mercoledì 14 novembre 2012

Mario Lapucci, vent'anni dopo


E' stato ricordato a Ravenna, nei giorni scorsi, il ventennale della scomparsa di Mario Lapucci, l'editore "più puro d'Italia", come ebbe a definirlo felicemente una volta Vittorio Sgarbi. Della sua nota biografica si dirà dopo, prima però vorrei menzionare un mio breve ricordo personale. Lo conobbi quando lui aveva già sessant'anni e io quasi sedici, ed ero alle prese col mio primo lavoro della vita, il tipografo. Veniva a far stampare i suoi meravigliosi volumi nella tipografia dove cominciai, e poi, qualche anno dopo, in quella dove completai la mia formazione professionale. Questo blog, infatti, è cominciato qualche anno fa con un racconto tratto da "L'ultimo anarchico", un libro che raccoglieva articoli e racconti di Don Francesco Fuschini, il parroco scrittore di Argenta (1915-2007), apparsi sul "Resto del Carlino" negli anni 60 e 70. Su Don Fuschini ci sarebbe molto da dire, e di questo ci si ripromette di pubblicare un post tutto per lui. Ma di recuperi letterari Lapucci ne fece molti altri, come quello di Dante Arfelli, autore di Cesenatico (!921-1995), che a cavallo fra il 1949 e il 1951 pubblicò due bellissimi romanzi ("I Superflui" e "La Quinta Generazione"), che furono tradotti in venti lingue e vendettero milioni di copie in tutto il mondo. Mario Lapucci aveva capito che la Romagna correva il grosso rischio, forse prima di altre regioni, di perdere la sua identità culturale, letteraria e lessicale, e si buttò a capofitto nel tentativo di pubblicare quanto più possibile per tramandare ai posteri la memoria della "vecchia" Romagna, iniziando nel 1964 con un libro di "Indovinelli romagnoli" a cura di Libero Ercolani. Oltre che editore fu anche poeta e pittore, e sopratutto stimolatore di eventi. Negli ultimi due anni di vita si dedicò al concorso letterario "Vallesenio", di Riolo Terme, ideato dalla poetessa locale Giuliana Montalti, forse uno dei pochi se non l'unico in Italia a non richiedere una tassa di iscrizione. Era un tipo burbero e a volte esibiva un pò la sua cultura enciclopedica, ma d'altronde ne aveva tutte le ragioni, per cui lo si perdonava volentieri. Fu anche uno dei miei primi lettori, quando nel 1977 cominciai a occuparmi di poesia, e fu molto franco e schietto, com'era sua prassi, nel dirmi che cosa funzionava e che cosa invece no. La sua scomparsa, non è retorica dirlo, ha lasciato davvero un vuoto assolutamente incolmabile, pari a quella del gallerista e incisore Giuseppe Maestri, la cui bottega era, tra l'altro, a pochi metri dalla sua abitazione in via Baccarini e pure dalla sua libreria in via Corrado Ricci. 


Mario Lapucci nasce a Fiordimonte di Macerata, terzo di cinque figli, il 25 settembre 1914. Dal 1921 frequenta le elementari a Bastia di Ravenna, dove il padre era stato trasferito per insegnare alle scuole elementari. Con la famiglia, infine, approda nel capoluogo nel 1927. Inizia a lavorare egli stesso come maestro per le scuole elementari, e insegna a Ravenna e Bolzano dal 1937 al 1939, anno in cui vince un concorso INPS che lo assegna alla sede di Pesaro.

Aveva frequentato a Palermo il corso Allievi Ufficiali e nel 1939 viene mobilitato per la campagna di Libia, dove è nominato tenente nel 1940. Nello stesso anno è fatto prigioniero a Sidi el Barrani, da dove è destinato prima nel campo di prigionia di Bangalore nel sud dell’India e poi nel campo di Yol nell’India del nord. Negli anni di prigionia redige coi compagni due giornali satirici: “Mago Merlino” a Bangalore e “Catone” a Yol. È rimpatriato dopo sei anni e rientra a Ravenna nel novembre 1946, portando con sè una serie magnifica di acquerelli che descrivono i vari luoghi dell'India visitati, e la varia umanità che li componeva. Ebbe in questo, molta libertà da parte delle autorità inglesi, che lo lasciavano libero di poter andare nei paesini attorno al campo di reclusione, allo scopo di consentirgli di dipingere.

A Ravenna riprende servizio all’INPS e si sposa con Lia Roncuzzi da cui avrà tre figli. Si laurea in lettere moderne nel 1954 e dal 1960 dirige la libreria Modernissima di via Corrado Ricci organizzando incontri e presentazioni di libri. Nel 1964 fonda le Edizioni del Girasole (all’inizio Edizioni della Rotonda) che in trent’anni pubblicheranno circa 300 titoli. È, dalla fondazione nel 1974, vicepresidente (cioè braccio destro di Walter della Monica) del Centro Relazioni Culturali che porta a Ravenna il meglio della cultura italiana.

Alla morte del figlio Gianni nel 1980 vende la libreria Modernissima e si dedica solo al Girasole, alle sue ricerche, alla pittura e alla grafica. Dal 1988 al 1991 è direttore responsabile della rivista “Romagna ieri oggi domani”, che esce per trenta numeri. Negli anni precedenti aveva curato per Mondadori il “Deuteronomio” della “Sacra Bibbia Concordata”, per Maggioli il terzo volume (“Prose, poesie italiane e teatro”) dell’Opera Omnia del grande poeta romagnolo (dialettale) Aldo Spallicci e aveva collaborato con strisce e disegni satirici al “Travaso”, al “Vittorioso” e a “Paese Sera”.


Muore d’infarto nell’ottobre del 1992, tre mesi dopo la morte della moglie.
La sua produzione di pittore è stata tra l’altro esposta nel 1983 in una personale alla Galleria “Il Patio” di via Baccarini a Ravenna e in mostre postume, sempre a Ravenna, nel 1993: oli e acquerelli alla “Sala Italia” di via Cairoli e alla Galleria “Artestudio Sumithra” di via Pasolini. Nel 2003 Alberta Fabbri ha curato la mostra retrospettiva della sua produzione 1938-1992 “Mario Lapucci, il percorso pittorico” allestita nella Sala Preconsiliare in Municipio.

La seconda Circoscrizione del Comune di Ravenna gli ha intitolato la sala della biblioteca di quartiere e il Comune di Ravenna gli ha dedicato un parco cittadino.

Sorrideva dicendo: “Quando morirò non piangete perché è solo sonno arretrato”.


Le Edizioni del Girasole, a vent’anni dalla sua morte, sono tuttora in attività.


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