venerdì 31 ottobre 2014

La Signora del Mosaico


Ha avuto una vita lunga e ricca di soddisfazioni, INES MORIGI BERTI, meglio conosciuta a Ravenna come "La Signora del Mosaico", e ivi scomparsa pochi giorni fa. Nata in provincia di Udine il 20 aprile 1914, studiò all'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Qui conobbe il dottor Luigi Berti che sposò e da cui ebbe una figlia, Fede, che nacque nel 1942, venti giorni dopo la morte del padre in guerra. Partecipò e promosse il restauro dei mosaici delle basiliche bizantine, offese -per fortuna non in modo irreparabile- dai bombardamenti bellici. Ma la sua produzione comprende anche sculture e bassorilievi che la fanno conoscere un po' ovunque, e la mettono in contatto coi più grandi artisti della scena mondiale. Non a caso la foto sopra è del 1954 ed è stata scattata a Helsinki. Dal 1959 al 1977 fu docente presso l'Istituto d'Arte per il Mosaico Luigi Severini (artista futurista), ponendo le basi per la formazione dei più grandi mosaicisti contemporanei, tra i quali il mio vecchio amico Felice Nittolo, avellinese, ma a Ravenna dalla fine degli anni 60, e ora artista conosciuto e consacrato dal Giappone agli Stati Uniti. Fondamentale fu inoltre il sodalizio artistico col pittore Antonio Rocchi (1916-2005), con cui ha realizzato la maggior parte della sua produzione musiva. Innumerevoli sono i manufatti rivolti all'architettura moderna, concepiti grazie ai bozzetti di Rocchi. Realizzò inoltre anche mosaici da opere di Severini, Campigli, Bracque, Dubuffet, Mirò, Chi Pai Shih, Balthus e Capogrossi. I suoi numerosi allievi, molti dei quali oggi a loro volta insegnanti o presidi, la ricordano con affetto.

"Non urlava mai, ma tutti le portavano rispetto. Non la chiamavamo neppure "Signora Professoressa", ma "Signora Morigi". Nel tempo l'abbiamo poi ribattezzata "Signora del Mosaico". Quando la vedevo lavorare, rimanevo impressionato dalle sue mani sapienti che andavano da sole". Così la descrive Marcello Landi. attuale dirigente del Severini-Nervi.

"La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile per tutto ciò che ha dato alla città e al mosaico. Ines ha lavorato una vita in silenzio, seminando moltissimo. Andavo spesso a trovarla nel suo studio in via Cura. Era infaticabile: le piaceva utilizzare i materiali più disparati ed era sempre molto contenta quando le si portava qualcosa di speciale. Ha realizzato mosaici fino a cinque anni fa. Quando non ce l'ha più fatta, ha cominciato a fare disegni su acetato. Gli ultimi sono di pochi mesi fa. Era una persona di una umiltà incredibile. Chiunque le si avvicinasse si innamorava di lei, del suo laboratorio e di questa materia, il mosaico, che sapeva rendere facile. Soleva dire che lei era nata insieme ai bizantini". Questo invece è il ricordo di Felice Nittolo.
Ravenna vede quindi, in questi ultimi giorni, due cattive notizie: la bocciatura della città come candidata italiana a Capitale della Cultura Europea per il 2019, e la morte della Signora del Mosaico. Se fosse stata più giovane e avesse potuto contribuire a questo evento, chissà come sarebbe potuto finire. L'unica cosa certa, comunque, è che di persone di questa levatura in giro non ce ne sono più.

mercoledì 22 ottobre 2014

Bona not, avuchet!















E’ morto l’avvocato Luigi Titta Benzi. A dare l’annuncio è stato il figlio Federico: "Mio padre è deceduto oggi alle 14, nel letto di ospedale, dove era ricoverato da un mese". Luigi Benzi era nato a Rimini 1'8 marzo 1920. Studente a Rimini presso le scuole elementari, il Ginnasio e il Liceo Classico, per otto anni è compagno di banco di Federico Fellini e "amico suo anche tuttora", si premura spesso di ribadire. Anche se l'approccio tra i due non è di quelli entusiasmanti: all'età di due anni, in spiaggia, il piccolo Federico gli rompe un badile in testa. "Voglio credere che prese male le misure", ha raccontato Luigi a Sergio Zavoli in "Diario di un cronista". E mentre al giovane Federico, per eccesso di magrezza, gli affibbiano il soprannome "Gandhi", al robusto Benzi gli va a pennello il soprannome di "Grosso" o "Titta". Si laurea in Giurisprudenza a Bologna il 2 luglio 1942, è avvocato dal 1946 "per meriti di guerra". Da allora, e sono passati 56 anni, è stato impegnato come penalista in importanti processi in Romagna, nelle Marche e a Bologna, "vincendo o perdendo le cause a seconda dell'illuminazione delle stelle". E' stato Consigliere Comunale per il Partito Repubblicano e Segretario riminese dell'Edera nel 1946. Nel fatidico 1968 è eletto Presidente del Casino Civico di Rimini, carica di cui si fregia con orgoglio anche oggi. Per diversi mandati è stato membro e Vice Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Rimini. In ordine sparso le altre cariche appuntate sul petto nel corso del tempo: Presidente dell'Aeroclub, del Cineforo e del Comitato "Più cuore per Rimini". La sua firma è da annoverare anche tra gli autori letterari. Si deve a lui il gustoso amarcord di un avvocato di provincia intitolato "Patachedi". Il segreto della sua inesauribile energia? "La sveglia puntata alle cinque del mattino", risponde con prontezza. Nelle sue chiose autobiografiche conclude: "Tuttora operante come avvocato per vincere la noia della Vecchiezza. Difetti a parte, volutamente ignorati" .

“Titta Benzi, nel caos spesso banale e volgare che circonda Fellini e il fellinismo - lo ha ricordato il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi - si distingueva per l’eleganza, la gioia, lo spirito, la dignità, la “verità” con cui portava e quindi raccontava l’incredibile avventura di una straordinaria amicizia che ha attraversato quasi tutto il Novecento. Un’anima riminese profondamente autentica, nell’acume e nel dialetto. Nel conferirgli nel 2002 il Sigismondo d’Oro, l’Amministrazione comunale di Rimini indicò, nelle motivazioni, la discrezione nel custodire la memoria di Fellini e, appunto, l’umiltà e l’ironia che gli avevano permesso di attraversare oltre 90 anni di storia personale e riminese senza mai ‘andare fuori tempo’. Titta è Rimini, quella vera, simpaticamente puntuta, che sa coltivare le tradizioni nella maniera migliore: senza nostalgia ma irrorando con esse il presente e il futuro. Titta e Federico, il ‘grosso’ (e gras) e ‘Gandhi’ (così soprannominato per la sua magrezza); l’uno avvocato a Rimini, l’altro mostro sacro della cultura e della cinematografia mondiali. Bambini e giovani assieme nella Rimini anteguerra, poi separati fisicamente ma uniti da un affetto profondissimo nei decenni successivi. Gli aneddoti si sprecano. Tra i più commoventi, confidati da Benzi anni fa a un quotidiano locale, ce ne è uno riferito agli ultimi mesi di vita di Federico Fellini. “Sono stati i cinque giorni più belli della mia vita- raccontava l’amico-. Federico era tornato a Rimini dopo l’intervento subito. Io gli dissi: Ma cosa vieni a fare a Rimini, in agosto... E lui: Ma Grosso, Rimini è la mia città. Sono stati cinque giorni stupendi, a girare per la città, per le colline”. Oppure la ‘intrusione’ della fama internazionale nella loro schietta amicizia, raccontata a un altro quotidiano. “Dopo per Federico venne la gloria nel cinema. ‘Da riderci sopra’, gli brontolavo in faccia. E Fellini, serio come un colonnello: "Titta, smetti di ghignare. Stai parlando con uno dei più grandi registi del mondo".  Poi si sentiva una pernacchia, e tutti e due cominciavamo a ridere.”.

Titta Benzi è stato tra i penalisti più noti di Rimini e ha rivestito numerosi incarichi pubblici e istituzionali. Al compiere i 90 anni diceva: “Io penso che vivrò ancora a lungo. Anche perché la gente mi vuole bene, nessuno può dire male di me. Compresi i miei clienti: ho difeso certe canaglie!”. E’ vero, nessuno poteva dire male di Titta Benzi, e nessuno ne potrà mai dire male. Rimini perde un pezzo del suo cuore ma resta intatto il patrimonio di umanità, ironia e gusto per la vita che ne costituisce la più felice delle eredità. In questo momento di dolore, in cui la città e l’amministrazione comunale, esprimendo il loro cordoglio, si stringono intorno alla famiglia e agli amici, viene da chiedersi come commenterebbe tutto questo Titta dall’alto. Una battuta a rendere meno oppressivo il clima e poi accanto l’amico Federico a ribattergli ‘Osta te!’.”

giovedì 16 ottobre 2014

Emilio Prantoni, I Tumuli di Modigliana. Da "Archeo Media".

Sicuramente i legionari romani durante la conquista e la colonizzazione di Rimini avranno avuto modo di ammirare quel panorama mozzafiato, ad esempio, salendo a Montefiore. Dalla terrazza a ridosso della rocca lo sguardo corre fino ai lidi ravennati, e il panorama dà l’idea della vastità di quella pianura ma soprattutto di una terra favorita dal sommo Giove, che “VENTUS EST ET NUBES; IMBER POSTEA. ATQUE EX IMBRE FRIGUS: VENTUS POST FIT, AER DENUO…” (...,è vento e nuvole, poi pioggia e dalla pioggia il freddo, ancora vento, di nuovo aria…), ricca di vegetazione e di acque, limitata dal mare a NE e dalla sinuosa linea delle colline appenniniche a SO da cui scendono numerosi i fiumi che con ampi meandri, fra terrapieni e zone boscose, la irrigano fino al mare.
Così dopo quella felice conquista, come l’usanza, Roma mette al sicuro quello scrigno baciato dagli dei conquistando e facendo amicizia, non con i  Galli nemici irriducibili, ma con quelle popolazioni umbre che Etruschi e Celti avevano relegato sulle montagne dell’alto corso del Savio.
La testa di queste tribù, che stazionavano nelle valli del Savio e del Marecchia, in un felice arroccamento a dominio della valle del Savio, era la città di Sarsina.
Infatti due anni dopo la conquista di ARIMINUM (268 a.C.) i Romani se ne impossessano ma soprattutto si fanno amici quel popolo, siglando un patto di federazione. La conquista della città cantata da Plinio e da Marziale: ”..rustica lactantes nec misit Sassina metas..” (...la rustica Sarsina non ha mandato i suoi formaggi a forma di cono che grondano latte), ricca di pecore, di pascoli e di latte, con associazioni e consorterie potenti e facoltose, ben evidenziato dai monumentali sepolcreti di Pian di Bezzo, comporta a Roma la celebrazione dei FASTI TRIUMPHALES (266 a.C.), elenco dei successi riportati dai magistrati in carica, nel caso i consoli Decimo Giunio Pera e Numerio Fabio Pittore.
I Celti arrivarono al di qua del Po attorno al V secolo a.C  provenienti dalla Gallia, l’odierna regione francese, dilagando nella Pianura  Padana vi si  insediano stabilmente. Erano le tribù dei Senoni, Lingoni, Boi che occupavano  aprossimativamente: i Senoni a Sud di una linea fra Brisighella e Alfonsine, i Linguoni: a Sud di una linea fra Imola e Comacchio, i Boi: a Nord di quest’ultima linea.
La scoperta di insediamenti etrusco-celtici, vicino a noi il villaggio di Monte Bibele presso Monterenzio, ha dato luogo al rinvenimento di oggetti  di cultura celtica databili al V secolo.
Dopo le ripetute sconfitte, fu rimarchevole quella del 295 a.C nel territorio del Sentino, presso l’odierno Sassoferrato, costata ai Senoni 25000 morti, che decretò il loro progressivo tramonto. La sconfitta decisiva di questo popolo, che aveva una certa egemonia sulle altre tribù galliche, si consumò presso Arezzo nel 284 a.C. A questo punto i Boi, temendo di fare la fine dei Senoni, presero le armi contro Roma ma dopo alterne vicende, con la sconfitta nel 283 presso Bomarzo e a Populonia, in Etruria, furono indotti alla pace con Roma. Dopo questi fatti, esposti molto sommariamente, seguì la conquista di Rimini e poi di  Sarsina, destinate a diventare i cardini difensivi e offensivi di quella terra che sarà l’odierna Romagna.
Forse per questioni di rancore verso i BOI, che impedivano loro di insediarsi in felici posizioni nel fondovalle e quindi per essere confinati sulle alture o per riprendersi quelle terre dalle quali erano già stati cacciati dagli Etruschi, indussero i Sarsinati a inviare Roma lamentele per continue incursioni sui loro territori da parte dei Boi, così da indurre Roma a prendere provvedimenti a favore dei preziosi alleati, senza curarsi troppo della veridicità delle accuse.
Nel 201 a.C., un anno dopo ZAMA, Cartagine doveva accettare le condizioni di resa e terminava la travagliatissima Seconda Guerra Punica, le nuove terre acquisite in Romagna salutavano il console Publio Elio  governatore, inviato da Roma, di quei territori. Ci atteniamo al racconto di Livio (StorieXXXI) da cui si può arguire la data degli avvenimenti in quanto cita indirettamente poco prima la vittoria di Zama (202a.C) e colloca i fatti che raccontiamo ”Eodem fere tempore”. Publio corre in soccorso dei federati di Sarsina inviando due legioni arruolate per l’occasione (eius causa scriptis) e aggiunge quattro coorti del suo esercito permanente, in tutto circa 10.000 uomini, dando incarico a Caio Ampio (praefectum socium) di dare una regolata ai Boi che confinavano con quei territori. Ampio,con quelle truppe un po’ “caciarone” entra nel territorio nemico attraversando l’Umbria e il territorio dei Sapini(Savio).
Dopo aver sistemato tutte le questioni con una certa facilità (prospere ac tuto), partì verso Modigliana (castrum Mutilum), luogo ritenuto acconcio per mietere il grano, quindi siamo nel mese di giugno-luglio. Ampio, forse ritenendosi al sicuro e facendo affidamento ai patti intercorsi con i Boi, non aveva provveduto a stazionare nei luoghi opportuni un congruo numero di sentinelle così i Galli sopraggiunsero all’improvviso ed assalirono con ferocia i soldati disarmati intenti alla mietitura tanto che costoro si diedero alla fuga terrorizzando anche le truppe armate nell’accampamento che furono prese alla sprovvista. Fu una vera carneficina: settemila soldati romani ci lasciarono la vita compreso il prefetto Ampio. I sopravvissuti, senza una guida, raggiunsero per strade impervie il console Publio Elio che si era mosso in loro soccorso. Il console, dopo aver stipulato un accordo con gli Ingauni Liguri e dopo aver impartito una dura lezione ai Boi nel loro territorio, ritornò a Roma, ritenendo non ci fosse altro di importante da fare in quella regione.
La ragione che ha spinto il mio interesse a questi avvenimenti è che un amico carissimo di Palazzuolo, uno di quelli che sa riconoscere un sito di interesse archeologico al fiuto come un cane da trifola, e conosce la storia locale perché la vive quotidianamente, in loco, stabilendo congetture e intuendo situazioni logistiche da sbalordire gli addetti per mestiere, mi portò a Modigliana per mostrarmi qualcosa di interessante. Da un buon punto di osservazione sulla riva del fiume Tramazzo, a monte di Modigliana, mi indicò un ripiano coltivato a erba medica, al centro, in chiara evidenza, un tumulo di qualche decina di metri di diametro. Un altro tumulo, bislungo, si intravedeva a poca distanza verso il fiume. Poi mi disse che il contadino si era ben guardato dallo spianare quel rilievo che poteva dar fastidio alla coltivazione. Infatti, quando egli era giovane aveva estirpato delle piante su quella collinetta e dal terreno rimosso erano affiorate armi antiche che si premurò di portare in Comune. Poi …il silenzio. Nessuno parla di quei tumuli, nessuno conosce quegli avvenimenti…, o fan finta di non conoscerli? Il Susini parla brevemente in “Monumenti romani in val di Marzeno” del 1957, di ritrovamenti, databili 1929/31 “di armi in ferro-punte di lance e giavellotti-, assieme ad ossa umane ed alcune monete romane, delle quali non fu conservata la descrizione, si recuperarono da due grossi tumuli del diametro di m. 50 e dell’altezza di m.8. I tumuli non vennero esplorati per intero, e permase il dubbio si trattasse di grosse sepolture, databili forse nella tarda antichità. La località si chiama tuttora-Campo dei morti”, e si arguisce si tratti della località stessa che abbiamo visitato a Pennetola.
Susini allora non ammetteva che Castrum Mutilum coincidesse con Modigliana. Fra l’altro nei pressi circola la leggenda che in un boschetto nelle immediate vicinanze siano state ritrovate armi e ossa umane e, quando qualcuno vi si reca per ”curiosare”, si alzi un vento così impetuoso da impedirvi di sostare…..
Oggi gli studiosi danno ormai per certa questa identificazione  di Castrum Mutilum con Modigliana e quindi si può legittimamente ipotizzare che quei tumuli sulle rive del Tramazzo siano costituiti dai corpi di quei soldati caduti nell’imboscata.
Questa verifica faciliterebbe anche, come Susini stesso diceva, l’identificazione anche di altri toponimi di quel periodo nelle valli contigue.
Pare che al momento siano in corso richieste agli uffici competenti per eseguire in quei luoghi scavi finalizzati alla conferma di ipotesi pregresse. Speriamo che ancora una volta” la volontà di pochi muova le montagne”!

Autore: Emilio Prantoni - emilio.prantoni1@tin.it

venerdì 10 ottobre 2014

Feste dell'800 a Modigliana, in collina tra Faenza e Forlì


Si sono svolte domenica scorsa le tradizionali celebrazioni modiglianesi, rievocanti le glorie locali, il pittore Silvestro Lega, illustre esponente della corrente dei macchiaioli, morto nel 1895, e il parroco Don Giovanni Verità, morto nel 1885, che nel 1849 aiutò Giuseppe Garibaldi nella fuga verso la Toscana durante la famosa "trafila romagnola", in cui perse la vita la sua compagna brasiliana Anita, nei pressi di Ravenna. Momenti importanti sono stati i "tableaux vivants" in cui alcune persone del posto hanno ricostruito alcuni dei più bei quadri del pittore, e l'apertura della casa di Don Verità, oggi museo garibaldino e della Resistenza. Una sala è inoltre dedicata a Pia Tassinari, altra gloria locale, famosa soprano e chiamata a duettare in alcune opere liriche con mostri sacri come Maria Callas e Toti Dal Monte. Oggi le case natali della Tassinari e di Lega, che sono confinanti, sono adornate da un marmo commemorativo. Questo video è un sunto della giornata.



Festa dedicata a Pellegrino Artusi a Forlimpopoli (Forlì)


Tra le tante feste estive in Romagna, spicca quella dedicata a Pellegrino Artusi, il noto esperto gastronomico che verso la fine dell'800 pubblicò: "La Scienza in cucina e l'arte del mangiare bene", divenuto un punto fermo per i cuochi e gli chef di tutto il mondo. Da molti anni la sua città natale, Forlimpopoli, che dista 6 km da Forlì, gli dedica una festa di tre giorni alla fine di giugno. A Forlimpopoli, fra l'altro, è nata nel 1985 la "Scuola di Musica e Canto Popolare", che tanto ha dato in questi trent'anni per la riscoperta della musica popolare contadina e ballabile proveniente da tutta Europa, e della relativa parte cantata. La Scuola ha sede nel Castello di Forlimpopoli, che fu teatro nel 1851 di una delle più famose imprese del bandito Stefano Pelloni, detto il Passatore, che in quell'occasione sequestrò gli abbienti che stavano seguendo un dramma biblico nella sala che oggi ospita il cinema e il palcoscenico per le recite, e riscosse da essi un grande bottino per la loro liberazione, dopo che la sua banda aveva imprigionato la piccola gendarmeria locale. Un paese, quindi, ricco di storia e di tradizioni, questo di Forlimpopoli. Questo filmato è una parte del concerto tenuto nell'ultima serata dell'edizione di quest'anno. Ospite d'onore Riccarda Casadei, figlia del grande secondo Casadei, in onore dei sessant'anni di "Romagna Mia", una delle canzoni italiana più famose nel mondo. Dirige l'orchestra il maestro violinista Davide Castiglia da Ravenna, tra i fondatori, nel 1981, del famoso gruppo celtico "Morrigan's Wake", sempre di Ravenna. In chiusura ascolterete la grandissima voce di Paola Sabbatani da Faenza che interpreta un brano di Rosa Balistrieri, siciliana, che fu una delle più grandi interpreti di musica popolare del nostro Paese.