente 

come pastelli di bambini.

Come si può esprimere la tenerezza di un fiore, credo

portandolo con delicatezza alle labbra, 

o donandolo a un amore.

E poi la primavera partoriva l’estate, 

e dai fiori ai frutti,

e la terra profumava in maniera indecente, 

di lunghi amplessi.

Tonino, camminavi nei campi parlando 

di frutti dimenticati,

come i poeti abbandonati, che nessuno legge, 

o porta a casa.

E da quel tuo sapere visionario, 

dalle fontane disegnate,

dalle lucertole, dai fossi delle strade, 

un po’ ammaccate, assetate

quando il bagliore dell’estate 

accompagna la mente al mare,

veniva a noi un sapere antico, 

la forza semplice del mondo.

***




dal sito de "La Repubblica" Bologna http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/03/21/news/e_morto_tonino_guerra_la_romagna_perde_il_suo_poeta-31905757/


E' morto Tonino Guerra


la Romagna perde il suo poeta

Lo sceneggiatore è spirato questa mattina. Pochi giorni fa, già costretto a letto, aveva festeggiato il suo novantaduesimo compleanno. Sabato i funerali in piazza a Santarcangelo

di ANNA TONELLI


Addio a Tonino Guerra il poeta della Romagna e di Fellini

E' riuscito a festeggiare i suoi 92 anni ascoltando dalla sua camera da letto i bambini che cantavano "Romagna mia" in piazza. Anche Ermanno Olmi gli ha fatto la sorpresa per il compleanno. Una festa che già prevedeva sarebbe stata l'ultima. A quattro giorni da quel traguardo, Tonino Guerra ha lasciato la terra che tanto amava, raccontata nei film, nelle poesie, nei manifesti, nelle fontane e nelle piccole grandi invenzioni disseminate in piazze e borghi.
Lucidissimo fino alla fine, il poeta ha voluto morire a Santarcangelo, dove era nato il 16 marzo 1920, con il terrazzino che si affaccia sul centro del paese. Lì, sabato scorso, la moglie Lora e il figlio compositore Andrea si sono affacciati per salutare gli amici accorsi per salutare il poeta costretto a letto.
Guerra ha sempre rivendicato le sue origini, anche quando è diventato famoso. Mentre scriveva sceneggiature per i grandi del cinema come Fellini, Antonioni, Rosi, Monicelli, Anghelopulos, i Taviani, Guerra progettava manifesti per richiamare i sindaci a preservare le bellezze del territorio, disegnava fontane, dipingeva acquerelli, ideava orti e musei. Il suo orto dei frutti dimenticati a Pennabilli lo sono venuti a vedere da tutto il mondo, compreso il Dalai Lama. Un esempio fra i tanti, perché ovunque si vada, lungo la via Emilia e le Marche, Tonino Guerra ha lasciato una traccia. Targhe poetiche, tappeti di ceramica, stufe, fontane, mobili e madie antiche colorate con i pastelli. Sono questi "gioielli" poetici a legare la Romagna a Tonino Guerra.
E' stato lui a lanciare il dialetto sulla ribalta nazionale, attirandosi gli elogi di Carlo Bo, Elsa Morante e Gianfranco Contini. Le sue raccolte di poesie, a partire da "I scarabocc" e "I bu" hanno ottenuto premi e riconoscimenti dalle giurie più titolate. Poi e' arrivato il cinema a portare Guerra sull'Olimpo dei grandi. Quando negli anni '50 parte da Santarcangelo alla volta di Roma in pochi credono, che possa sfondare. Ma già nel '56, quando firma la sceneggiatura di "Uomini e lupi" con Giuseppe De Santis, si capisce che il talento premia. E da quel momento Guerra lavora con i più autorevoli maestri, a cominciare ovviamente da Fellini.
Hanno caratteri difficili i due romagnoli, ma quando devono discutere di un film non litigano mai. Dal loro estro è nato "Amarcord" al quale Tonino ha regalato la poesia sui mattoni e l'idea del pavone, e poi ancora "Ginger e Fred", "E la nave va", "Prova d'orchestra", "Casanova". Prima e dopo Fellini, ci sono Elio Petri, Vittorio De Sica, Monicelli, Lattuada, Bellocchio, Wenders, Tarkovskij. Con Anghelopulos Guerra era anche grande amico, salutato appena pochi giorni prima della tragica scomparsa in un incidente. A lui Tonino ha dedicato il suo ultimo libro.
A comporre poesie Tonino Guerra si è impegnato fino agli ultimi giorni, contando sull'aiuto dei tanti collaboratori. A Santarcangelo sono nati gli ultimi versi. A Santarcangelo l'ultimo viaggio.
La camera ardente sarà allestita in consiglio comunale. I funerali saranno celebrati nella piazza del paese, quasi certamente sabato mattina. A tenere l'orazione funebre sarà Sergio Zavoli

(21 marzo 2012)

***

QUI IL LINK DI UNO STRAORDINARIO ARTICOLO SU TONINO GUERRA SCRITTO IL 19 MARZO 2012 SUL BLOG DI OSCAR BUONAMANO http://culturemetropolitane.ilcannocchiale.it/post/2731036.html

***

E QUI IL LINK DELL'ARCHIVIO DEL "CORRIERE DELLA SERA", ALTRO ARTICOLO MERAVIGLIOSO SUL POETA
http://archiviostorico.corriere.it/2012/marzo/22/addio_Tonino_Guerra_artista_dalla_co_9_120322030.shtml

***


CIAO TONINO!





TONINO GUERRA l'ho incontrato un sacco di volte presso la Galleria La Bottega di Ravenna, del nostro grande amico comune Giuseppe Maestri da cui apprese l'arte dell'incisione, che praticava con modestia e in silenzio. La Galleria oggi è stata riaperta nel gennaio 2011 ad opera del pittore Carlo Amaldi, proprio con una mostra di suoi lavori. Pochi fortunati possono dire di avere in casa uno dei suoi deliziosi quadretti, che riportano in tutto e per tutto alle atmosfere dei disegni di Fellini. Fellini e Guerra erano un binomio praticamente perfetto, tanto nel cinema quanto nella vita comune, dove erano amicissimi. Nel giugno del 1990 ebbi modo di intervistarlo per la defunta "Gazzetta di Ravenna". Qualche anno dopo mi recai a Pennabilli per vedere il "Giardino dei Frutti Dimenticati": Giunto in paese, non sapevo dove andare e risolsi di chiedere informazioni alla prima persona che avessi incontrato. Bè, il caso volle che la prima persona in assoluto fosse proprio lui. Era nella piazza dove a pochi metri c'era il "suo" giardino, ed era in compagnia di un altro signore anziano. Fu in pratica l'ultima volta che lo vidi di persona. Gli ultimi anni per lui sono stati un calvario: nel 93 la morte di Fellini, poi un tumore al cervello, poi il suicidio della figlia nel 2006, ed infine la scomparsa di Michelangelo Antonioni l'anno dopo, un altro regista, suo conterraneo, con cui aveva lavorato e a cui era molto legato. Con lui se ne va proprio la Romagna, quella più vera, più schietta, più autentica. Dopo Tonino Guerra ci sono ancora poeti e studiosi che in qualche modo rappresentano ancora molto egregiamente lo spirito romagnolo, come il Prof. Giuseppe Bellosi o il poeta Nevio Spadoni, o il poeta Giovanni Fucci, ma sono tutte persone non più giovanissime e senza nemmeno eredi personali. Parafrasando una battuta di una vecchia commedia romagnola "Muort Verdi un gnè piò gnint" (Morto Giuseppe Verdi non c'è più nulla), lo stesso potrà dirsi un domani di Tonino Guerra, se un qualche autore di commedie romagnole vorrà ricordarlo in un contesto degno di lui. Ma, anche qui, a parte Nevio Spadoni da Ravenna (noto anche in America grazie al Teatro delle Albe), c'è il vuoto assoluto. Nella foto sotto, il tappeto mosaicato sospeso, a Cervia, col sale, tipico prodotto locale dal tempo degli Etruschi. Un'altra delle sue eredità che siamo chiamati a conservare.
                                                                                                                                                  ANDREA




                                                                                                                                                             
Cuntent  a  sò  ste  tanti  vuolt
mo  mai  coma  quela
c'aj  ho  vest
una  parpaja  vulè
senza  sintì  la  voja
ad  magnela


Contento  fui  tante  volte
mai  però  come  quella
quando  vidi  volare  una  farfalla
senza  provare  la  voglia
di  mangiarmela


(scritta nel '46 dopo anni da prigioniero in un campo nazista)