martedì 31 gennaio 2012

Benito La Mantia e Pierluigi Celli, voci fuori dal coro.


Dopo il trasloco dalla piattaforma di Splinder che è in chiusura in questi giorni, abbiamo recuperato due recensioni molto interessanti.


martedì, 29 aprile 2008


Benito La Mantia e Gabriella Cucca, "La voce di Pasquino", giallo storico nella Roma del 1600


Interessantissimo il nuovo romanzo di Benito La Mantia, palermitano classe 1940 ma romagnolo d'adozione da oltre quarant'anni, e Gabriella Cucca, cagliaritana, e da qualche anno sua compagna nella vita. Un tuffo nella Roma del '600, al tempo del Papa Alessandro VII, un Papa senese che di cognome faceva Chigi (il famoso Palazzo Chigi, appunto). Il protagonista assoluto, però, è Salvator Rosa, pittore che nacque a Napoli nel 1615 e morì a Roma nel 1673 (a destra, autoritratto). Dopo aver abbandonato Napoli poco dopo i vent'anni, si stabilì a Firenze per una decina d'anni circa, ove conobbe Lucrezia, una donna separata, che non lo abbandonò più e divenne la madre dei suoi figli. Con lei si traferì a Roma convivendo more uxorio in un secolo in cui non era facile adottare un simile costume di vita. Salvator Rosa fu uno dei più grandi pittori del suo secolo, un secolo importante per la presenza di illustri personaggi quali Galileo Galilei, i filosofi Cartesio e Spinoza, Evangelista Torricelli, di cui Rosa fu grande amico, e molti altri. Rosa fu un pittore anomalo, nel senso che non lavorava su commissione, come tutti gli altri, ma vendendo le sue opere mediante le varie mostre pubbliche che si tenevano periodicamente in occasione delle varie feste comandate, costituendo così un nutrito seguito di ricchi ammiratori e amatori della sua arte. Oltre che pittore fu però anche musicista ma sopratutto poeta in versi satirici. Già da un secolo circa, infatti, a Roma vi era l'abitudine di scrivere versi satirici che venivano poi affissi su un'antica statua greca di cui nessuno, neppure Michelangelo, seppe mai ricostruire l'arcano. Questi foglietti, che satireggiavano su fatti realmente accaduti e di cui non era molto igienico parlare liberamente, venivano popolarmente chiamati "Pasquinate". Le "Pasquinate" erano opera di vari autori, rimasti per lo più ignoti, e andarono avanti per vari secoli, fino quasi ai giorni nostri. Una moda tutta romana, insomma, che il regista Luigi Magni ritrasse magistralmente nel famoso "In nome del Papa Re", del 1977, con Nino Manfredi. La Roma di quegli anni era una città povera, che viveva oppressa dalla cappa del potere temporale del Papa Chigi, che nei posti di comando aveva inserito quasi tutti i suoi parenti senesi. Corruzione, immoralità, licenziosità e violenza erano gli ingredienti con cui il potere dell'epoca (ma potremmo dire di QUALSIASI epoca), tiranneggiava ed opprimeva il popolino. In questo edificante quadretto un amico di Rosa, professore presso l'Università La Sapienza, viene ingiustamente accusato dell'omicidio della giovane moglie, ritrovata nel Tevere. Il pittore, che gode dell'amicizia di alcuni influenti cardinali, ammiratori della sua opera (tra cui un ravennate, della nobile famiglia Rasponi), si mette ad indagare partendo da una "Pasquinata", che un suo conoscente gli affida, e che risulterà essere la chiave rivelatrice della vicenda. Riuscirà, alla fine, a salvare il suo amico, che, nel frattempo viene torturato secondo i metodi tipici dell'Inquisizione (vi risparmio i dettagli). Un racconto di pura invenzione che però si collega a vicende del tutto comuni per la città e per l'epoca, e che, inoltre, s'intreccia con un episodio assolutamente autentico della vita del pittore: l'esposizione del suo capolavoro "La Fortuna", il 29 agosto 1659, presso il chiostro di S. Giovanni Decollato (sotto in copertina). Un quadro che suscitò scandalo in quanto, mediante un'efficace allegorìa, Salvator Rosa denunciò e ridicolizzò il potere secolare del Papa Alessandro VII. Un potere, come si diceva prima, dai connotati fortemente corrotti e nepotistici. In questo caso, realmente, fu risparmiato da conseguenze molto gravi proprio grazie ai buoni uffici di cui godeva presso i suoi amici Cardinali. Un libro dalle atmosfere molto suggestive e molto evocativo, specie per chi, come me, è appassionato di storia e di cinema. Ricco di dialoghi e di luoghi tipici da "location" cinematografica, è praticamente una sceneggiatura già pronta, ed io, se fossi un produttore cinematografico, non mi lascerei sfuggire assolutamente una chicca del genere.


Il libro in parte riprende le tematiche del precedente libro della coppia, uscito circa un anno fa, "Libri proibiti", sempre per i tipi di Stampa Alternativa. Un volume che ha avuto un successo a livello internazionale, essendo stato acquistato anche da prestigiose Università francesi e spagnole. Il volume ripercorre quattro secoli di censura cattolica, in quanto l'indice fu inaugurato da Paolo IV a metà del 1500 e ufficialmente abolito solo nel 1966 da Paolo VI. Praticamente tutti vi furono inclusi: scrittori, poeti, scienziati, filosofi, ed anche il nostro Salvator Rosa, le cui satire, pubblicate postume, furono proibite per oltre cent'anni, fino alla fine del XIII secolo. Questo era il grande Salvator Rosa, pittore e poeta d'immenso talento, ma anche spirito libero e uomo tutto d'un pezzo, a cui proprio in questi giorni la sua città, Napoli, gli sta dedicando la prima grande mostra monografica, dopo oltre tre secoli dalla morte. Meglio tardi che mai. Per chiudere un altro dei suoi magnifici dipinti.



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venerdì, 16 maggio 2008


Le confessioni di un italiano manager pentito

Ho preso a prestito il titolo di un grande romanzo ottocentesco di Ippolito Nievo per parlarvi di questo libro di Pierluigi Celli, romagnolo di Verucchio, classe 1942, ed ex dirigente di moltissime grandi aziende nel recente passato. "Altri esercizi di pentimento", edito da Aliberti, è una raccolta di racconti dal sapore spesso autobiografico, dove l'autore ha voluto a suo modo esorcizzare l'universo dei sentimenti che accompagna da sempre il fattore pentimento. "Oggi pentirsi non è più di moda" racconta Celli "Anche perchè uno non può semplicemente pentirsi davanti a sè stesso. Pentirsi da soli davanti alla propria coscienza è paragonabile ad un suicidio compiuto per il rimorso di aver ucciso qualcun'altro, ecco perchè non si può fare". L'idea che traspare nei racconti di Celli è che di pentimento vi sarebbe un gran bisogno nella nostra società, sopratutto ai massimi livelli. "Nei sistemi sociali chiusi - commenta l'autore - come quelli industriali o quelli delle grandi aziende che io conosco bene, i manager compiono spesso delle vere e proprie uccisioni di massa, attraverso le riorganizzazioni e i licenziamenti. Le ristrutturazioni sono uno dei modi più sottili per uccidere le persone, sia a livello psicologico che intellettuale". Già, e questo porta a volte anche a suicidi veri e propri e alla distruzione di interi nuclei familiari, aggiungo io. Celli ad un certo punto dice: "Però anch'io mi sono pentito di aver licenziato duemila persone dalla RAI, perchè ho cacciato quelli che la televisione la sapevano fare, e adesso si vede". Meglio tardi che mai, mister Celli, vero? Di questo libro colpisce il racconto "Distacchi n. 2", dove il protagonista, un manager, decide di morire in solitudine, afflitto da complessi sensi di colpa nei confronti dei suoi più stretti collaboratori. "Perchè la vita, vista dal punto di vista della fine, non ha alcun senso, sopratutto nei casi di quelle vite che si pretendono eccezionali". Giusto, mister Celli, anche se è una conclusione vecchia di millenni: il Qoeleth, libro del Vecchio Testamento, è pieno zeppo di riflessioni di questo calibro. Pare però che il nostro Celli voglia concedere il bis. Sta preparando, infatti, un "Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo", in cui si prefigge di svelare gustosi siparietti vissuti ai tavoli dei consigli di amministrazione delle più grandi aziende del nostro Paese. Non che mi aspetti chissà quali rivelazioni, visto che il sistema delle grandi aziende (come il sistema più in generale) è marcio fino al midollo, e non fa altro che replicare, con conseguenze ben più gravi, ahimè, le liti e le meschinerie che si possono vedere in una riunione di condominio o ad una discussione in un bar durante una partita di calcio. In fondo, anche se indossa una bel doppio petto regimental e una cravatta firmata, l'essere umano resta un mammifero, alla resa dei conti, neppure dei più ragionevoli.


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