mercoledì 21 marzo 2012

Oggi se n'è andato l'Omero della Romagna, uno degli ultimi grandi cantori, Tonino Guerra


a Tonino Guerra...


Nel tuo respiro in nuvole psichedeliche 

si palesavano alberi,

ed erano concreti, 

con fiorellini teneri di bianco panna,

forse un po’ azzurri, però di un azzurro 

appena accennato,

oppure di un rosa evanescente 

come pastelli di bambini.

Come si può esprimere la tenerezza di un fiore, credo

portandolo con delicatezza alle labbra, 

o donandolo a un amore.

E poi la primavera partoriva l’estate, 

e dai fiori ai frutti,

e la terra profumava in maniera indecente, 

di lunghi amplessi.

Tonino, camminavi nei campi parlando 

di frutti dimenticati,

come i poeti abbandonati, che nessuno legge, 

o porta a casa.

E da quel tuo sapere visionario, 

dalle fontane disegnate,

dalle lucertole, dai fossi delle strade, 

un po’ ammaccate, assetate

quando il bagliore dell’estate 

accompagna la mente al mare,

veniva a noi un sapere antico, 

la forza semplice del mondo.

***




dal sito de "La Repubblica" Bologna http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/03/21/news/e_morto_tonino_guerra_la_romagna_perde_il_suo_poeta-31905757/


E' morto Tonino Guerra


la Romagna perde il suo poeta

Lo sceneggiatore è spirato questa mattina. Pochi giorni fa, già costretto a letto, aveva festeggiato il suo novantaduesimo compleanno. Sabato i funerali in piazza a Santarcangelo

di ANNA TONELLI


Addio a Tonino Guerra il poeta della Romagna e di Fellini

E' riuscito a festeggiare i suoi 92 anni ascoltando dalla sua camera da letto i bambini che cantavano "Romagna mia" in piazza. Anche Ermanno Olmi gli ha fatto la sorpresa per il compleanno. Una festa che già prevedeva sarebbe stata l'ultima. A quattro giorni da quel traguardo, Tonino Guerra ha lasciato la terra che tanto amava, raccontata nei film, nelle poesie, nei manifesti, nelle fontane e nelle piccole grandi invenzioni disseminate in piazze e borghi.
Lucidissimo fino alla fine, il poeta ha voluto morire a Santarcangelo, dove era nato il 16 marzo 1920, con il terrazzino che si affaccia sul centro del paese. Lì, sabato scorso, la moglie Lora e il figlio compositore Andrea si sono affacciati per salutare gli amici accorsi per salutare il poeta costretto a letto.
Guerra ha sempre rivendicato le sue origini, anche quando è diventato famoso. Mentre scriveva sceneggiature per i grandi del cinema come Fellini, Antonioni, Rosi, Monicelli, Anghelopulos, i Taviani, Guerra progettava manifesti per richiamare i sindaci a preservare le bellezze del territorio, disegnava fontane, dipingeva acquerelli, ideava orti e musei. Il suo orto dei frutti dimenticati a Pennabilli lo sono venuti a vedere da tutto il mondo, compreso il Dalai Lama. Un esempio fra i tanti, perché ovunque si vada, lungo la via Emilia e le Marche, Tonino Guerra ha lasciato una traccia. Targhe poetiche, tappeti di ceramica, stufe, fontane, mobili e madie antiche colorate con i pastelli. Sono questi "gioielli" poetici a legare la Romagna a Tonino Guerra.
E' stato lui a lanciare il dialetto sulla ribalta nazionale, attirandosi gli elogi di Carlo Bo, Elsa Morante e Gianfranco Contini. Le sue raccolte di poesie, a partire da "I scarabocc" e "I bu" hanno ottenuto premi e riconoscimenti dalle giurie più titolate. Poi e' arrivato il cinema a portare Guerra sull'Olimpo dei grandi. Quando negli anni '50 parte da Santarcangelo alla volta di Roma in pochi credono, che possa sfondare. Ma già nel '56, quando firma la sceneggiatura di "Uomini e lupi" con Giuseppe De Santis, si capisce che il talento premia. E da quel momento Guerra lavora con i più autorevoli maestri, a cominciare ovviamente da Fellini.
Hanno caratteri difficili i due romagnoli, ma quando devono discutere di un film non litigano mai. Dal loro estro è nato "Amarcord" al quale Tonino ha regalato la poesia sui mattoni e l'idea del pavone, e poi ancora "Ginger e Fred", "E la nave va", "Prova d'orchestra", "Casanova". Prima e dopo Fellini, ci sono Elio Petri, Vittorio De Sica, Monicelli, Lattuada, Bellocchio, Wenders, Tarkovskij. Con Anghelopulos Guerra era anche grande amico, salutato appena pochi giorni prima della tragica scomparsa in un incidente. A lui Tonino ha dedicato il suo ultimo libro.
A comporre poesie Tonino Guerra si è impegnato fino agli ultimi giorni, contando sull'aiuto dei tanti collaboratori. A Santarcangelo sono nati gli ultimi versi. A Santarcangelo l'ultimo viaggio.
La camera ardente sarà allestita in consiglio comunale. I funerali saranno celebrati nella piazza del paese, quasi certamente sabato mattina. A tenere l'orazione funebre sarà Sergio Zavoli

(21 marzo 2012)

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QUI IL LINK DI UNO STRAORDINARIO ARTICOLO SU TONINO GUERRA SCRITTO IL 19 MARZO 2012 SUL BLOG DI OSCAR BUONAMANO http://culturemetropolitane.ilcannocchiale.it/post/2731036.html

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E QUI IL LINK DELL'ARCHIVIO DEL "CORRIERE DELLA SERA", ALTRO ARTICOLO MERAVIGLIOSO SUL POETA
http://archiviostorico.corriere.it/2012/marzo/22/addio_Tonino_Guerra_artista_dalla_co_9_120322030.shtml

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CIAO TONINO!





TONINO GUERRA l'ho incontrato un sacco di volte presso la Galleria La Bottega di Ravenna, del nostro grande amico comune Giuseppe Maestri da cui apprese l'arte dell'incisione, che praticava con modestia e in silenzio. La Galleria oggi è stata riaperta nel gennaio 2011 ad opera del pittore Carlo Amaldi, proprio con una mostra di suoi lavori. Pochi fortunati possono dire di avere in casa uno dei suoi deliziosi quadretti, che riportano in tutto e per tutto alle atmosfere dei disegni di Fellini. Fellini e Guerra erano un binomio praticamente perfetto, tanto nel cinema quanto nella vita comune, dove erano amicissimi. Nel giugno del 1990 ebbi modo di intervistarlo per la defunta "Gazzetta di Ravenna". Qualche anno dopo mi recai a Pennabilli per vedere il "Giardino dei Frutti Dimenticati": Giunto in paese, non sapevo dove andare e risolsi di chiedere informazioni alla prima persona che avessi incontrato. Bè, il caso volle che la prima persona in assoluto fosse proprio lui. Era nella piazza dove a pochi metri c'era il "suo" giardino, ed era in compagnia di un altro signore anziano. Fu in pratica l'ultima volta che lo vidi di persona. Gli ultimi anni per lui sono stati un calvario: nel 93 la morte di Fellini, poi un tumore al cervello, poi il suicidio della figlia nel 2006, ed infine la scomparsa di Michelangelo Antonioni l'anno dopo, un altro regista, suo conterraneo, con cui aveva lavorato e a cui era molto legato. Con lui se ne va proprio la Romagna, quella più vera, più schietta, più autentica. Dopo Tonino Guerra ci sono ancora poeti e studiosi che in qualche modo rappresentano ancora molto egregiamente lo spirito romagnolo, come il Prof. Giuseppe Bellosi o il poeta Nevio Spadoni, o il poeta Giovanni Fucci, ma sono tutte persone non più giovanissime e senza nemmeno eredi personali. Parafrasando una battuta di una vecchia commedia romagnola "Muort Verdi un gnè piò gnint" (Morto Giuseppe Verdi non c'è più nulla), lo stesso potrà dirsi un domani di Tonino Guerra, se un qualche autore di commedie romagnole vorrà ricordarlo in un contesto degno di lui. Ma, anche qui, a parte Nevio Spadoni da Ravenna (noto anche in America grazie al Teatro delle Albe), c'è il vuoto assoluto. Nella foto sotto, il tappeto mosaicato sospeso, a Cervia, col sale, tipico prodotto locale dal tempo degli Etruschi. Un'altra delle sue eredità che siamo chiamati a conservare.
                                                                                                                                                  ANDREA




                                                                                                                                                             
Cuntent  a  sò  ste  tanti  vuolt
mo  mai  coma  quela
c'aj  ho  vest
una  parpaja  vulè
senza  sintì  la  voja
ad  magnela


Contento  fui  tante  volte
mai  però  come  quella
quando  vidi  volare  una  farfalla
senza  provare  la  voglia
di  mangiarmela


(scritta nel '46 dopo anni da prigioniero in un campo nazista)

lunedì 19 marzo 2012

Dalle campagne di Faenza il dolce di uova sode



Un dolce tipico delle campagne faentine. Semifreddo alle uova sode.

Sconsigliato a chi ha il diabete e il colesterolo alto, però ottima fonte di energia per tutta la giornata può essere un'ottima colazione per chi si alza molto presto la mattina e fa lavori faticosi, o per gli studenti sotto esame. Ma anche per i bambini e i golosi di ogni età. Del resto la pasticceria romagnola abbonda di uova, dalla "zuppa inglese" alle finte peschine bagnate nell'alchermes, dalla crema pasticcera (che mia nonna preparava ogni sabato con l'aggiunta di una gustosa fettina di limone) fino alla celebre "ciambella" da inzuppare nel Sangiovese! Mi vogliano perdonare i vegani, non è per fare polemica o per ribadire la "giustezza" di uno stile di vita, ma per parlare di una tradizione che nelle campagne era l'unico momento di relax in una giornata durissima che iniziava all'alba per concludersi oltre il tramonto del sole.
Il "dolce di uova sode", secondo una ricetta da me imparata nella frazione di Santa Lucia di Faenza, andrebbe preparato così:
a seconda della quantità desiderata, dalle quattro alle otto o dieci uova sode raffreddate da alcune ore, ma utilizzabili soltanto per il "rosso" (il bianco si può utilizzare da farcire con tonno e maionese);
si mettano i rossi delle uova in un recipiente con lo zucchero bianco semolato (quanto basta) e un panetto di burro ammorbidito a temperatura ambiente e si amalgami il tutto lavorandolo con una forchetta, molto a lungo e con energia perché l'impasto venga omogeneo, a piacere si può aggiungere un bicchierino di maraschino o di rhum;
una volta preparato l'impasto, si mettano a bagno i biscotti (preferibili quelli secchi e quadrati ai savojardi) nel caffè e lì si lascino per alcuni minuti;
si appoggino i biscotti bagnati nel caffè nel fondo di un recipiente rettangolare, poi si spalmino con un po' di impasto, a seguire si ricopra con un'altro strato di biscotti e così via, fino a formare vari strati, poi si metta il tutto in frigo nei ripiani più freddi e lì si lasci per parecchie ore, una volta raffreddato si taglierà ancora bene con il coltello per la presenza del burro e delle uova... ideale sarebbe farlo la sera dopo cena per avere al risveglio una colazione così gustosa insieme al latte!


la mitica zuppa inglese

la ciambella romagnola nella versione classica senza granella

giovedì 15 marzo 2012

Addio al grande poeta Elio Pagliarani



E' recentemente scomparso a Roma, in una clinica ove era ricoverato da qualche tempo, una delle voci più singolari dell'ultimo Novecento, Elio Pagliarani. Nato a Viserba, una frazione di Rimini, il 25 maggio del 1927, aderì al "Gruppo '63" ed era tra i fondatori della Cooperativa di scrittori. Del mitico "Gruppo '63" hanno fatto parte scrittori e poeti come Aldo Palazzeschi, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Nanni Balestrini, Giorgio Manganelli, per citarne solo alcuni. Il Gruppo prende il nome dalla data della loro prima riunione, avvenuta dal 3 all'8 ottobre del 1963, presso l'Hotel Zagarella a Solunto, a pochi chilometri da Palermo. Quando Pagliarani vi aderì, aveva già pubblicato un poemetto sperimentale intitolato "La ragazza Carla", definito dalla critica la sua opera più significativa, apparso dapprima su una rivista letteraria nel 1960, e successivamente pubblicato in volume nel 1962. Il poeta, laureatosi in Scienze politiche a Padova, ha collaborato alle più importanti riviste del secondo Novecento, tra le quali Officina, Quindici, Il Verrì, Nuovi argomenti, Il Menabo. Dopo avere vissuto dagli anni '40 a Milano, ed essere stato redattore dell'Avantì negli anni '50, si è trasferito nella capitale negli anni '60 e, a partire dal 1968, ha lavorato come critico teatrale a Paese Sera. Nel 1971 ha fondato la rivista Periodo Ipotetico diventandone il direttore, facendo parte anche della redazione di Nuova Corrente. Negli anni Ottanta ha fondato e diretto con Alessandra Briganti la rivista di Letterature Ritmica.

Nelle sue raccolte degli anni '50, "Cronache e altre poesie" e "Inventario privato", Pagliarani affronta temi realistici come quello del lavoro, dell'economia e della vita delle classi subalterne. Protagonisti dei suoi versi sono gli operai, i camionisti, le commesse, i manovali e le dattilografe della Milano dell'epoca. La sua continua ricerca, dopo "La ragazza Carla", tenta le vie sperimentali con "Lezioni di Fisica", del 1964. Inizia in questo periodo la stesura de "La ballata di Rudi", il suo secondo romanzo in versi, di cui una parte verrà pubblicata nel 1977, mentre l'edizione definitiva e completa si avrà solamente nel 1995. Presente con i suoi scritti nell'antologia I Novissimi, a Pagliarani è andato il Premio Viareggio Poesia del 1995. Tra le sue ultime opere, gli "Esercizi platonici" (1985), "Epigrammi ferraresi" (1987) e "La bella addormentata nel bosco" (1988).


giovedì 8 marzo 2012

Le donne romagnole





Io lo so come sono le donne romagnole. 


Sono forti come la roccia e sono morbide come il burro, delle gran lavoratrici, che si sacrificano per la famiglia e per i figli, e quando i figli sono grandi fanno volontariato per gli anziani e per il terzo mondo. Sono quelle che vanno a letto sempre dopo e che si alzano sempre prima. Quelle che vanno in discoteca con le amiche, e il giorno dopo al cimitero a trovare i loro morti. Sono delle grandi rompicoglioni le donne romagnole, non sono mica di marzapane, hanno sempre la battuta pronta e sembrano velenose e con le amiche e con i figli non sono mai troppo tenere. Fanno i complimenti solo quando conviene, pochi ai loro figli e molti agli estranei.
Sono solari e gioviali, sì, ma sono anche lunari, e saturnali, e tristi, e malinconiche, e non di rado depresse (ma la tristezza non impedisce mai di fare tutto ciò che si deve). E quando si ritrovano fra di loro, parlano spesso di amori finiti, e di morti, e di disgrazie, e di problemi in famiglia, e delle cose che potrebbero aggravarsi. Non sono brave a consolare con le parole, tanto ruvida la lingua che sembra cartavetrata, ma sono bravissime a dare una mano concreta a chi soffre.
Sono quelle che ha disegnato Fellini nei suoi film e che Tonino Guerra canta nelle sue poesie, sono immense come la Gradisca e la Tabaccaia, con grandi tette e culi belli pieni e rotondi come quelli delle afrocubane. Oppure magre e sottili e con piccoli seni come la Volpina, ma assolutamente sexy e piene di energia erotica. Le donne romagnole viaggiano con una carrozzeria compatta, non superano quasi mai il metro e settanta, la statura media della donna romagnola è uno e sessanta, e pur viaggiando in 500 sono più potenti di un bolide di Formula Uno. Sono more quasi sempre, e sono belle, ma di una bellezza un po’ selvaggia, non raffinata, con il trucco nemmeno fatto troppo bene, e il vestire non molto ricercato e i capelli esagerati; sono belle quando ridono e la loro risata spacca il silenzio e rimbalza sulla luna.
Vanno in bicicletta le donne romagnole, la bicicletta è il cavallo di queste valkirie, la abbandonano solo per essere portate con il carro funebre. Le donne romagnole sono profondamente religiose anche se possono fare tutto senza Dio. Quando non sanno più come imprecare, si mettono a pregare la Madonna, ma di nascosto, la mattina presto, oppure mentre versano una lacrima sulla sfoglia fatta in casa.
Ne hanno da passare di guai, le donne romagnole, per reggere la baracca, col marito oppure no, con tutti i conti da far quadrare, e le bollette, e i bilanci delle aziende familiari, si dice arzdora che significa “reggitrice”, la donna romagnola è questo: una colonna che regge tutto.

Io le amo, e lo sono anch’io, lo è una parte importante di me.


Patrizia "Pralina" Diamante (E' permessa la riproduzione gratuita di questo scritto, a patto che si citi il nome e cognome dell'autrice e non si apportino cambiamenti al testo)

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venerdì 2 marzo 2012

Cooperative "Cementificatori & Affini"




LA CMC DI RAVENNA
 LA COOP CEMENTO & ROTAIE DAL PCI ALLE SOBRIE INTESE

di Giorgio Meletti - Fatto Quotidiano 2/3/2012


Il ruolo guida della Cmc di Ravenna nell’operazione Torino-Lione aiuta a capire la trasversalità del consenso politico per un’opera che appare - al di là delle resistenze locali in Val di Susa - costosa e di dubbia utilità. Perché la Cooperativa Muratori e Cementieri di Ravenna, fondata nel 1901 da 35 manovali, oggi è un gigante delle costruzioni, con centinaia di soci e migliaia di dipendenti, e un fatturato di 800 milioni di euro. E se nel corso della Prima Repubblica ha prosperato come braccio armato del sistema di potere economico targato Pci, oggi è diventata una potenza autonoma nel business del cemento: prima, come tutte le cooperative rosse, prendeva ordini dai vertici di Botteghe Oscure, oggi i leader del centro-sinistra devono limitarsi a un atteggiamento di deferente simpatia verso una grande realtà economica con la quale condividono radici antiche e recenti.

Lungo i futuri binari della Val di Susa, dove per ora la Cmc sta realizzando la galleria esplorativa (93 milioni di appalto), rotolano dunque due storie parallele. Ecco da una parte l’allora ministro dei Trasporti Pier Luigi Bersani che il 29 gennaio 2001 firma l’accordo con il governo francese per fare l’alta velocità tra Torino e Lione, e va quasi in estasi: “Quella di oggi è una decisione storica perché come Cavour decise di realizzare il traforo del Frejus, ora si decide su un passaggio altrettanto strategico. Una delle opere più grandi in Europa, con tempi ben scanditi”. Ben scanditi, certo: “I cantieri partiranno nel 2006”, diceva il ministro. E chi disse “questi sono fatti e non parole, una importante vittoria del metodo del dialogo e del partito del fare”? Il ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro, il 19 novembre 2007, quando il governo Prodi ottenne dall’Ue l’agognato cofinanziamento dell’opera.

Dall’altra parte c’è un rosso ormai pallido: i cantieri ferroviari sono stati sempre il punto d’incontro delle larghe intese e la Cmc è un simbolo di questa tradizione. Quando fu varata la grande operazione Tav (Tori-no-Milano-Napoli ) nel 1991, la spartizione officiata dal numero uno delle Fs Lorenzo Necci prevedeva per le coop rosse una quota di appalti che doveva stare tra il 13 e il 19 per cento. I grandi costruttori privati cercarono però di far fuori la Cmc e le altre sostenendo che la fine del Pci decretata dalla svolta di Achille Occhetto toglieva alle coop ogni diritto alla quota. Pochi mesi dopo il gotha dei costruttori privati (da Vincenzo Lodigiani a Enso Papi della Cogefarimpresit) fu messo in galera da Antonio Di Pietro, e i suoi partiti di riferimento (Dc e Psi) scomparvero. Così tutto fu azzerato e la Cmc tornò in pista, in un mercato che ha ricostruito pazientemente i suoi equilibri spartitori.

Nel curriculum della coop di Ravenna c’è la partecipazione alle più importanti tratte dell’alta velocità: Milano-Torino, Milano-Bologna e Bologna-Firenze. E anche una presenza importante in tutti i maggiori affari nel mondo delle grandi opere: un bel pezzo della nuova Salerno-Reggio Calabria e il nuovo passante autostradale di Mestre.

La forza della Cmc è nel suo passato. Non solo nella gloriosa storia ultra-secolare, ma anche nell’intreccio del suo destino con i lagami politici. E’ Papi, manager Fiat delle costruzioni, ad accusare il consigliere Enel in quota Pci Giovanni Battista Zorzoli: “Al momento di individuare le imprese per l'appalto relativo alla riclassificazione della centrale di Montalto di Castro, Zorzoli fece pressioni perché fosse inserita la Cmc di Ravenna nel raggruppamento stesso”. Arrestato il 15 gennaio 1993, Zorzoli, è stato condannato a quattro anni e tre mesi di carcere come collettore delle tangenti rosse sugli appalti dell’Enel. Mentre la Cmc, nonostante il coinvolgimento nelle inchieste di alcuni suoi manager, è uscita con le ossa rotte dall’era di Mani pulite non per colpa dei magistrati ma del mercato.

Come tutte le aziende del settore ha sofferto il crollo degli appalti pubblici a metà anni ‘90, e stava per fallire. Fu salvata da Gianni Consorte, il padre padrone dell’Unipol, con i soldi delle altre cooperative, segnatamente quelle sempre ricche dei super-mercati. E’ il momento in cui le coop si emancipano dal partito e decidono di far da sole, facendo scattare il meccanismo della solidarietà mutualistica. Consorte organizza il sistema finanziario attraverso la Finec, e propizia anche il ribaltone ai vertici della Cmc: a casa il potente Roberto Caporali, sale alla presidenza nel 1996 Massimo Matteucci, entrato in Cmc con i calzoni corti, che sedici anni dopo è ancora lì che comanda. Perché ormai le cooperative sono governate da un sistema di tipo “cesaristico”, come denunciava già molti anni fa l’allora presidente della Lega Coop Lanfranco Turci: sono passate da un sistema di designazione politica dei manager a quello della cooptazione autoreferenziale, tipo fondazioni bancarie: un dirigente salta solo quando la fa davvero grossa, come Consorte che in seguito alla fallita scalata di Unipol alla Bnl fu cacciato da un sinedrio di manager cooperativi potenti e sconosciuti. E siccome sono i risultati che contano, ecco che la Cmc si tiene stretti i suoi appalti, che non sono nè di destra nè di sinistra: sono di cemento, e tanto basta. I politici seguono.



Roberto Fico


* ESPRIMIAMO SOLIDARIETA' AGLI ABITANTI DELLA VALSUSA CHE LOTTANO CONTRO UN AFFARE SPECULATIVO CHE NON GIOVERA' ALLE POPOLAZIONI LOCALI NE' AL TRASPORTO DELLE PERSONE, MA ANDRA' AD ARRICCHIRE UNICAMENTE LE TASCHE DI POCHI, PRODUCENDO UN ENORME INQUINAMENTO AMBIENTALE E ATTENTANDO CONTRO LE RICCHEZZE E LE BELLEZZE DI UNA VALLE MERAVIGLIOSA.