domenica 28 dicembre 2014

La Regina d'Africa


Se ci fosse ancora, la "Regina d'Africa" oggi avrebbe compiuto trent'anni, che per un pub situato in piena pineta a tre chilometri a meridione di Marina di Ravenna, sono un'enormità. Eppure fu proprio quel locale ad anticipare praticamente tutto quello che è successo negli anni successivi in tutta la Riviera romagnola. Ma andiamo per gradi. I cinque fondatori furono Walter Pretolani (poeta e insegnante, l'ho avuto per un anno come professore), Mauro Zanarini, Giorgio Benelli, Domenico Berardi, che purtroppo si è tolto la vita nello scorso luglio a soli 60 anni, e Valerio Ravaioli, ritratti in questa foto d'epoca.

"La Regina d'Africa" racconta Pretolani "fu inaugurata il 5 giugno 1984. Non avevamo fatto pubblicità, ma arrivò lo stesso tanta gente che si formò una fila di auto lunga due chilometri". Il nome fu deciso a casa di Danilo Montanari a Ravenna, all'epoca titolare delle edizioni artistiche Essegi, molto in auge in quegli anni, e fu una risposta al "mortorio" cittadino dell'epoca, quando tutti i bar del centro chiudevano alle 21, e non rimaneva che qualche cinema dove infilarsi. Vinse per l'appunto questo film del 1951 diretto da John Huston. "La Regina d'Africa" prosegue Zanarini "aveva una scelta di etichette nuove e ricercate. Siamo stati i primi a vendere il vino nel bicchiere. E poi c'era la birra alla spina, che fu anche quella una grossa novità".. D'estate veniva allestito un palco all'esterno, dove si esibivano gli artisti più quotati di quel periodo. Personalmente ricordo i mitici "Aringa e Verdurini", in pratica una coppia di attori maschio e femmina, lui bolognese, lei fiorentina, Maria Cassi, compagni anche nella vita, lui al piano e lei alle imitazioni. Ora Maria Cassi calca le scene di importanti teatri nel Regno Unito e altrove, senza più il suo compagno di quegli anni. Un'altra presenza costante era Serena Bandoli, vocalist di grande potenza, tutt'ora attivissima insieme al suo chitarrista di sempre, Fabrizio Tarroni. Ma se è vero che il bel gioco dura poco, anche qui la regola venne rispettata rigidamente. I cinque soci avevano comunque un altro lavoro, e dopo tre anni alcuni si tirarono da parte, anche perché il locale era aperto tutta la notte, e certi ritmi non sono sostenibili alla lunga. Altre persone subentrarono. Uno degli ultimi cuochi del locale fu il primo figlio di un ancora quasi sconosciuto Ivano Marescotti. Infine, nel 1989, l'incendio che la semidistrusse, quasi certamente doloso. Tre anni fa ci fu, peraltro, l'interessamento di un pool di imprenditori locali che acquistò l'edificio, col proposito di farlo ripartire, ma poi non se ne fece nulla. L'avventura di quel locale ora passato alla leggenda, viene ora raccontata da Walter Pretolani nel libro dal titolo omonimo, con disegni di una vecchia conoscenza del mondo dei fumetti, il ravennate Davide Reviati, e incisioni di Umberto Giovannini. Certe magìe, ahimè, non si ripetono così facilmente, soprattutto coi tempi che corrono. Nella foto in basso, Ravaioli, Zanarini e Pretolani, oggi.

sabato 20 dicembre 2014

Settantesimo della Liberazione di Ravenna e della zona est della Romagna

     

Ragazze poco più che adolescenti affiancavano spontaneamente i partigiani come staffette, o raccogliendo per loro denaro e beni. Dopo l’8 settembre del 1943 diedero vita anche a Ravenna a quella forma di movimento nazionale chiamato Gruppi di difesa della donna. A loro, “Donne resistenti contro il nazi-fascismo 1943-1945”, in occasione del 70° anniversario della Liberazione di Ravenna, viene dedicato il parco situato a Borgo Montone lungo il viale Altiero Spinelli.

“Nel 70° anniversario della Liberazione della città - dichiara l’assessore alle politiche e cultura di genere Giovanna Piaia - abbiamo ritenuto doveroso portare alla luce il lavoro svolto dalle donne durante la Resistenza nel Gruppi difesa della donna, e rendere loro omaggio con questa intitolazione. A poco a poco, la storia porta alla luce l’importanza del ruolo che le partigiane hanno assunto in quella fase storica del nostro paese. C’è ancora molto da approfondire su di loro perché quelle donne preferivano non apparire, ma oggi sappiamo che sono state oltre 2milioni le italiane che come staffette, come sarte, cuoche, infermiere, tanto per fare alcuni esempi, hanno dato un contributo determinante al riscatto del nostro paese dal giogo fascista. A loro, “al tabachi”, il termine dialettale per ragazze, mutuato anche per intitolare le iniziative dedicate all’anniversario dei Gruppi difesa della donna che si sono svolte il mese scorso, vogliamo dedicare quest’area verde affinché i loro sacrificio entri a pieno titolo nella memoria cittadina al pari delle nostre grandi figure della Resistenza”.

L’iniziativa conclude il programma di eventi per celebrare il 70° della nascita dei Gruppi di difesa della donna cui, il mese scorso, sono stati dedicati un convegno e una mostra col titolo “Al tabachi” a cura del Comune, Biblioteca Classense e con il contributo di Cgil, Fondazione bella ciao, Coop. Adriatica; con il patrocinio della Provincia e la collaborazione di: Accademia di belle Arti, Anpi, casa delle donne, Fondazione Casa Oriani, Istituto storico della Resistenza, Rete regionale archivi dell’Udi. Nella foto in basso veicoli alleati in Piazza del Popolo a Ravenna.




venerdì 31 ottobre 2014

La Signora del Mosaico


Ha avuto una vita lunga e ricca di soddisfazioni, INES MORIGI BERTI, meglio conosciuta a Ravenna come "La Signora del Mosaico", e ivi scomparsa pochi giorni fa. Nata in provincia di Udine il 20 aprile 1914, studiò all'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Qui conobbe il dottor Luigi Berti che sposò e da cui ebbe una figlia, Fede, che nacque nel 1942, venti giorni dopo la morte del padre in guerra. Partecipò e promosse il restauro dei mosaici delle basiliche bizantine, offese -per fortuna non in modo irreparabile- dai bombardamenti bellici. Ma la sua produzione comprende anche sculture e bassorilievi che la fanno conoscere un po' ovunque, e la mettono in contatto coi più grandi artisti della scena mondiale. Non a caso la foto sopra è del 1954 ed è stata scattata a Helsinki. Dal 1959 al 1977 fu docente presso l'Istituto d'Arte per il Mosaico Luigi Severini (artista futurista), ponendo le basi per la formazione dei più grandi mosaicisti contemporanei, tra i quali il mio vecchio amico Felice Nittolo, avellinese, ma a Ravenna dalla fine degli anni 60, e ora artista conosciuto e consacrato dal Giappone agli Stati Uniti. Fondamentale fu inoltre il sodalizio artistico col pittore Antonio Rocchi (1916-2005), con cui ha realizzato la maggior parte della sua produzione musiva. Innumerevoli sono i manufatti rivolti all'architettura moderna, concepiti grazie ai bozzetti di Rocchi. Realizzò inoltre anche mosaici da opere di Severini, Campigli, Bracque, Dubuffet, Mirò, Chi Pai Shih, Balthus e Capogrossi. I suoi numerosi allievi, molti dei quali oggi a loro volta insegnanti o presidi, la ricordano con affetto.

"Non urlava mai, ma tutti le portavano rispetto. Non la chiamavamo neppure "Signora Professoressa", ma "Signora Morigi". Nel tempo l'abbiamo poi ribattezzata "Signora del Mosaico". Quando la vedevo lavorare, rimanevo impressionato dalle sue mani sapienti che andavano da sole". Così la descrive Marcello Landi. attuale dirigente del Severini-Nervi.

"La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile per tutto ciò che ha dato alla città e al mosaico. Ines ha lavorato una vita in silenzio, seminando moltissimo. Andavo spesso a trovarla nel suo studio in via Cura. Era infaticabile: le piaceva utilizzare i materiali più disparati ed era sempre molto contenta quando le si portava qualcosa di speciale. Ha realizzato mosaici fino a cinque anni fa. Quando non ce l'ha più fatta, ha cominciato a fare disegni su acetato. Gli ultimi sono di pochi mesi fa. Era una persona di una umiltà incredibile. Chiunque le si avvicinasse si innamorava di lei, del suo laboratorio e di questa materia, il mosaico, che sapeva rendere facile. Soleva dire che lei era nata insieme ai bizantini". Questo invece è il ricordo di Felice Nittolo.
Ravenna vede quindi, in questi ultimi giorni, due cattive notizie: la bocciatura della città come candidata italiana a Capitale della Cultura Europea per il 2019, e la morte della Signora del Mosaico. Se fosse stata più giovane e avesse potuto contribuire a questo evento, chissà come sarebbe potuto finire. L'unica cosa certa, comunque, è che di persone di questa levatura in giro non ce ne sono più.

mercoledì 22 ottobre 2014

Bona not, avuchet!















E’ morto l’avvocato Luigi Titta Benzi. A dare l’annuncio è stato il figlio Federico: "Mio padre è deceduto oggi alle 14, nel letto di ospedale, dove era ricoverato da un mese". Luigi Benzi era nato a Rimini 1'8 marzo 1920. Studente a Rimini presso le scuole elementari, il Ginnasio e il Liceo Classico, per otto anni è compagno di banco di Federico Fellini e "amico suo anche tuttora", si premura spesso di ribadire. Anche se l'approccio tra i due non è di quelli entusiasmanti: all'età di due anni, in spiaggia, il piccolo Federico gli rompe un badile in testa. "Voglio credere che prese male le misure", ha raccontato Luigi a Sergio Zavoli in "Diario di un cronista". E mentre al giovane Federico, per eccesso di magrezza, gli affibbiano il soprannome "Gandhi", al robusto Benzi gli va a pennello il soprannome di "Grosso" o "Titta". Si laurea in Giurisprudenza a Bologna il 2 luglio 1942, è avvocato dal 1946 "per meriti di guerra". Da allora, e sono passati 56 anni, è stato impegnato come penalista in importanti processi in Romagna, nelle Marche e a Bologna, "vincendo o perdendo le cause a seconda dell'illuminazione delle stelle". E' stato Consigliere Comunale per il Partito Repubblicano e Segretario riminese dell'Edera nel 1946. Nel fatidico 1968 è eletto Presidente del Casino Civico di Rimini, carica di cui si fregia con orgoglio anche oggi. Per diversi mandati è stato membro e Vice Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Rimini. In ordine sparso le altre cariche appuntate sul petto nel corso del tempo: Presidente dell'Aeroclub, del Cineforo e del Comitato "Più cuore per Rimini". La sua firma è da annoverare anche tra gli autori letterari. Si deve a lui il gustoso amarcord di un avvocato di provincia intitolato "Patachedi". Il segreto della sua inesauribile energia? "La sveglia puntata alle cinque del mattino", risponde con prontezza. Nelle sue chiose autobiografiche conclude: "Tuttora operante come avvocato per vincere la noia della Vecchiezza. Difetti a parte, volutamente ignorati" .

“Titta Benzi, nel caos spesso banale e volgare che circonda Fellini e il fellinismo - lo ha ricordato il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi - si distingueva per l’eleganza, la gioia, lo spirito, la dignità, la “verità” con cui portava e quindi raccontava l’incredibile avventura di una straordinaria amicizia che ha attraversato quasi tutto il Novecento. Un’anima riminese profondamente autentica, nell’acume e nel dialetto. Nel conferirgli nel 2002 il Sigismondo d’Oro, l’Amministrazione comunale di Rimini indicò, nelle motivazioni, la discrezione nel custodire la memoria di Fellini e, appunto, l’umiltà e l’ironia che gli avevano permesso di attraversare oltre 90 anni di storia personale e riminese senza mai ‘andare fuori tempo’. Titta è Rimini, quella vera, simpaticamente puntuta, che sa coltivare le tradizioni nella maniera migliore: senza nostalgia ma irrorando con esse il presente e il futuro. Titta e Federico, il ‘grosso’ (e gras) e ‘Gandhi’ (così soprannominato per la sua magrezza); l’uno avvocato a Rimini, l’altro mostro sacro della cultura e della cinematografia mondiali. Bambini e giovani assieme nella Rimini anteguerra, poi separati fisicamente ma uniti da un affetto profondissimo nei decenni successivi. Gli aneddoti si sprecano. Tra i più commoventi, confidati da Benzi anni fa a un quotidiano locale, ce ne è uno riferito agli ultimi mesi di vita di Federico Fellini. “Sono stati i cinque giorni più belli della mia vita- raccontava l’amico-. Federico era tornato a Rimini dopo l’intervento subito. Io gli dissi: Ma cosa vieni a fare a Rimini, in agosto... E lui: Ma Grosso, Rimini è la mia città. Sono stati cinque giorni stupendi, a girare per la città, per le colline”. Oppure la ‘intrusione’ della fama internazionale nella loro schietta amicizia, raccontata a un altro quotidiano. “Dopo per Federico venne la gloria nel cinema. ‘Da riderci sopra’, gli brontolavo in faccia. E Fellini, serio come un colonnello: "Titta, smetti di ghignare. Stai parlando con uno dei più grandi registi del mondo".  Poi si sentiva una pernacchia, e tutti e due cominciavamo a ridere.”.

Titta Benzi è stato tra i penalisti più noti di Rimini e ha rivestito numerosi incarichi pubblici e istituzionali. Al compiere i 90 anni diceva: “Io penso che vivrò ancora a lungo. Anche perché la gente mi vuole bene, nessuno può dire male di me. Compresi i miei clienti: ho difeso certe canaglie!”. E’ vero, nessuno poteva dire male di Titta Benzi, e nessuno ne potrà mai dire male. Rimini perde un pezzo del suo cuore ma resta intatto il patrimonio di umanità, ironia e gusto per la vita che ne costituisce la più felice delle eredità. In questo momento di dolore, in cui la città e l’amministrazione comunale, esprimendo il loro cordoglio, si stringono intorno alla famiglia e agli amici, viene da chiedersi come commenterebbe tutto questo Titta dall’alto. Una battuta a rendere meno oppressivo il clima e poi accanto l’amico Federico a ribattergli ‘Osta te!’.”

giovedì 16 ottobre 2014

Emilio Prantoni, I Tumuli di Modigliana. Da "Archeo Media".

Sicuramente i legionari romani durante la conquista e la colonizzazione di Rimini avranno avuto modo di ammirare quel panorama mozzafiato, ad esempio, salendo a Montefiore. Dalla terrazza a ridosso della rocca lo sguardo corre fino ai lidi ravennati, e il panorama dà l’idea della vastità di quella pianura ma soprattutto di una terra favorita dal sommo Giove, che “VENTUS EST ET NUBES; IMBER POSTEA. ATQUE EX IMBRE FRIGUS: VENTUS POST FIT, AER DENUO…” (...,è vento e nuvole, poi pioggia e dalla pioggia il freddo, ancora vento, di nuovo aria…), ricca di vegetazione e di acque, limitata dal mare a NE e dalla sinuosa linea delle colline appenniniche a SO da cui scendono numerosi i fiumi che con ampi meandri, fra terrapieni e zone boscose, la irrigano fino al mare.
Così dopo quella felice conquista, come l’usanza, Roma mette al sicuro quello scrigno baciato dagli dei conquistando e facendo amicizia, non con i  Galli nemici irriducibili, ma con quelle popolazioni umbre che Etruschi e Celti avevano relegato sulle montagne dell’alto corso del Savio.
La testa di queste tribù, che stazionavano nelle valli del Savio e del Marecchia, in un felice arroccamento a dominio della valle del Savio, era la città di Sarsina.
Infatti due anni dopo la conquista di ARIMINUM (268 a.C.) i Romani se ne impossessano ma soprattutto si fanno amici quel popolo, siglando un patto di federazione. La conquista della città cantata da Plinio e da Marziale: ”..rustica lactantes nec misit Sassina metas..” (...la rustica Sarsina non ha mandato i suoi formaggi a forma di cono che grondano latte), ricca di pecore, di pascoli e di latte, con associazioni e consorterie potenti e facoltose, ben evidenziato dai monumentali sepolcreti di Pian di Bezzo, comporta a Roma la celebrazione dei FASTI TRIUMPHALES (266 a.C.), elenco dei successi riportati dai magistrati in carica, nel caso i consoli Decimo Giunio Pera e Numerio Fabio Pittore.
I Celti arrivarono al di qua del Po attorno al V secolo a.C  provenienti dalla Gallia, l’odierna regione francese, dilagando nella Pianura  Padana vi si  insediano stabilmente. Erano le tribù dei Senoni, Lingoni, Boi che occupavano  aprossimativamente: i Senoni a Sud di una linea fra Brisighella e Alfonsine, i Linguoni: a Sud di una linea fra Imola e Comacchio, i Boi: a Nord di quest’ultima linea.
La scoperta di insediamenti etrusco-celtici, vicino a noi il villaggio di Monte Bibele presso Monterenzio, ha dato luogo al rinvenimento di oggetti  di cultura celtica databili al V secolo.
Dopo le ripetute sconfitte, fu rimarchevole quella del 295 a.C nel territorio del Sentino, presso l’odierno Sassoferrato, costata ai Senoni 25000 morti, che decretò il loro progressivo tramonto. La sconfitta decisiva di questo popolo, che aveva una certa egemonia sulle altre tribù galliche, si consumò presso Arezzo nel 284 a.C. A questo punto i Boi, temendo di fare la fine dei Senoni, presero le armi contro Roma ma dopo alterne vicende, con la sconfitta nel 283 presso Bomarzo e a Populonia, in Etruria, furono indotti alla pace con Roma. Dopo questi fatti, esposti molto sommariamente, seguì la conquista di Rimini e poi di  Sarsina, destinate a diventare i cardini difensivi e offensivi di quella terra che sarà l’odierna Romagna.
Forse per questioni di rancore verso i BOI, che impedivano loro di insediarsi in felici posizioni nel fondovalle e quindi per essere confinati sulle alture o per riprendersi quelle terre dalle quali erano già stati cacciati dagli Etruschi, indussero i Sarsinati a inviare Roma lamentele per continue incursioni sui loro territori da parte dei Boi, così da indurre Roma a prendere provvedimenti a favore dei preziosi alleati, senza curarsi troppo della veridicità delle accuse.
Nel 201 a.C., un anno dopo ZAMA, Cartagine doveva accettare le condizioni di resa e terminava la travagliatissima Seconda Guerra Punica, le nuove terre acquisite in Romagna salutavano il console Publio Elio  governatore, inviato da Roma, di quei territori. Ci atteniamo al racconto di Livio (StorieXXXI) da cui si può arguire la data degli avvenimenti in quanto cita indirettamente poco prima la vittoria di Zama (202a.C) e colloca i fatti che raccontiamo ”Eodem fere tempore”. Publio corre in soccorso dei federati di Sarsina inviando due legioni arruolate per l’occasione (eius causa scriptis) e aggiunge quattro coorti del suo esercito permanente, in tutto circa 10.000 uomini, dando incarico a Caio Ampio (praefectum socium) di dare una regolata ai Boi che confinavano con quei territori. Ampio,con quelle truppe un po’ “caciarone” entra nel territorio nemico attraversando l’Umbria e il territorio dei Sapini(Savio).
Dopo aver sistemato tutte le questioni con una certa facilità (prospere ac tuto), partì verso Modigliana (castrum Mutilum), luogo ritenuto acconcio per mietere il grano, quindi siamo nel mese di giugno-luglio. Ampio, forse ritenendosi al sicuro e facendo affidamento ai patti intercorsi con i Boi, non aveva provveduto a stazionare nei luoghi opportuni un congruo numero di sentinelle così i Galli sopraggiunsero all’improvviso ed assalirono con ferocia i soldati disarmati intenti alla mietitura tanto che costoro si diedero alla fuga terrorizzando anche le truppe armate nell’accampamento che furono prese alla sprovvista. Fu una vera carneficina: settemila soldati romani ci lasciarono la vita compreso il prefetto Ampio. I sopravvissuti, senza una guida, raggiunsero per strade impervie il console Publio Elio che si era mosso in loro soccorso. Il console, dopo aver stipulato un accordo con gli Ingauni Liguri e dopo aver impartito una dura lezione ai Boi nel loro territorio, ritornò a Roma, ritenendo non ci fosse altro di importante da fare in quella regione.
La ragione che ha spinto il mio interesse a questi avvenimenti è che un amico carissimo di Palazzuolo, uno di quelli che sa riconoscere un sito di interesse archeologico al fiuto come un cane da trifola, e conosce la storia locale perché la vive quotidianamente, in loco, stabilendo congetture e intuendo situazioni logistiche da sbalordire gli addetti per mestiere, mi portò a Modigliana per mostrarmi qualcosa di interessante. Da un buon punto di osservazione sulla riva del fiume Tramazzo, a monte di Modigliana, mi indicò un ripiano coltivato a erba medica, al centro, in chiara evidenza, un tumulo di qualche decina di metri di diametro. Un altro tumulo, bislungo, si intravedeva a poca distanza verso il fiume. Poi mi disse che il contadino si era ben guardato dallo spianare quel rilievo che poteva dar fastidio alla coltivazione. Infatti, quando egli era giovane aveva estirpato delle piante su quella collinetta e dal terreno rimosso erano affiorate armi antiche che si premurò di portare in Comune. Poi …il silenzio. Nessuno parla di quei tumuli, nessuno conosce quegli avvenimenti…, o fan finta di non conoscerli? Il Susini parla brevemente in “Monumenti romani in val di Marzeno” del 1957, di ritrovamenti, databili 1929/31 “di armi in ferro-punte di lance e giavellotti-, assieme ad ossa umane ed alcune monete romane, delle quali non fu conservata la descrizione, si recuperarono da due grossi tumuli del diametro di m. 50 e dell’altezza di m.8. I tumuli non vennero esplorati per intero, e permase il dubbio si trattasse di grosse sepolture, databili forse nella tarda antichità. La località si chiama tuttora-Campo dei morti”, e si arguisce si tratti della località stessa che abbiamo visitato a Pennetola.
Susini allora non ammetteva che Castrum Mutilum coincidesse con Modigliana. Fra l’altro nei pressi circola la leggenda che in un boschetto nelle immediate vicinanze siano state ritrovate armi e ossa umane e, quando qualcuno vi si reca per ”curiosare”, si alzi un vento così impetuoso da impedirvi di sostare…..
Oggi gli studiosi danno ormai per certa questa identificazione  di Castrum Mutilum con Modigliana e quindi si può legittimamente ipotizzare che quei tumuli sulle rive del Tramazzo siano costituiti dai corpi di quei soldati caduti nell’imboscata.
Questa verifica faciliterebbe anche, come Susini stesso diceva, l’identificazione anche di altri toponimi di quel periodo nelle valli contigue.
Pare che al momento siano in corso richieste agli uffici competenti per eseguire in quei luoghi scavi finalizzati alla conferma di ipotesi pregresse. Speriamo che ancora una volta” la volontà di pochi muova le montagne”!

Autore: Emilio Prantoni - emilio.prantoni1@tin.it

venerdì 10 ottobre 2014

Feste dell'800 a Modigliana, in collina tra Faenza e Forlì


Si sono svolte domenica scorsa le tradizionali celebrazioni modiglianesi, rievocanti le glorie locali, il pittore Silvestro Lega, illustre esponente della corrente dei macchiaioli, morto nel 1895, e il parroco Don Giovanni Verità, morto nel 1885, che nel 1849 aiutò Giuseppe Garibaldi nella fuga verso la Toscana durante la famosa "trafila romagnola", in cui perse la vita la sua compagna brasiliana Anita, nei pressi di Ravenna. Momenti importanti sono stati i "tableaux vivants" in cui alcune persone del posto hanno ricostruito alcuni dei più bei quadri del pittore, e l'apertura della casa di Don Verità, oggi museo garibaldino e della Resistenza. Una sala è inoltre dedicata a Pia Tassinari, altra gloria locale, famosa soprano e chiamata a duettare in alcune opere liriche con mostri sacri come Maria Callas e Toti Dal Monte. Oggi le case natali della Tassinari e di Lega, che sono confinanti, sono adornate da un marmo commemorativo. Questo video è un sunto della giornata.



Festa dedicata a Pellegrino Artusi a Forlimpopoli (Forlì)


Tra le tante feste estive in Romagna, spicca quella dedicata a Pellegrino Artusi, il noto esperto gastronomico che verso la fine dell'800 pubblicò: "La Scienza in cucina e l'arte del mangiare bene", divenuto un punto fermo per i cuochi e gli chef di tutto il mondo. Da molti anni la sua città natale, Forlimpopoli, che dista 6 km da Forlì, gli dedica una festa di tre giorni alla fine di giugno. A Forlimpopoli, fra l'altro, è nata nel 1985 la "Scuola di Musica e Canto Popolare", che tanto ha dato in questi trent'anni per la riscoperta della musica popolare contadina e ballabile proveniente da tutta Europa, e della relativa parte cantata. La Scuola ha sede nel Castello di Forlimpopoli, che fu teatro nel 1851 di una delle più famose imprese del bandito Stefano Pelloni, detto il Passatore, che in quell'occasione sequestrò gli abbienti che stavano seguendo un dramma biblico nella sala che oggi ospita il cinema e il palcoscenico per le recite, e riscosse da essi un grande bottino per la loro liberazione, dopo che la sua banda aveva imprigionato la piccola gendarmeria locale. Un paese, quindi, ricco di storia e di tradizioni, questo di Forlimpopoli. Questo filmato è una parte del concerto tenuto nell'ultima serata dell'edizione di quest'anno. Ospite d'onore Riccarda Casadei, figlia del grande secondo Casadei, in onore dei sessant'anni di "Romagna Mia", una delle canzoni italiana più famose nel mondo. Dirige l'orchestra il maestro violinista Davide Castiglia da Ravenna, tra i fondatori, nel 1981, del famoso gruppo celtico "Morrigan's Wake", sempre di Ravenna. In chiusura ascolterete la grandissima voce di Paola Sabbatani da Faenza che interpreta un brano di Rosa Balistrieri, siciliana, che fu una delle più grandi interpreti di musica popolare del nostro Paese.

venerdì 22 agosto 2014

Un altro centenario importante per la Romagna


Dopo la "Settimana Rossa", ecco in arrivo un altro centenario importante soprattutto per la storia letteraria della Romagna. Bertinoro ricorda il grande poeta dialettale Aldo Spallicci, scomparso nel 1973,  con una grande festa in occasione dei cent'anni del primo "Trebbo" della nascente nuova poesia in vernacolo romagnolo. Chi volesse partecipare troverà in rete tutti i riferimenti necessari.


martedì 24 giugno 2014

Siamo sempre più in pericolo...

 

Una notizia che avrebbe dovuto avere un grande rilievo è passata sotto silenzio; solo “Il Fatto” on line regionale l’ha riportata, poi ripresa e diffusa dal sito di PeaceLink da cui riprendiamo passi dell’articolo. Stampa locale, silenzio totale.


“Un carico di granoturco ucraino contaminato da diossina, sostanza altamente tossica e cancerogena di oltre ventimila tonnellate di mais sono arrivate a marzo al porto di Ravenna destinate ai mangimifici e agli allevamenti italiani”. È la denuncia che arriva dal sito d’informazione PeaceLink, e che trova conferma in ambienti sanitari e al ministero della Salute. Secondo quanto appreso dal fattoquotidiano.it, l’11 giungo, infatti, l’Ausl della Romagna ha attivato il sistema di allerta rapido, denominato rasff, per una partita di grano con un livello di sostanze dannose pari a circa quattro volte i limiti di legge. Una procedura che comporta l’immediato blocco delle merci e degli alimenti, uova, carne e latte, provenienti da animali a rischio. Così da ridurre al minimo il pericolo per i consumatori.
Ricostruendo il percorso del grano intossicato, si scopre che la nave, denominata Tarik-3, parte a inizio marzo da Illychevsk, uno dei principali snodi portuali di quella che spesso viene soprannominata “il granaio d’Europa”, ossia l’Ucraina.



Sulla nave Tarik-3 ci sono poco più che 26 mila tonnellate (di cui 20 mila commercializzabili) di grano a uso zootecnico.  Passa la frontiera e arriva a Ravenna, dove il 5 marzo cominciano le operazioni di sbarco, che termineranno 6 giorni dopo.  A giugno poi il carico, esportato da una società svizzera e comprato da una srl di Ravenna, viene smistato in due magazzini, mettendo in moto 900 camion.
Ma a quel punto i monitoraggi del servizio sanitario locale sono già partiti. Il 15 maggio infatti viene prelevato un campione e finisce nei laboratori della sede bolognese dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
Lì vengono avviate le analisi. E i risultati evidenziano un livello di intossicazione parecchio superiore ai valori minimi consentiti. Entrando nello specifico, si tratta di 2,92 nanogrammi di diossine e furani per chilogrammo, contro un limite fissato a 0,75.
Da qui l’attivazione del sistema di allerta comunitario (Rapid alert system for food and feed), che consente di notificare in tempo reale i rischi per la salute pubblica legati ad alimenti, mangimi e materie prime, e permette di informare tutti gli stati membri. Nel caso del granoturco ucraino il grado di rischio è elevato: viene classificato come “allerta,” che è il livello massimo. Detto in altre parole, significa che il prodotto comporta un grosso pericolo per la salute del consumatore, perché è già in commercio e già nel circuito degli allevamenti.
“È un fatto molto grave, perché bastano poche settimane per contaminare un animale” è il commento di Alessandro Marescotti, presidente di PaeceLink, che il 19 giungo ha mandato un appello al governo per fare chiarezza sulla vicenda e sulla reale dimensione del rischio.
Per questo ora il carico, rintracciato e bloccato, non può essere diffuso, né venduto. E non è escluso che, nei prossimi giorni, le analisi sul mais ucraino realizzate dall’Ausl arrivino anche sul tavolo della Procura.
“Servono controlli obbligatori e verifiche più stringenti” spiega ancora Marescotti. “Noi da tempo parliamo della necessità di creare un marchio Dioxin free, proprio come quello Ogm free. Darebbe la possibilità alle aziende di certificare i propri prodotti come liberi da diossina, che è una sostanza cancerogena, trasmissibile da madre a figli, e che entra nel nostro corpo quasi esclusivamente con l’alimentazione”.
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Certo che se i controlli al porto di Ravenna vengono effettuati dopo che i prodotti sono già stati scaricati e portati a destinazione, diventa difficile il blocco, in caso di irregolarità…

Per saperne di più vedi anche : http://www.peacelink.it/ecologia/a/40285.html

lunedì 23 giugno 2014

Il calcio Ribelle











Sicuramente molti sanno della promozione in serie A del Cesena, dopo gli spareggi playoff col Modena e con il Latina, ma pochi sanno di un autentico miracolo, avvenuto a cavallo fra le province di Ravenna e Forlì. Castiglione di Ravenna è infatti una frazione del Comune di Ravenna che conta circa 950 residenti, bagnata dal fiume Savio che scende da Cesena e che la divide con la cittadina gemella di Castiglione di Cervia. Ebbene, la locale squadra di calcio, inclusa nel girone dilettanti di Eccellenza, ha terminato la stagione regolare a pari punti con la Sammaurese di San Mauro Pascoli, a circa venti chilometri di distanza. Da notare che nello stesso girone militavano squadre di città quali Ravenna e Faenza. Lo spareggio si è disputato quindi a Forlì, e a sorpresa la vittoria (1-0) è andata proprio alla squadra ravennate, che il prossimo anno sarà l'unica squadra dell'intera provincia a disputare un campionato semiprofessionistico. Sì, perché da quest'anno, causa la crisi, la FIGC ha deciso di ritornare all'antico, eliminando la serie C2. In pratica vi saranno serie A, serie B, serie C, serie D, eccetera. Per una frazione di nemmeno mille persone è quindi un grande onore militare in quarta serie, e doversi misurare con squadre nobili decadute, come l'Imolese o il Rimini, e dover anche affrontare trasferte fuori regione per la prima volta nella sua storia. Grande entusiasmo quindi per questa squadra, la Ribelle, ritratta in questa foto dopo lo spareggio di Forlì.
Anche Forlì comunque gode. Dopo trentatré anni ritorna in terza serie, vincendo lo spareggio col Porto Tolle, che farà quindi la serie D dopo un solo anno di C2. Gode anche il San Marino, che avrebbe dovuto retrocedere dalla C1, ma che rimane in terza serie, col fatto che quest'anno dalla C1 non c'erano retrocessioni. La Romagna si presenterà quindi col Cesena in A, il Forlì, il Santarcangelo e il San Marino in serie C, Ribelle, Bellaria, e Romagna Centro di Martorano (frazione di Cesena, stesso discorso che vale per la Ribelle), in serie D. Delusione per il Ravenna che dato per favorito in Eccellenza, si piazza solo al terzo posto, dietro alla Sammaurese. Delusione anche per quest'ultima che, nello spareggio dei playoff, perde in casa 0-1 col Rieti dopo aver pareggiato 1-1 in Centro Italia. Retrocede in D il Bellaria e il Rimini, e in Eccellenza il Riccione, mentre sale per la prima volta in Eccellenza il Conselice, che il prossimo anno si batterà in un derby infuocato coi vicini del Massalombarda, e il Vallesavio di Borello. Nelle serie inferiori salgono in Promozione Cotignola e Savarna, mentre sprofonda definitivamente il glorioso Baracca Lugo, travolto da una serie annosa  di crisi societario-finanziarie. Last but not least, il calcio femminile. Esiste anche quello, anche se nessuno ne parla mai, figuriamoci in un momento come questo. Bene, anche qui un piccolo grande miracolo. Un'altra frazione di Ravenna, San Zaccaria, circa mille abitanti anch'essa e, guarda caso, a pochissima distanza da Castiglione di Ravenna, ha visto salire la propria squadra, quella femminile, addirittura nientepopodimeno che in serie A! Ebbene sì, la pulce San Zaccaria il prossimo anno sfiderà squadre di città metropolitane come, ad esempio, il Milan. Butta via.

sabato 7 giugno 2014

I Romagnoli e la Rivoluzione


Si ricorda in questi giorni il centenario della "Settimana Rossa", segnatamente ad Ancona, da dove partì tutto, e in Romagna, dove si ebbero gli sviluppi ideologicamente più interessanti. Il tutto fermentò in un contesto economico di grande povertà e politico di grande agitazione. C'erano guerre e guerricciole che stavano preparando il terreno per l'esplosione finale della Grande Guerra. L'Italia aveva invaso la Libia tre anni prima, e il 30 ottobre di quell'anno un giovane coscritto anarchico imolese, Augusto Masetti, sparò al Colonnello Stroppa in una caserma di Bologna, ferendolo ad una spalla. Masetti fu immediatamente internato presso il manicomio criminale della sua città, divenendo l'icona di tutti gli antimilitaristi dell'epoca. In quegli anni la polizia sparava a raffica sui dimostranti che reclamavano pane e lavoro, e gli eccidi non si contavano. Si giunge così al 9 maggio 1914, quando ad Ancona gli antimilitaristi propongono per la domenica 7 giugno una manifestazione "Pro Masetti", organizzata da repubblicani, socialisti e anarchici. Uno degli oratori è il 24enne Pietro Nenni da Faenza, all'epoca repubblicano, ma destinato ad un futuro di primo piano nel PSI del secondo dopoguerra. Dopo il comizio un certo numero di partecipanti si dirige verso una vicina caserma, difesa da ingenti forze di polizia. In pochi minuti tutto divampa: al lancio di pietre da parte dei dimostranti, la polizia spara ad alzo zero, e la gente scappa verso il porto. Per terra rimangono in tre: due repubblicani, Budini e Casaccia, che muoiono all'Ospedale, e un anarchico, Giambrignani, ucciso sul colpo, tutti di età compresa fra i 17 e i 24 anni.


La notizia provoca l'immediato sciopero generale da parte dei vari sindacati, e l'esplosione di scontri, fra la gente esasperata e l'esercito, un po' ovunque. Particolarmente cruenti a Napoli, con cinque morti, ma ci furono morti anche a Torino, Firenze e Bari, e numerosissimi feriti a Roma, Milano, Genova e altre zone ancora. Vengono presi d'assalto commissariati, stazioni ferroviarie, sedi di banche anche a Bologna, Rimini, Piacenza, Palermo, Trieste, Imola, Faenza, Castelbolognese, eccetera. Ma è nella zona est della Romagna che la faccenda prende una piega molto più interessante. L'epicentro è in una zona compresa fra Ravenna e Fusignano, con particolari effetti ad Alfonsine, Mezzano e Villanova di Bagnacavallo. Mercoledì 10 oltre 10000 persone affollano la piazza principale di Ravenna, ora Piazza del Popolo. Si tenta l'assalto alla prefettura. Nei tafferugli una bottiglia colpisce alla testa il commissario di polizia Giuseppe Miniagio, che morirà due giorni dopo senza aver ripreso conoscenza. Sarà l'unica vittima in Romagna. La vicina Chiesa del Suffragio viene assalita e saccheggiata. Si erigono barricate in tutto il centro, vengono tagliati i pali del telegrafo e quelli del telefono: Ravenna è isolata dal mondo. Le voci corrono incontrollate: la Rivoluzione, culto agognato da decenni dai Romagnoli, in massima parte repubblicani e anarchici è scoppiata in tutto il Paese. Il Re e la Regina sono fuggiti e Filippo Turati, leader socialista, è ora il primo Presidente della Storia Repubblicana d'Italia! Anche un romagnolo che in quel momento si trova a Milano soffia sul fuoco: si chiama Benito Mussolini, è socialista e Direttore de "L'Avanti!", ma mal gliene incoglie. Infatti, viene bastonato a sangue dalla polizia che irrompe nella sede del giornale. 

In Romagna la rivolta dilaga, e assume connotati anticlericali. Si incendiano le chiese a Mezzano, Alfonsine, Villanova di Bagnacavallo, e anche a Faenza e Forlì. Ad Alfonsine viene incendiato il Municipio, (foto sotto), che pure era retto da Camillo Garavini, socialista, e il Circolo dei Monarchici.


Vennero immediatamente creati comitati rivoluzionari e governi provvisori. A Fusignano e in altre località vennero eretti i pittoreschi "Alberi della Libertà", di chiara ispirazione rivoluzionaria-francese del 1789. 


Poi, come tutto era iniziato in fretta, tutto terminò in fretta. Il governo Salandra, di centro-destra, comincia a mostrare i muscoli, e invia la Cavalleria Regia in Romagna. E i dirigenti nazionali, da Nenni a Mussolini, capiscono di aver spinto un po' troppo in là il gioco, e dichiarano più o meno questo: "Cari compagni e fratelli, ci siamo sbagliati. Il momento non è ancora propizio. Meglio ritornare ai propri focolari domestici". Il 12 giugno una colonna di 200 cavalieri entra a Ravenna proveniente da Savio, al comando del Generale Agliardi, senza incontrare resistenza. Tempo tre giorni e cominciano i processi per direttissima. Molti esponenti del moto rivoluzionario fuggono in Svizzera o a San Marino, (foto sotto), ma vengono ugualmente presi e condannati.


Camillo Garavini viene rieletto il successivo 26 luglio, ma non se ne farà nulla, poichè Alfonsine viene commissariata dal Governo. Le pene furono tutto sommato miti, e inoltre, con la nascita della figlia del Re Vittorio Emanuele Terzo verso la fine del 1914, fu proclamata l'amnistia e tutti tornarono a casa. La Rivoluzione insomma, poteva aspettare. Non aspetta però la Grande Guerra, che scoppia quello stesso mese, il 28, e a cui l'Italia partecipa dal 24 maggio 1915. E se le pene, come abbiamo detto, in un primo tempo furono miti, poi la guerra alzò di molto il prezzo. I Romagnoli, considerati -non a torto- teste calde e insubordinati, furono mandati quasi sempre in trincea, e obbligati a uscire per primi quando era ora di assalire gli Austriaci, andando incontro a morte sicura. Pochi anni fa un certo Dal Pozzo, ravennate, ora deceduto, mi raccontò di essere l'unico del suo gruppo (facente parte della Brigata Sassari), ad essersi salvato, perché uscendo dalla trincea inciampò in una pietra, e cadendo per terra battè il capo e rimase svenuto, mentre tutti i suoi compagni venivano falciati dalle mitragliatrici nemiche.

L'Italia vinse la Grande Guerra ad un prezzo esorbitante: 682.000 morti, 1 milione di feriti tra i quali 300.000 invalidi, distruzioni, miserie, fame e sporcizia. Pochi mesi dopo l'influenza detta "Spagnola", aggravata anche dalle condizioni di estrema sporcizia, ucciderà quasi 300.000 italiani, oltre ad altre 21 milioni di persone in tutto il Mondo. Ulteriori conseguenze di questa Guerra furono disoccupazione, miseria, e quindi la nascita del Fascismo e in Germania del Nazismo. Forse sarebbe stato meglio, chissà, se la Rivoluzione avesse vinto davvero.

lunedì 19 maggio 2014

Il Giro d'Italia a Lugo di Romagna


E' partita ieri mattina la Lugo-Sestola, l'ennesima tappa del Giro ciclistico d'Italia, che quest'anno è partito addirittura da Belfast, nell'Irlanda del Nord. Il Giro non faceva tappa a Lugo da cent'anni esatti, quando vi arrivò da L'Aquila per ripartire due giorni dopo per Milano. Considerando il tipo di strade dell'epoca, e il tipo di biciclette, pesantissime e non certo tecnologiche, sorge spontanea la considerazione che i ciclisti di cent'anni fa avevano davvero un fisico bestiale, temprato a tutte le avversità. Altro che oggi.



sabato 10 maggio 2014

Il prete che confessava gli anarchici


Si sta celebrando a Porto Fuori, borgata presso Ravenna, il centenario della nascita di Don Francesco Fuschini, il prete argentano che a Porto Fuori risiedette dal 1944 al 1982, rendendo famosa la località grazie ai suoi articoli e ai suoi libri che descrivevano sopratutto le figure degli ultimi anarchici irriducibili romagnoli. Il libro che lo renderà celebre sarà infatti "L'ultimo anarchico", uscito nel 1980, e oggi già alla settima edizione, con oltre diecimila copie vendute. Innumerevoli gli aneddoti e i racconti sulla sua vita. Su tutto prevale però sempre la sua attenzione verso l'uomo, al di là delle coloriture politiche. Quando nel 1952 fonderà la "Compagnia Teatrale del Buonumore", tuttora esistente, accoglierà attori locali di qualsiasi provenienza, dai cattolici fino appunto agli anarchici. Questo video di tre anni fa mostra il Prof. Franco Gabici, direttore del Planetario di Ravenna, mentre presenta un suo libro dedicato a Don Fuschini, di cui era grande amico. Don Fuschini è scomparso a 92 anni, nel 2006, presso la struttura Santa Teresa di Ravenna.



giovedì 1 maggio 2014

MARIANGELA GUALTIERI


Mariangela Gualtieri è nata a Cesena nel 1951. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca. Ha pubblicato numerose raccolte di versi, fra le quali Antenata (Crocetti 1992), Fuoco centrale (Einaudi 2003), Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006), Bestia di gioia (Einaudi 2010) e il testo teatrale Caino (Einaudi 2010). Innumerevoli anche i premi letterari che ha vinto un pò ovunque. Il poeta fiorentino Mario Luzi più volte la definì come una delle promesse mantenute della poesia italiana femminile. Questo testo è tratto da "Antenata", libro pubblicato da Crocetti, editore anche della rivista Poesia, e con prefazione del grande poeta in dialetto milanese Franco Loi.


IO LIBERO PER TUTTI
 
Venne una nuvola piccola,
dettava le parole gonfie,
di pane di gomma nera
certamente sto pronta
il galoppo comincia qui
stando a petto esposto
vi batto nel pensiero
è questo il corpo?
corpo a corpo calice
dove mettono tutto lo sciame,
state attaccati qui, non sparite

sabato 26 aprile 2014

Io sono il passatore, Max Arduini cantautore di Cattolica racconta...

Toni e' Cuntadèn

Pur lontano dalle scene da molti anni, Alfredo Zoli, scomparso pochi giorni fa a quasi 85 anni, ha mantenuto una fama intatta grazie al suo personaggio le cui radici, solidissime, affondavano nella grande esperienza fin da giovane di trebbi dialettali (fece in tempo a conoscere grandi poeti romagnoli del primo Novecento, come Giannetto Zanotti o Eligio Cottignoli), e sul palco per varie rappresentazioni con compagnie del Ravennate, fino a fondarne una propria: “La Frampulesa”, cioè "La Forlimpopolese". Alfredo Zoli era infatti concittadino di Pellegrino Artusi, il più noto forlimpopolese nel mondo. E “Tony e Cuntaden” è proprio il primo titolo di una commedia che Zoli propone con i suoi giovani compagni di palcoscenico, seguita da tante altre come “Una Cà senza copp”, “Am voj maridè la surela ad mì surela (ach fatt tramesch)”, “Parò la vita ach fatà fregheda” e infine “Un dè ad San Lurenz”, quest’ultima mai rappresentata in teatro. Numerosi i premi vinti alle varie rassegne teatrali. La fama raggiunge anche le orecchie di Federico Fellini, che nel 1973 sceglie Zoli ed alcuni suoi compagni per doppiare i personaggi di “Amàrcord”. Fu l’ingegnere Annibale Persiani, fondatore di Teleromagna, a portare quel personaggio in televisione, in un’epoca in cui le emittenti private si affacciavano per la prima volta alla ribalta. «La trasmissione - ricorda Maurizio Zattoni, dal 1979 responsabile commerciale di Teleromagna - andava in onda il martedì dalle 20 circa e doveva durare un paio d’ore ma finiva sempre per arrivare a tre o tre e mezza per lo slancio di Zoli, che trascinava tutti con la sua capacità di improvvisatore. Le scalette saltavano sempre e non potevi prevedere cosa avrebbe fatto in studio, sempre rigorosamente in diretta. Gli ascolti sono decollati subito e mi ricordo che gli sponsor facevano a gara per apparire nel programma, al punto che in due ore arrivammo a fare 12-15 passaggi da tre minuti ciascuno». A Zoli si deve l’idea di portare in studio, passato dagli angusti spazi di via Fortis a quelli più grandi della sala Mazzini (dal 1981) in corso della Repubblica, sempre nel cuore di Forlì - attuale sede delle aule universitarie - le orchestre, il liscio, i gruppi folcloristici romagnoli, la gara delle sfogline e altro ancora, ricreando davanti alle telecamere un ambiente tradizionale e famigliare che fece da catalizzatore per migliaia di spettatori, diventando un modello imitato da tutti. «Era bravissimo a toccare le corde della tradizione - ricorda il giornalista Fausto Fagnoni, tra i fondatori 40 anni fa dell’emittente -. Il suo successo era tale che quando girava per strada bloccava il traffico, tanta era la gente che lo additava e gli voleva parlare. Schietto e immediato come il suo personaggio ma al contempo raffinato autore di commedie, poeta e uomo di profonda cultura». Affranto l'ingegner Persiani: "Quando perdi un amico perdi una parte di te che non tornerà più, lasciando un vuoto sconfinato nel cuore, ma la stima e l'onestà che c'erano fra di noi resteranno in eterno". Negli anni della televisione ebbe persino il tempo e l'ispirazione di dare vita ad un bellissimo libro di poesìe: "Tony a la Garboja", illustrato dal grande pittore Werther Morigi.

lunedì 14 aprile 2014

Un Romagnolo a Taipei. Abbiamo rivolto qualche domanda a Massimo Godoli Peli (Ma Sci Ru) sulla sua esperienza come burattinaio e cuoco nel sud est asiatico

  • Tecnicamente la mia attività indipendente come burattinaio nasce nel 1999 con un tour del Teatro del Drago di Ravenna in Taipei, dal 2000 però nasce anche un amore con l'accompagnatrice del gruppo con cui poi mi sono sposato e da poco divorziato, ma a parte l'amore tra di noi è stato anche che potevo continuare a fare il lavoro che amo, il burattinaio e che tuttora faccio. Prima di Taipei non avevo mai fatto in prima persona uno spettacolo tradizionale con Sandrone e Fagiolino, col Teatro del Drago ero solo l'aiutante in baracca. Qui mi è stata data la possibilità di essere io il burattinaio, forte dell'insegnamento col Teatro del Drago mi sono buttato ed ora sono al pari di altri maestri burattinai taiwanesi nel senso che mi rispettano come loro pari. La reazione del pubblico all'inizio era di sorpresa perché non sapevano che anche in Italia c'è una antica tradizione di burattini. Ma a parte questo la reazione è come in tutte le altre parti del mondo... Gioia... qui la cultura dei burattini è molto forte e seguita, c'è pure un canale televisivo dedicato solo ai loro burattini. Ho fatto anche altri tipi di spettacolo sia come burattinaio sia come attore, anzi tanto per dirlo sabato ci sarà l'ultimo spettacolo di Fagiolino e a maggio prima di tornare in Ravenna chiuderò con Pinocchio ma come attore... Geppetto. A Taipei ci sono due musei sui burattini, ed altri al centro e sud di Taiwan. La lingua è certamente un problema, all'inizio facevo spettacoli un po' in italiano ed un po' in inglese anche perché l'inglese ancora non lo masticavo, poi piano piano ho insegnato ai miei Burattini il come lo chiamo io cineseitaliano ed ora il pubblico segue meglio. Comunque a parte la cultura dei Burattini che è condivisa mondialmente. Trovo ancora difficile essere romagnolo qui perché siamo troppo vivaci, diciamo quello che pensiamo e qui mi trovano troppo espansivo, io cerco di rispettare la loro cultura ma non sempre riesco... sono ancora romagnolo! Cucinare è anche il mio hobby sia per sopravvivere sia per piacere. Ho provato ad introdurre qualche piatto romagnolo... passatelli, cappelletti, lasagne etc etc ma a parte dire che "sono buoni" loro rimangono totalmente attaccati alle loro tradizioni culinarie. Con questa compagnia ho girato il mondo ma quando era possibile cercavano il ristorante cinese, anche in Italia. Che notoriamente si sa che il cibo italiano qui è così così, e questo vale anche per il cinese fuori dall'Asia. Comunque alla fine posso solo dire che qui si sta proprio bene. Sto tornando in Romagna ma posso dire I love Taiwan! Ps. Per vivere qui comunque ci vuole la lingua, non aver timore di tifoni e terremoti e amare il cibo cinese. Io faccio mezzo mezzo perché cucino a modo mio la cena, ma il pranzo è taiwanese.

domenica 13 aprile 2014

I primi quarant'anni del Centro Relazioni Culturali di Ravenna





Lo scorso martedì 8 aprile alle ore 18 presso la Sala D'Attorre di Casa Melandri, in via Ponte Marino, si è tagliato un prestigioso traguardo per il Centro Relazioni Culturali di Ravenna: quarant'anni di intensa e costante attività. Luca Goldoni, (foto sopra), scrittore e prestigiosa firma del giornalismo italiano, con un grande numero di libri e ben quattordici partecipazioni a partire dal 1975, ha raccontato la sua fedele testimonianza, accompagnato da illustri ospiti quali Roberto Casalini e Franco Gàbici, storico di Ravenna e direttore del Planetario ravennate.

Il Centro Relazioni Culturali dal 1974, con il prezioso contributo fino al 1992 di Mario Lapucci, libraio, scrittore e fondatore della casa editrice del Girasole, organizza presentazioni di libri, prevalentemente saggistica, con la partecipazione degli autori o dei curatori. Sono oltre 1600 gli incontri realizzati fino ad oggi, con cadenza settimanale, tutti i venerdì, ai quali si aggiungono gli speciali martedì, dedicati alle firme della Romagna.

L'idea del Centro Relazioni Culturali nasce dalla precedente esperienza del Trebbo poetico, avviata nel 1956 da Walter Della Monica e Toni Comello, e sostenuta dai grandi poeti, tra cui Giuseppe Ungaretti, che all'epoca così parlava a proposito di questa iniziativa: "Sento che il trebbo farà miracoli per riportare gli uomini a non essere più tanto distratti dalla loro voce più profonda". I primi due ospiti nel 1974 degli incontri letterari del Centro erano amici conosciuti dalla precedente esperienza, come Carlo Sgorlon con Il trono di legno (premio Campiello 1973) e Giuseppe Berto, l'autore del famoso romanzo Il male oscuro.

Senza dimenticare che il Centro Relazioni Culturali con Walter Della Monica sono stati i primi in tutta Italia a proporre a Ravenna la lettura completa della Divina Commedia, raccontata e letta da Vittorio Sermonti. In quest'ottica di divulgazione dantesca si inseriscono le quarantanove traduzioni della Commedia, che nel 2014 diventeranno cinquantadue, all'interno della rassegna "La Divina Commedia nel mondo" e il prestigioso premio "Lauro dantesco". Un piccolo miracolo che racconta una Romagna tuttora molto vitale nel campo culturale e che non si siede assolutamente sugli allori, ma che tende a guardare con curiosità al futuro e a porsi continuamente interrogativi.

sabato 29 marzo 2014

C'era una volta in Romagna...


C'era una volta il Partito Repubblicano, che in Romagna totalizzava un buon 80 per 100 dei voti complessivi di tutta l'Italia. Ma i vecchi muoiono, gli ideali scoloriscono, e anche quel che resta del PRI non è più come prima. Così può accadere che...

Ravenna, 17 marzo 2014 - Alta tensione negli ambienti repubblicani ravennati dopo le decisioni scaturite dal consiglio nazionale di sabato. Il ‘parlamentino’ dell’Edera, senza segretario dopo le dimissioni di Nucara e retto da un comitato di segreteria di quindici persone, ha nominato lo stesso Nucara presidente del partito. Dunque le redini tornano saldamente nelle mani del leader calabrese che da tempo ha collocato il partito nell’area del centrodestra e che, anche per questo, si trova in conflitto con i repubblicani ravennati. Ma il vero motivo dello scontro è l’‘ultimatum’ con cui il consiglio ha intimato alla federazione provinciale di consegnare entro il 31 marzo i nominativi delle tessere e le relative quote versate per il 2014. In caso contrario il consiglio procederebbe a invalidare i congressi provinciali e comunali di Ravenna ed a nominare un commissario che avrebbe evidentemente il compito di normalizzare la situazione e di portare a Roma il ‘tesoretto’ delle iscrizioni.
Va precisato che il Pri di Ravenna ha inviato al nazionale circa un terzo delle somme incassate per il tesseramento. Il resto è stato ‘congelato’ in un conto corrente in attesa di conoscere gli sviluppi del braccio di ferro con lo stesso Nucara. Insomma non c’è alcuna distrazione di fondi di partito. Sembra invece che la scelta dei repubblicani ravennati sia dipesa dalla volontà di rimarcare una propria autonomia, in attesa anche che si chiariscano alcune vicende legate alla gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare del Pri nazionale. Con la minaccia del commissariamento, Nucara esercita dunque anche una forma di pressione politica sui ‘ribelli’ nel tentativo di ricondurli all’ovile, anche in vista della tornata elettorale di primavera, con le Europee e le amministrative.
La settimana che si apre sarà decisiva per capire quali sviluppi ci saranno. L’unione comunale dovrebbe riunirsi nei prossimi giorni con all’ordine del giorno l’elezione del segretario e la nomina dei rappresentanti in seno al comitato provinciale. Il programma dei lavori e il dibattito saranno però condizionati dalle decisioni scaturite nel consiglio nazionale. A Ravenna l’Edera conta circa seicento iscritti. Segretario uscente è Alberto Ridolfi, mentre a capo dell’organismo provinciale c’è Luisa Babini. Alcuni delegati al nazionale ormai da mesi disertano i lavori in dissenso con Nucara. Mentre rimangono Bruno De Modena e Roberto Garavini, alleati del leader.
Va anche detto che il PRI romagnolo è proprietario ancora di molti locali - Case del Popolo, Circoli Endas, eccetera - e questo patrimonio immobiliare è una preda molto ambita...

giovedì 13 febbraio 2014

Ravenna. Prete ubriaco salvato dalle acque.



da Ravenna Oggi


Il prete col Suv aveva alcol nel sangue quasi quattro volte oltre il limite


«Il mio fisico reagisce male, non ero ubriaco. Forse i test sono troppo severi. La Bmw? Viaggio molto, non posso usare una Panda»


di Andrea Alberizia


Il recupero dell'auto di don Desio













Per salvarlo dalle acque è sicuro che ci abbia messo la zampino la provvidenza sotto forma dei tre cittadini, ringraziati dal vescovo, che hanno sentito il boato e si sono tuffati con un martello per sfondare il lunotto. Don Giovanni Desio – 51enne nato a Milano, parroco di Casalborsetti da 13 anni, poeta che nel 2008 dedicò versi erotici alla donna «errante, erotica, eretica» del Ravenna Festival, direttore del settimanale diocesano Risveglio 2000 – è finito nel canale della località costiera la sera del 10 febbraio. John, come lo chiamano i parrocchiani più fedeli e come si firma su Facebook, era al volante di un Bmw X1 comprato da circa un mese per 35mila euro. Ravenna&Dintorni è in grado di poter dire che aveva un tasso alcolemico di 1,8 grammi per litro di sangue (a fronte di un limite consentito dal codice della strada 0,5). Sono i risultati delle analisi all’arrivo in ospedale.

Don Desio, serata travagliata… «Direi un incubo». Com’è finito nel canale? «Rientravo a casa dopo una cena con allegria e spensieratezza da una famiglia di parrocchiani. Non mi sono accorto di un’auto posteggiata sulla destra: scura, lampione spento, erbaccia, occhiali appannati, pioggia, tergicristallo: l’ho beccata in pieno e con l’urto sono finito in acqua». Sta dicendo che la strada è poco sicura? «Strada stretta, se parcheggiano si restringe».

Don Giovanni Desio











Cosa ha provato quando l’acqua ha cominciato a entrare nell’abitacolo? «Ansia, panico, paura. Vedi la morte in faccia in carne e ossa». Poi sono arrivati quei tre… «Hanno sfondato il lunotto e ho sentito che mi dicevano “Girati, prendi la mano, scavalca i sedili”. Mi hanno tirato fuori come un bambino dall’utero. Senza quei tre non ce l’avrei fatta. Li ringrazio». Domanda inevitabile: aveva bevuto? «Quello che si beve normalmente in una cena. Non so che tasso avessi ma ho la coscienza pulita». Crede che fosse in condizioni di guidare? «Certo, ero già 50 a metri da casa, solo non ho visto l’auto parcheggiata. Quando sono uscito dall’abitacolo ero lucido. Può essere che il tasso fosse sopra la norma ma oggi basta un bicchiere di birra. Poi a cena a volte te lo versano anche se non lo vuoi». Se le dicessimo che aveva 1,8 di alcolemia? «Non so i dati». Glieli diciamo noi. Aveva 1,8. «Ah sì?». Sì. «Lo imparo adesso. La ringrazio di avermelo detto. Allora il vino lo tengo male. Probabilmente il mio sangue reagisce male all’alcol». Cosa aveva bevuto? «Due o tre bicchieri di vino bianco. Il rosso so che mi fa male e non lo bevo mai». In auto con 1,8. Un gesto avventato? «È un tasso che non va bene. Forse spropositato rispetto a quanto bevuto a cena. Io sono uscito da quella casa sobrio e sono andato a casa sobrio». Le analisi non dicono la stessa cosa. «Tasso alcolemico e stato di ebbrezza non sempre corrispondono. Io non ero ubriaco». Si metta nei panni dell’uomo della strada: don Desio dice che non era ubriaco ma è finito nel canale con 1,8 di tasso alcolemico… «So che è difficile da capire ma è così, le persone che mi hanno visto sanno che ero sobrio». Un parroco al volante con 1,8 è chiamato a una riflessione di fronte alla comunità? «I miei giovani in parrocchia non bevono altrimenti prendono dei tozzoni. Si comprano grandi casse di Coca Cola. Mi dispiace essere andato oltre la legge, non era intenzionale. Mai stato ubriaco in vita mia. Forse il dibattito dovrebbe essere sull’eccessiva severità dei test: o le leggi vengono riviste e viene ponderata la gravità o altrimenti davvero se bevi un bicchiere… Sono finito nel canale per l’urto». Non può essere conseguenza dell’ebbrezza? «Se fossi stato sbandato mi sarei ritrovato a sinistra e non a destra. Poi gli occhiali appannati…». Per cosa? «Il condizionatore in auto». Un Suv Bmw X1 da 35mila euro... «È un regalo di famiglia per buona metà. Mi permette di affrontare i lunghi viaggi per sacerdozio e giornalismo, non mi posso spostare con una Panda: non arriverei più, non sarebbe sicura. Giro l’Italia perché sono un critico cinematografico e musicale, ho necessità di un’auto che mi garantisca rapidità. Comprata a chilometri zero cedendo la vecchia, senza usare i soldi della questua». “A me fa male quando vedo un prete con la macchina di lusso”, disse Papa Francesco. «Mica avevo un Bmw 5100. Non mi si faccia passare per un mostro. Faccio un lavoro educativo». Lo farà ancora? «Come sempre, perché quella sera non ero ubriaco. Se potete evitate di crocefiggermi visto che sono risorto dalle acque».

13 - 02 - 2014