lunedì 27 febbraio 2012

Non solo vino...



E’ datata 1861 una breve relazione (quindici paginette più altre otto contenenti illustrazioni) che, sotto forma d’estratto del numero 32 de "L'Incoraggiamento – Giornale di agricoltura, industria e commercio” stampato in quel di Bologna, fu pubblicata con il titolo “Del luppolo coltivato da Gaetano Pasqui di Forlì”. Non vien detto chi ne sia l’autore, ma non è certo questo il dato più sorprendente dell’opuscolo, quanto piuttosto la vicenda agraria e protoindustriale, potremmo dire, che quelle poche pagine consentono, sia pur sommariamente, di delineare. Intanto, a quale uso è principalmente deputato – e lo era anche a metà ‘800 – il luppolo, rampicante dioico (in cui, cioè, i fiori maschili e quelli femminili si sviluppano su piante diverse) che predilige climi temperati freschi, ed è dunque ampiamente coltivato nei paesi anche dell’estremo nord dell’Europa (cresce addirittura spontaneo in Siberia e nel Caucaso, oltre che nelle regioni settentrionali d’America)? Il fiore del luppolo, quello femminile in special modo, è l’ingrediente che conferisce il caratteristico aroma nonché il gusto amaro alla birra.

E proprio come “fabbricatore di birra” ci viene presentato il predetto Gaetano Pasqui, al quale, avendone bisogno per la propria attività ma risultandogli difficile, anche per l’alto costo, il procurarselo sul mercato, “nacque il pensiero di tentarne fra noi la coltivazione, affinché gli fosse dato un giorno poterne diminuire il prezzo, ed insieme quello della bevanda sì salutare e tanto generalizzata della birra. Nel 1847, pertanto, in un suo fondo poco distante dalla città,  prese a coltivare una trentina di piante che rinvenne dietro minute ricerche, non trascurando d’uniformarsi ai precetti degli scrittori su tale argomento, né lasciando intentata eziandio niuna prova, né risparmiando veruna spesa; finalmente nel 1850 alcune piante fra tutte le coltivate gli diedero un prodotto (…) da animarlo a speranza”. Il fatto dunque singolare dell’opuscolo in questione è che ci mette al corrente dell’esistenza, nella prima metà del XIX secolo, di una fabbrica di birra con annessa coltivazione di luppolo a Forlì.

Datano a quest’epoca, in effetti, le prime produzioni nazionali della bevanda, tutte concentrate nel nord del paese (tra quelle ancora in vita si ricordano, a titolo d’esempio, la Wuhrer di Brescia, del 1829; la Peroni di Vigevano, poi trasferita a Roma, del 1846; la Moretti di Udine, del 1859); ma non si aveva notizia di una simile iniziativa in terra di Romagna, e proprio a Forlì. Poche del resto sono anche le informazioni riguardanti il promotore della medesima, nonché quelle concernenti gli sviluppi della sua intrapresa dopo il 1866, anno cui risale una prima “Monografia Statistica, Economica, Amministrativa della Provincia di Forlì” che al riguardo dichiara: “Il Sig. Gaetano Pasqui ha introdotto la fabbricazione della birra ed ha iniziato la coltivazione del luppolo. L’attività si svolge essenzialmente per sei mesi all’anno ed occupa ordinariamente due operai. Nel 1863 sono state smerciate 35.000 bottiglie, anche fuori della Provincia”. Si sa che Gaetano, nato nel 1807 presumibilmente a Forlì, vi moriva nel giugno del 1879; dei suoi quattro figli, tre erano femmine e rimasero nubili, mentre il maschio Tito (nato nel 1846), ingegnere, docente universitario ed agronomo anch’egli, diventerà un personaggio assai rilevante, e politicamente impegnato, a livello non solo locale. Ma sulla produzione di birra con annessa piantagione di luppolo, dopo gli anni che si sono detti cala il più assoluto silenzio. Probabile fosse ubicata appena fuori Forlì, negli annessi di una villotta rurale (ceduta dalla famiglia dopo la Seconda guerra mondiale e di recente demolita), posta sulla confluenza dei fiumi Rabbi e Montone (l’acqua in abbondanza serve infatti per la fabbricazione della birra), sulla sponda opposta rispetto a quella dove ora sorge l’ospedale “Pierantoni-Morgagni”. Doveva però essere di buona qualità, la “Birra Pasqui”, poiché valse al suo produttore un paio di riconoscimenti in esposizioni provinciali (nel 1852 e 1856), la medaglia d’oro in quella di Firenze del 1861, nonché una menzione d’onore, l’anno seguente, addirittura nell’analoga manifestazione di Londra. In una delle motivazioni ufficiali, Gaetano vien definito “Commissionario di macchine e strumenti rurali, premiato per invenzioni di strumenti rurali e per costruzioni di modelli ad uso delle scuole di agronomia”. Il caso vuole che di tali modelli ne sopravvivano ben diciotto: si tratta di aratri in scala 1:5, risalgono forse al 1870 e fanno tuttora bella mostra di sé in alcune teche dell’Istituto Tecnico Statale per Geometri “Camillo Rondani” di Parma.



1 commento:

  1. Questo post è interessantissimo e molto pertinente con il nostro blog, veramente bello bello bello :) :) :)

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