sabato 7 giugno 2014

I Romagnoli e la Rivoluzione


Si ricorda in questi giorni il centenario della "Settimana Rossa", segnatamente ad Ancona, da dove partì tutto, e in Romagna, dove si ebbero gli sviluppi ideologicamente più interessanti. Il tutto fermentò in un contesto economico di grande povertà e politico di grande agitazione. C'erano guerre e guerricciole che stavano preparando il terreno per l'esplosione finale della Grande Guerra. L'Italia aveva invaso la Libia tre anni prima, e il 30 ottobre di quell'anno un giovane coscritto anarchico imolese, Augusto Masetti, sparò al Colonnello Stroppa in una caserma di Bologna, ferendolo ad una spalla. Masetti fu immediatamente internato presso il manicomio criminale della sua città, divenendo l'icona di tutti gli antimilitaristi dell'epoca. In quegli anni la polizia sparava a raffica sui dimostranti che reclamavano pane e lavoro, e gli eccidi non si contavano. Si giunge così al 9 maggio 1914, quando ad Ancona gli antimilitaristi propongono per la domenica 7 giugno una manifestazione "Pro Masetti", organizzata da repubblicani, socialisti e anarchici. Uno degli oratori è il 24enne Pietro Nenni da Faenza, all'epoca repubblicano, ma destinato ad un futuro di primo piano nel PSI del secondo dopoguerra. Dopo il comizio un certo numero di partecipanti si dirige verso una vicina caserma, difesa da ingenti forze di polizia. In pochi minuti tutto divampa: al lancio di pietre da parte dei dimostranti, la polizia spara ad alzo zero, e la gente scappa verso il porto. Per terra rimangono in tre: due repubblicani, Budini e Casaccia, che muoiono all'Ospedale, e un anarchico, Giambrignani, ucciso sul colpo, tutti di età compresa fra i 17 e i 24 anni.


La notizia provoca l'immediato sciopero generale da parte dei vari sindacati, e l'esplosione di scontri, fra la gente esasperata e l'esercito, un po' ovunque. Particolarmente cruenti a Napoli, con cinque morti, ma ci furono morti anche a Torino, Firenze e Bari, e numerosissimi feriti a Roma, Milano, Genova e altre zone ancora. Vengono presi d'assalto commissariati, stazioni ferroviarie, sedi di banche anche a Bologna, Rimini, Piacenza, Palermo, Trieste, Imola, Faenza, Castelbolognese, eccetera. Ma è nella zona est della Romagna che la faccenda prende una piega molto più interessante. L'epicentro è in una zona compresa fra Ravenna e Fusignano, con particolari effetti ad Alfonsine, Mezzano e Villanova di Bagnacavallo. Mercoledì 10 oltre 10000 persone affollano la piazza principale di Ravenna, ora Piazza del Popolo. Si tenta l'assalto alla prefettura. Nei tafferugli una bottiglia colpisce alla testa il commissario di polizia Giuseppe Miniagio, che morirà due giorni dopo senza aver ripreso conoscenza. Sarà l'unica vittima in Romagna. La vicina Chiesa del Suffragio viene assalita e saccheggiata. Si erigono barricate in tutto il centro, vengono tagliati i pali del telegrafo e quelli del telefono: Ravenna è isolata dal mondo. Le voci corrono incontrollate: la Rivoluzione, culto agognato da decenni dai Romagnoli, in massima parte repubblicani e anarchici è scoppiata in tutto il Paese. Il Re e la Regina sono fuggiti e Filippo Turati, leader socialista, è ora il primo Presidente della Storia Repubblicana d'Italia! Anche un romagnolo che in quel momento si trova a Milano soffia sul fuoco: si chiama Benito Mussolini, è socialista e Direttore de "L'Avanti!", ma mal gliene incoglie. Infatti, viene bastonato a sangue dalla polizia che irrompe nella sede del giornale. 

In Romagna la rivolta dilaga, e assume connotati anticlericali. Si incendiano le chiese a Mezzano, Alfonsine, Villanova di Bagnacavallo, e anche a Faenza e Forlì. Ad Alfonsine viene incendiato il Municipio, (foto sotto), che pure era retto da Camillo Garavini, socialista, e il Circolo dei Monarchici.


Vennero immediatamente creati comitati rivoluzionari e governi provvisori. A Fusignano e in altre località vennero eretti i pittoreschi "Alberi della Libertà", di chiara ispirazione rivoluzionaria-francese del 1789. 


Poi, come tutto era iniziato in fretta, tutto terminò in fretta. Il governo Salandra, di centro-destra, comincia a mostrare i muscoli, e invia la Cavalleria Regia in Romagna. E i dirigenti nazionali, da Nenni a Mussolini, capiscono di aver spinto un po' troppo in là il gioco, e dichiarano più o meno questo: "Cari compagni e fratelli, ci siamo sbagliati. Il momento non è ancora propizio. Meglio ritornare ai propri focolari domestici". Il 12 giugno una colonna di 200 cavalieri entra a Ravenna proveniente da Savio, al comando del Generale Agliardi, senza incontrare resistenza. Tempo tre giorni e cominciano i processi per direttissima. Molti esponenti del moto rivoluzionario fuggono in Svizzera o a San Marino, (foto sotto), ma vengono ugualmente presi e condannati.


Camillo Garavini viene rieletto il successivo 26 luglio, ma non se ne farà nulla, poichè Alfonsine viene commissariata dal Governo. Le pene furono tutto sommato miti, e inoltre, con la nascita della figlia del Re Vittorio Emanuele Terzo verso la fine del 1914, fu proclamata l'amnistia e tutti tornarono a casa. La Rivoluzione insomma, poteva aspettare. Non aspetta però la Grande Guerra, che scoppia quello stesso mese, il 28, e a cui l'Italia partecipa dal 24 maggio 1915. E se le pene, come abbiamo detto, in un primo tempo furono miti, poi la guerra alzò di molto il prezzo. I Romagnoli, considerati -non a torto- teste calde e insubordinati, furono mandati quasi sempre in trincea, e obbligati a uscire per primi quando era ora di assalire gli Austriaci, andando incontro a morte sicura. Pochi anni fa un certo Dal Pozzo, ravennate, ora deceduto, mi raccontò di essere l'unico del suo gruppo (facente parte della Brigata Sassari), ad essersi salvato, perché uscendo dalla trincea inciampò in una pietra, e cadendo per terra battè il capo e rimase svenuto, mentre tutti i suoi compagni venivano falciati dalle mitragliatrici nemiche.

L'Italia vinse la Grande Guerra ad un prezzo esorbitante: 682.000 morti, 1 milione di feriti tra i quali 300.000 invalidi, distruzioni, miserie, fame e sporcizia. Pochi mesi dopo l'influenza detta "Spagnola", aggravata anche dalle condizioni di estrema sporcizia, ucciderà quasi 300.000 italiani, oltre ad altre 21 milioni di persone in tutto il Mondo. Ulteriori conseguenze di questa Guerra furono disoccupazione, miseria, e quindi la nascita del Fascismo e in Germania del Nazismo. Forse sarebbe stato meglio, chissà, se la Rivoluzione avesse vinto davvero.

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