lunedì 9 gennaio 2012

Dal sito di Rai Televideo, La protesta corre sul web

Aderiamo a questa iniziativa segnalando che in una sola pagina di Facebook e in pochi giorni stanno raccogliendo 100 mila adesioni, in gran parte di donne italiane (in solidarietà con le lavoratrici licenziate) che non compreranno mai più prodotti del marchio Omsa, Sisi, ecc. almeno fino a un ripensamento dell'azienda.




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Omsa, boicottaggio in reteLicenziate 239 lavoratrici, si moltiplicano in Rete le pagine di solidarietà
di Paola Cortese

Si moltiplicano su Facebook le pagine di solidarietà alle 239 lavoratrici licenziate da Omsa per portare la produzione in Serbia, dove il costo del lavoro è stracciato. Delocalizzare, si dice. E non per problemi di crisi del marchio mantovano. Pare che la decisione del patron Nerino del Grassi sia dovuta alla genuina volontà di aumentare il profitto. E così sul potentissimo tazebao del secondo millennio, Facebook, ma anche su Twitter, l’invito a boicottare il marchio, “Mai più Omsa”, assieme a tutti quelli collegati, come Sisi e Golden Lady, assume la forma di una crociata in cui si sono imbarcati già decine di migliaia di utenti.
La storia ormai è nota: le 239 operaie dell’azienda di Faenza ricevono la notizia del licenziamento il 31 dicembre, dopo mesi di trattative senza esito. A spasso a partire dalla metà di marzo 2012, alla fine di un periodo di cassa integrazione straordinaria in corso. Ora la leader della Cgil Susanna Camusso dice: "Il vero dramma che abbiamo oggi è che sono stati presi impegni dall'azienda che non si stanno traducendo nella realtà". Come dire che non c’è più molto da fare.
Eppure la mobilitazione via web, oltre a scatenare il boicottaggio delle calze e dei collant, ha anche lo scopo di indurre l’azienda a un ripensamento. Perché in un’epoca in cui le scelte dei consumatori sono più consapevoli, il fatto di voler guadagnare a spese dei lavoratori può diventare un boomerang per l’imprenditore. Bisogna chiedersi se la decisione di delocalizzare non finisca per essere vanificata in poco tempo dalla perdita di acquirenti. E se, da ora in poi, il marketing tradizionale non debba tenere conto anche di decisioni dei consumatori basate non solo sul prezzo e sulla qualità dei prodotti ma anche sulla qualità “politica” e “morale” delle strategie aziendali.
In Omsa tirava una brutta aria da anni, da quando si è cominciato a parlare di un trasferimento in Serbia, a causa degli incentivi offerti da Belgrado, che ci va giù duro: sgravi fiscali dai 5mila ai 10mila euro annui per ogni posto di lavoro creato sul luogo, oltre alle esenzioni doganali e altre agevolazioni fiscali. Nel luglio del 2010 la decisione è presa: cominciano i periodi di cassa integrazione, fino ad arrivare al licenziamento collettivo, comunicato per fax alle dipendenti di Faenza. Un mezzo obsoleto, cui ha risposto l’artiglieria pesante dei social network. E ora la parola ai consumatori.
Intanto, il 12 gennaio le parti si incontreranno al ministero delle Attività produttive per cercare una soluzione: magari qualcuno disposto a comprare lo stabilimento mantenendolo a Faenza.




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dal sito RAVENNA OGGI

il caso

Omsa: Coop non esclude il boicottaggio e la Regione combatte la delocalizzazione

 Allo studio una legge. L'assessore: «Chi se ne va, risarcisca»

di Matteo Cavezzali

È partito come noto un progetto popolare di boicottaggio dei prodotti Omsa/Golden Lady. Dentro i supermercati di Coop Adriatica tali prodotti abbondano. Un boicottaggio che avesse l’appoggio di una simile rete di vendita avrebbe un peso economico e mediatico non indifferente. Una cosa impossibile? Non secondo il vicepresidente di coop Adriatica Giovanni Monti. Il codice etico della cooperativa infatti prevede la tutela dei prodotti provenienti dal territorio. «Il 53% dei prodotti venduti da coop Adriatica viene dalle regioni in cui la cooperativa si trova e l’85% dei prodotti sono italiani. C’è un controllo di qualità e di provenienza e criteri per la tutela dei clienti (che sono i soci della cooperativa), i dipendenti e anche dei fornitori. Ad esempio acquistiamo i prodotti di Libera Terra, che lavora i terreni confiscati alla mafia, e abbiamo i prodotti equo solidali che garantiscono una giusta retribuzione ai lavoratori del terzo mondo». Ma una grande catena come Coop Adriatica potrebbe addirittura decidere di non accettare più come fornitore chi decide di delocalizzare a discapito del territorio? «Sì – spiega il vicepresidente – a livello formale è possibile. Per i prodotti non alimentari gli accordi con i fornitori sono presi da coop Italia. Certo è una decisione politica che richiede di essere ponderata con cautela e mediata dalle Istituzioni locali, anche perché coinvolgerebbe non solo un supermercato, ma tutto il sistema coop».
(04 Gennaio 2012) Per capire se un boicottaggio può essere sponsorizzato da un’istituzione abbiamo chiesto all’assessore Regionale alle attività produttive Gian Carlo Muzzarelli, che sta seguendo da vicino la vicenda delle operaie. Pur avendo in più occasioni cichiarato che «noi come Regione Emila-Romagna abbiamo bisogno di mandare un messaggio inequivocabile e cioè che stiamo con le lavoratrici», l’assessore sul boicottaggio preferisce andare cauto ritenendola un’opzione molto difficile da praticare per una regione.
«Ogni consumatore, ogni cittadino – dice Muzzarelli –, è libero di comprare o meno i prodotti di una determinata azienda, ovviamente. Il compito delle istituzioni è però ben altro: non quello di dare consigli per gli acquisti in un senso o nell’altro, ma quello di rilanciare le imprese, il lavoro e l’industrializzazione. Ricordo tra l’altro che oggi in Italia il gruppo Golden Lady ha oltre 2000 lavoratori. Noi crediamo fortemente nel Made in Emilia-Romagna, che è una parte fondamentale del Made in Italy. Un conto è progettare, sviluppare e produrre in Italia, un altro conto é farlo in Serbia. Ne va della qualità e della affidabilità del prodotto. Quando questo avviene con un marchio storico come Omsa, non posso non rilevare che la proprietà mette a repentaglio la stessa credibilità verso i consumatori ed i clienti, e penso anche le prospettive per la stessa impresa, quindi è un errore».
Che provvedimenti sta pianificando la Regione per penalizzare le aziende che chiudono le sedi sul territorio? È possibile agire a livello generale o serve agire su qualche caso esemplare da cui partire per lanciare un messaggio? L'Omsa potrebbe essere questo esempio da cui iniziare?
«I provvedimenti legislativi sono necessariamente generali, e non possono riguardare un caso piuttosto che un altro (del resto, non abbiamo certo il potere di applicare sanzioni). Stiamo lavorando a un progetto di legge per valorizzare le imprese che sono e restano in Emilia-Romagna, offrendo lavoro sicuro, stabile e di qualità. Per noi appetibilità e attrattività di un territorio sono fondamentali, e il nostro lavoro, con tutti i mezzi e le risorse a disposizione, vuole rendere più facile fare impresa da noi. Quindi già oggi, sotto tanti aspetti, “premiamo i migliori”. Come ho avuto modo di dire anche di recente, ritengo che ci debbano essere nuovi accordi e patti di lealtà tra imprese e lavoro, anche con un periodo di necessaria permanenza in Emilia-Romagna (di durata da valutare, ipotizziamo circa 5 anni) per imprese che hanno ricevuto finanziamenti, sostegno, incentivi dalla Regione Emilia-Romagna. E’ ragionevole ipotizzare un progetto di legge in base al quale chi se ne va prima di quella scadenza, impoverendo il territorio e sottraendo posti di lavoro, debba restituire quanto percepito».

13 - 01 - 2012

1 commento:

  1. ben-ritrovati! :-)
    Omsa, ora da Santoro
    (io ho votato su FB che Passera incontri le lavoratrici)
    http://www.facebook.com/profile.php?id=1084325032#!/servpubblico
    ciao

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