venerdì 18 settembre 2009

GEORGE BYRON A RAVENNA


Questo è il titolo della commedia dello scrittore forlivese Giovanni Spagnoli andata in scena recentemente al Teatro Rasi di Ravenna, e che ha finalmente reso giustizia a questa grande figura del romanticismo inglese, vissuto dal 1788 al 1824. Reso giustizia, intendo, in senso localistico, in quanto la figura di Byron è a tutt'oggi ben nota e universalmente ammirata ovunque. Ravenna, però, detiene la "sventura" di essere stata l'ultimo rifugio di Dante Alighieri, e per cui agli "intellettuali" locali pare cosa buona e giusta disfare i corbelli parlando sempre & soltanto del Sommo Poeta, trascurando bellamente tutto quello che a Ravenna è successo dopo il 1321. George Gordon Byron era uno spirito libero e inquieto e, benchè già famoso a soli vent'anni come poeta e drammaturgo, e pur godendo di una grande posizione politica (era un Lord con simpatie laburiste), dovette abbandonare la Gran Bretagna nel 1816 per uno scandalo a sfondo sessuale. Fu infatti accusato di incesto verso una sorellastra e omosessualità, benchè sposato a una intellettuale londinese da cui ebbe una figlia che in seguito diverrà una grande matematica, i cui calcoli hanno portato alla nascita dell'intelligenza artificiale e dei computer nel secolo scorso. Si spostò in Europa per almeno due anni insieme ad un altro grande poeta, Percy Bissey Shelley, dalla cui sorellastra (ancora!) ebbe una figlia nel 1817 a cui fu imposto il nome di Allegra, e che scomparve a soli cinque anni in un convento di suore a Bagnacavallo, venti chilometri a ovest di Ravenna. Finì per stabilirsi a Mira, presso Venezia, e da qui parte la nostra storia. Nella primavera del 1819, presso il salotto della Contessa Benzoni a Venezia, conobbe Teresa Gamba, giovane rampolla di una famiglia patrizia della città romagnola. Teresa aveva 19 anni ed era stata data in moglie a un Conte della sua città, Alessandro Guiccioli, di oltre quarant'anni più vecchio. La nobiltà ravennate non aveva mai fatto mistero delle sue simpatìe giacobine e, durante il Regno Napoleonico, si era arricchita enormemente acquistando a prezzi stracciati le proprietà del clero che Napoleone aveva confiscato. Tra Byron e Teresa nasce una forte attrazione sia fisica che spirituale e, il 9 giugno di quell'anno il Poeta sbarca per la prima volta a Ravenna, prendendo alloggio presso l'albergo "Imperiale", che in realtà era poco più di una stamberga, e che sorgeva dove oggi c'è la moderna Biblioteca "Alfredo Oriani" (grande scrittore romagnolo morto nel 1911, patito della bicicletta). In pratica a cento metri dalla Tomba di Dante. A Ravenna ritorna in pianta stabile nell'inverno successivo e, a un veglione carnevalesco in casa del Conte Cavalli (che qualche anno dopo ospiterà anche Giacomo Leopardi, di cui era grande amico), si presenta come "cavalier servente" della Contessina Teresa, in pratica l'amante ufficiale. La figura del "cavalier servente" era in auge già da secoli e accettata in pratica da tutti, marito compreso (cornuto e contento, come si dice oggi). Difatti è lo stesso Conte Guiccioli ad affittare a Byron il primo piano del suo palazzo nell'odierna centralissima via Cavour. Byron vi entra accompagnato da ben sette domestici e da un vero e proprio zoo ambulante: nove cavalli, un bulldog, un mastino, due gatti, tre pavoni e un'oca che gli era stata regalata per il pranzo di Natale, ma che il poeta aveva risparmiato. Dopo poco lo raggiunge l'amico e sodale Shelley, che riguardo alla città ebbe a scrivere alla moglie, la grande scrittrice Mary Wollstonecraft: "E' una città miserabile... gli abitanti sono barbari e selvaggi, e la loro parlata è il più infernale dialetto che si possa immaginare". Opinione che avrà qualche decennio più tardi un altro grande di passaggio, Oscar Wilde. A Ravenna George Byron impiega il suo tempo scrivendo, cavalcando un pò i suoi nove cavalli e un pò la sua Teresa, ma sopratutto trescando con suo fratello Pietro per un motivo che gli aveva acceso la fantasìa: la nascente setta dei CARBONARI. Byron era un eccellente pistolero e di fatto diventa il maestro d'armi dei "Cacciatori Americani", il gruppo carbonaro fondato da Pietro e che si radunava a far prove di tiro in pineta. Si avvicina infatti il 1821, anno in cui i Carbonari pensavano di sollevare la Penisola e scacciare i vari signori e potenti, con in testa il Papa. Ma i moti saranno un fallimento. Byron aveva fatto della cantina di palazzo Guiccioli un arsenale e questo non piacque al vecchio Conte, che pensò bene di denunciare alle autorità l'ormai ingombrante ospite in cambio di un sostanzioso colpo di spugna sulle gravose tasse che l'erario papalino pretendeva in alternativa alla restituzione delle sue vecchie terre ai tempi di Napoleone. Byron, Teresa e Pietro fuggono nel novembre del 1821, riparando prima a Pisa e poi a Livorno. In due anni di permanenza a Ravenna Byron partorì quattro grandi capolavori drammaturgici: "CAINO", "MARIN FALIERO", "SARDANAPALO" e "I DUE FOSCARI", più alcuni brani del "DON GIOVANNI", la "PROFEZIA DI DANTE" e il "LAMENTO DEL TASSO", scritto quest'ultimo dopo un viaggio presso la cella del Tasso nella vicina Ferrara. George Byron soggiornò presso i coniugi Shelley a LaSpezia, ma la morte della figlia e di lì a poco degli stessi Shelley lo prostrarono profondamente. Riprese quindi a trescare con Pietro Gamba per una nuova eccitante avventura: la guerra dei Greci contro i dominatori Turchi. Dopo un commovente addio all'amata Teresa (che morirà nel 1873), giunse a Patrasso nella primavera del 1824. Ma la fine per lui non fu quella gloriosa che aveva immaginato. Morì infatti per un attacco di meningite causato da febbri reumatiche, a Missolungi. La spedizione militare si rivelò, anche qui, un fallimento. Le sue spoglie furono riportate in Inghilterra dove riposano accanto a quelle della prima figlia, Ada. Di lui scriverà Giuseppe Mazzini molti anni dopo: "L'ETERNO SPIRITO DELL'INTELLETTUALE LIBERO DA CATENE NON EBBE MAI PIU' SPLENDIDA APPARIZIONE FRA DI NOI". Di Byron rimangono dipinti e statue un pò ovunque, come questa che è presso Villa Borghese a Roma. Lode quindi al PICCOLO TEATRO CITTA' DI RAVENNA che ha messo in scena un lavoro così serio e impegnativo, con oltre 40 tra attori e comparse e con un complesso di scenografìe e costumi d'epoca degno di una compagnia professionistica, anche se la recitazione in vari punti è apparsa un pò troppo accademica.


1 commento:

  1. Bellissimo scritto, bravo!

    :)

    ...sì sì sì, sono proprio io...

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