lunedì 19 dicembre 2011

Attilio Sassi detto il bestione

Nel 2009 per Zero in Condotta usciva una interessante biografia di un anarchico romagnolo.


Esce per i tipi di Zero in Condotta l’autobiografia di Attilio Sassi, militante anarchico e sindacalista dell'USI (Unione Sindacale Italiana), il sindacato anarchico italiano. Interessantissima questa biografia, vuoi per il personaggio, vuoi per il contesto storico e sociale in cui agì. Segue una parte della prefazione di uno dei tre curatori, Giorgio Sacchetti.

Era il novembre 2005 quando ebbi modo di compulsare, per la prima volta, il testo di questa autobiografia, voce inaspettata dal “nostro” Novecento, testimonianza a futura memoria affidata in gelosa custodia perché fosse poi lasciata “nelle mani di compagni sicuri”. La copia fotostatica del documento, ora a disposizione del pubblico presso il Centro Studi Libertari / Archivio G. Pinelli di Milano, mi era stata consegnata direttamente dalla detentrice originaria Giovanna Gervasio Carbonaro, figlia dell’indimenticato organizzatore Gaetano Gervasio (sodale di Sassi). In tutto questo c’era stata la complicità di Paolo Finzi, compagno e amico, che mi aveva individuato come il destinatario “naturale” di quelle carte. Ed è stata per me una vera emozione leggere quelle pagine scritte in una grafia che ormai avevo imparato a riconoscere.

È una narrazione autobiografica dai toni fieri, ma anche leggeri ed ironici, che si dipana fra Emilia Romagna, Brasile e Valdarno. Nel racconto di quelle vicende sociali collettive davvero “epiche”, intrecciate con altre a dimensione “microstorica”, hanno in un certo qual modo cortocircuitato le mie identità. È certamente un fatto in sé risibile, ma fra i cinquemila minatori valdarnesi che con Sassi avevano conquistato temporaneamente, nel 1919, la giornata di sei ore e mezza “a bocca di galleria”, c’erano degli appartenenti alla mia comunità familiare, e molti loro amici che, ovviamente, non ho mai conosciuto, ma di cui sentivo parlare da bambino. Ho potuto così ritrovare un’altra traccia importante di quelle storie che, ossessivamente, non ho mai cessato di inseguire, anche nella mia attività di ricercatore.

Inoltre, incontrando Giovanna, ho potuto finalmente conoscere di persona, non solo la redattrice di quel foglio battagliero, “Gioventù Anarchica”, che fu la voce bella ed effimera di una generazione di coraggiosi negli anni del dopoguerra, ma anche la pedagogista libertaria attiva e oggi stimata nella “sua” Firenze. Nella casa in collina di Bagno a Ripoli i ricordi risalgono a prima dell’alluvione del ’66. Un pacchettino con alcuni volumi mi viene offerto in dono prima di congedarci. Sono “libri di Antonio”, il suo compagno di vita scomparso da alcuni anni, docente universitario e sociologo dalla vasta produzione scientifica, anche lui con un background anarchico.

Attilio Sassi



Che film la vita! E quante strade e quante storie, distanti, sconosciute oppure solo immaginate, finiscono poi per incontrarsi ed alimentare il presente!

Il volume che qui abbiamo messo insieme è frutto di un intenso lavoro collettivo, dove Bob (Zani) e Tom (Marabini) hanno avuto un ruolo centrale, sotto tutti i punti di vista. Ma è anche la risultante di una intensa attività di ricerca in progress che viene da molto lontano. Credo che queste pagine (cui si aggiunge un ricco CD), per la loro articolazione complessiva plurale e per la connessione dei generi, possano validamente costituire sul piano metodologico – modestia a parte – anche un possibile modello euristico, utile magari per la didattica. Lo so, i manuali di storiografia ci invitano ad un uso prudente e integrato di questo tipo di fonti. Ed è quello che abbiamo fatto, affiancando all’autobiografia i saggi storici in forma tradizionale e le fonti di letteratura insieme ad altri strumenti di conoscenza: fonti orali, interviste, verbali di riunione, carte di famiglia e documenti da varie tipologie di archivi pubblici e privati.

Come tutte le visioni autobiografiche neppure questa è solo rivolta al passato. Scritta a Roma, presumibilmente alla fine degli anni Quaranta, essa, manifestando in modo intrinseco una dimensione progettuale dell’avvenire, pare piuttosto evocare il cambiamento. Così la narrazione della propria vita è essa stessa laboratorio di creazione per l’attribuzione di senso e di significati. La memoria soggettiva intrecciata con quella collettiva funziona da vaglio degli eventi selezionati, producendo, da una parte oblio, dall’altra trasformazione dei ricordi, influenzati questi anche dalle storie di vita altrui. La sfera emozionale, dove i ricordi possono essere, inconsciamente, anche “riadattati” all’economia del racconto, assume sempre una valenza primaria. La rivisitazione eventualmente “creativa” dell’agito individuale niente potrebbe però togliere a quella attendibilità che la forma autobiografica possiede in sé quale strumento cognitivo della psicologia del narrante. Già in sé l’atto del raccontare crea e ricerca legami, insieme alle connessioni perdute. Il soggetto si trova immerso in un flusso diacronico, con il continuo scorrere tra passato, presente e futuro, dimensioni che caratterizzano le fasi esistenziali di ogni individuo. È una sorta di gioco dialettico / conflittuale che ogni soggetto sperimenta con l’attraversamento sincronico di tempi eterogenei e molteplici. L’oralità vive di suggestioni, suscita emozioni. La memoria si dipana attraverso una trama che si racconta fin nelle intenzioni recondite delle azioni dei protagonisti, nei significati sequenziali delle storie. Il modello narrativo presenta valenze metaforiche, mitiche e simboliche. Il metodo autobiografico promuove desideri di conoscenza e trame di storie capaci di educare e stupire al tempo stesso.

L’uso in storiografia, sempre meno occasionale, di questo tipo di fonti, un tempo aborrite e successivamente ammesse con riserva, ci induce a ritenere forse superata la lunga fase di “paura della storia contemporanea” che ha caratterizzato gli ultimi decenni.

“È l'interpretazione – scriveva Marcello Flores – cioè la scelta selettiva del passato e delle domande da porgli, il necessario intreccio tra la loro selezione e spiegazione, a essere resa difficile nella storia del Novecento”.



Attilio Sassi (a sinistra)


A margine di questa bella presentazione, aggiungo che dopo la visione della fiction "Pane e libertà", andata in onda recentemente e basata sulla vita del grande sindacalista comunista Giuseppe Di Vittorio, occorre dire appunto che Attlio Sassi era un suo grande amico, e che Di Vittorio pianse a lungo sulla sua bara nel 1957, a Roma. Sassi era nato nel 1876, lo stesso anno del mio nonno paterno, a Castelguelfo, presso Imola. Romagnolo purosangue, amava il ballo, il vino e le belle donne. Era anche un discreto poeta in dialetto romagnolo di Imola. Nel bel volume, curato oltre che da Sacchetti anche dai cari amici e compagni libertari Bob e Marabbo, ne sono riportate alcune, fra le quali ho scelto questa dal titolo "Bèla, t'la durum" (Bella, che dormi).

Bèla, t'la durum in te tu nanè

at mand i mi sturnel a basa vos

chi vè ad arpusè in te tu cusè

E dop il dirà tanti bèli cuos

cal vè fura de cuor un può cunfusi

fra mez ad un mocc ed fiur e un mazz ad ruos

Ansò putrà mai dì, me sulament

tot quent e bèn ch'at voj e cum l'è fatt

parchè tra tanta gioia uj'è un turmènt...



Bella, che dormi nel tuo letto

ti mando i miei stornelli a bassa voce

che vengono a posarsi sul tuo cuscino

E dopo ti diranno tante belle cose

che vengono fuor dal cuore, un pò confuse

in mezzo ad un mucchio di fiori e un mazzo di rose

Nessun potrà dir, io soltanto

tutto il bene che ti voglio, e com'è fatto

perchè tra tanta gioia c'è un tormento...

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